La decisione di Donald Trump di non rispettare gli accordi sul clima isola l’America e rappresenta una minaccia per il pianeta
Da alcuni mesi il mondo aldilà dell’Atlantico è cambiato e le notizie che lo dimostrano sono all’ordine del giorno. Anche l’ultima, assai temuta, è giunta puntuale. Donald Trump ha formalmente dichiarato che gli Stati Uniti non intendono rispettare gli accordi sul clima. Con il 18% di emissioni di gas serra a livello globale, gli Stati Uniti sono tra i paesi maggiormente responsabili del riscaldamento del pianeta. Solo la Cina fa peggio, con circa il 24%, ma il rapporto tra le rispettive popolazioni è di uno a quattro. Nel mese di dicembre 2015 a Parigi, nell’ambito dei lavori della conferenza ONU sul clima denominata COP21, i delegati di 195 nazioni, praticamente la totalità della popolazione mondiale, approvarono il testo di un accordo storico: mantenere l’incremento della temperatura media globale al di sotto di 2 gradi rispetto ai valori preindustriali.
COP21 si chiama così perché è stata la 21esima conferenza annuale delle parti, cioè delle nazioni partecipanti Unite. L’accordo prevede che le emissioni di gas serra diventino pari a zero durante la seconda metà del secolo in corso. Siccome un grado di aumento rispetto ai livelli preindustriali già ce lo siamo giocato, ci rimarrebbe un grado. Uno solo. Nel testo dell’accordo di Parigi c’è una clausola non irrilevante. Le parti si sono impegnate anche a fare “possibilmente” di più: a perseguire l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi centigradi dai livelli preindustriali. Ovvero mezzo grado invece di uno. Ciò richiederà che le “emissioni zero” dovranno cominciare nel periodo di tempo compreso tra il 2030 e il 2050. Il che vuol dire semplicemente una cosa: dobbiamo fare presto perché il tempo a disposizione è veramente poco.
L’annuncio controcorrente di Trump ha suscitato critiche e sdegno fuori e dentro gli Stati Uniti d’America. Nessuno lo ha detto ancora, ma le sue parole equivalgono a una sorta di dichiarazione di guerra al resto del mondo, all’America stessa e al pianeta intero. Quali conseguenze avranno? Le vittime, nella peggiore delle ipotesi, saranno innumerevoli, come in ogni guerra, centinaia di migliaia, milioni, forse più di quelle di tutte le guerre mai guerreggiate. È fantapolitica? Forse, auspicabilmente.
Da un punto di vista meramente e semplicemente politico, la dichiarazione di Trump avrà l’effetto di isolarlo ulteriormente sul piano internazionale. Gli USA perderanno altri pezzi della leadership che hanno avuto in passato. Sappiamo già chi si avvantaggerà da questa perdita di leadership. Saranno certamente la Russia e la Cina, forse l’Europa. I vantaggi saranno politici, forse economici, ma in termini di salute del pianeta non ci saranno vantaggi per nessuno. Ha fatto bene il Vaticano a dire che nessun paese al mondo può arrogarsi il diritto di determinare il destino del resto dell’umanità. L’uscita degli USA dell’accordo COP21 significa semplicemente una cosa: su scala globale le emissioni e il riscaldamento rallenteranno di meno, con la conseguenza che la Terra, già malata e febbricitante, si aggraverà ulteriormente.
Gli effetti del riscaldamento globale sono visibili, ormai da decenni, in tutto il pianeta: desertificazione e forte riduzione delle aree coltivabili, acidificazione degli oceani con conseguenze su fauna e flora marine, scioglimento dei ghiacci ai poli e innalzamento del livello del mare. E poi ci sono le conseguenze umane e sociali, le cui manifestazioni sono sotto i nostri occhi ogni giorno: migrazioni, guerre, terrorismo. Senza un’azione coordinata per ridurre drasticamente le emissioni gas serra, le temperature medie continueranno ad aumentare fino ad arrivare ad essere, alla fine di questo secolo, di alcuni gradi – c’è chi dice cinque, sei e perfino sette – superiori ai livelli preindustriali.
La rivista “Internazionale” ha pubblicato recentemente un interessante articolo dal titolo “La Groenlandia si scioglie”. Nelle zone interne della Groenlandia lo spessore del ghiaccio è di qualche chilometro. È ghiaccio che si è accumulato per millenni durante le ere glaciali. Alcuni ricercatori affermano che questo ghiaccio si sta sciogliendo, che lo fa più velocemente del previsto e che gli effetti, non ancora evidenti, potrebbero far precipitare la situazione nel resto del globo.
Una cosa è certa: i mutamenti climatici stanno accelerando. Il loro rapporto col fattore tempo è decisivo. Il tempo in cui hanno luogo è legato a sua volta all’inerzia intrinseca nelle dimensioni del sistema pianeta, sistema che comprende l’atmosfera che lo avvolge. Se, per miracolo, già oggi le emissioni si azzerassero del tutto, ciò non eliminerebbe i miliardi di tonnellate di gas inquinanti presenti nell’atmosfera e l’effetto serra continuerebbe. Il modello di sviluppo che l’umanità si è data dall’inizio dell’era industriale ha assoggettato scienza e tecnologia al primato del profitto e del capitalismo. La politica e i meccanismi del consenso democratico hanno fatto il resto. I segnali che il pianeta manifesta ci dicono chiaramente che il modello di sviluppo basato sullo sfruttamento delle risorse fossili è il principale responsabile dei mutamenti in atto e che dobbiamo correre ai ripari. Saranno la scienza e la tecnologia in grado di mettere fine ai guasti da esse stesse creati? Ce lo auguriamo. Ma ciò non potrà accadere fin quando la politica continuerà ad avere buon gioco sulla scienza. Fin quando a politici irresponsabili sarà permesso di occupare posizioni di comando sulla scena mondiale.