1945-2025 – A 80 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Klaus Jungermann aveva otto anni e stava giocando nel suo giardino di casa quando sentì colpi di arma da fuoco. Le SS stavano uccidendo decine di internati militari italiani (IMI). Oggi Klaus Jungermann ha 88 anni e ha voluto rilasciare l’intervista al Corriere d’Italia sul suo ricordo del massacro di Kassel del sabato di Pasqua, 31 marzo 1945, alla stazione ferroviaria di Wilhelmsbad. Fu il comandante di polizia cittadina, l’SS Franz Marmon, a dare l’ordine di giustiziare sommariamente 78 italiani, colpevoli di aver preso da mangiare da un treno di rifornimento.
Lo scorso 30 marzo, una fredda domenica, un gruppi di soci ANPI della sezione di Francoforte insieme ad alcuni liceali della Freiherr-vom-Stein-Schule di Francoforte, che hanno fatto una ricerca storica sull’eccidio, accompagnati dalla loro insegnante, sono stati a Kassel per commemorare le vittime dell’eccidio di Kassel, insieme ad associazioni tedesche antifasciste. La commemorazione ufficiale, della città di Kassel in presenza del Console Generale di Francoforte, Massimo Darchini, si è tenuta il giorno dopo, 31 marzo, a 80 anni esatti dalla strage.

Signor Jungermann, all’epoca lei era un bambino. Che cosa vide? Dove si trovava?
All’epoca avevo otto anni, vivevamo nella Backmeisterweg 26, che è proprio dove oggi si trova la stele commemorativa dell’eccidio. Dietro casa nostra c’era una piccola ferrovia a binario unico, la ferrovia di Wilhelmsbad. Ero in giardino sotto un albero e stavo costruendo il nido per il coniglietto di Pasqua. Mentre ero occupato lì, ho sentito sparare con la mitragliatrice, Allora mi sono avvicinato al recinto del giardino, proprio di fronte alla linea ferroviaria. Lì intorno c’erano crateri delle bombe e ho visto i vostri compatrioti che venivano portati dentro e venivano fucilati. Era un campo di grano, tuttora coltivato, pieno di crateri di bombe, lanciate per colpire la ferrovia. E gli italiani furono condotti dentro questi imbuti, uno per uno, in fila indiana. Non so quante persone ci fossero in cima in piedi, probabilmente erano i soldati che sparavano. Non ho guardato a lungo perché mia madre che era in casa e aveva sentito gli spari, mi ha visto in piedi davanti alla recinzione e mi ha gridato di salire immediatamente in casa.
non avevo mai visto nulla di simile, era terribile (K.Jungermann)
Ha visto l’ufficiale delle SS che ha dato l’ordine di uccidere?
Durante la fucilazione ho visto un uomo che evidentemente era il comandante Marmon. Indossava una specie di trench. Sbraitava e, se gli italiani non entravano abbastanza velocemente nel cratere, gridava “dalli, dalli” e spingeva alcuni di loro con un calcio nel sedere.
Quando ha visto tutto questo ha avuto paura?
Paura? Non lo so. Eravamo già abituati a molte cose a causa della guerra. Ma non avevo mai visto nulla di simile, era terribile.
Quando e come ha scoperto che cosa era successo veramente? Si sapeva che cosa era successo?
Si disse allora che gli italiani avevano fame e avevano preso da mangiare da un treno di rifornimento. Anche i tedeschi erano stati lì e forse avevano iniziato loro. Gli italiani erano lì (a lavorare n.d.r.) senza guardie.
Anche mio fratello maggiore, che era disabile e quindi a casa, aveva osservato tutto. Era furioso e inveiva terribilmente. Gli americani erano già a portata di tiro. Si poteva già sentire che sparavano dagli Hercules.

Avevate la sensazione che la guerra stesse finalmente per finire?
Sapevamo che gli americani erano vicini e che gli ultimi soldati tedeschi che erano ancora lì se n’erano andati.
In tutti questi anni, è la prima volta che parla pubblicamente della sua esperienza?
No. Ho rilasciato un’intervista a un redattore dell’HNA (Hessische Niedersächsische Allgemeine) almeno 10 anni fa.
Quest’anno lei è andato alla commemorazione, alla quale hanno partecipato anche l’Associazione Partigiani Italiani (ANPI), alcuni studenti e Giancarlo De Simoi. È stata la prima volta?
No, non era la prima volta. Ma non sempre mi sono fatto riconoscere.
Cosa c’è di diverso questa volta, perché ha cercato il contatto?
Avevo letto sul giornale locale della commemorazione del 30 marzo. All’inizio ho pensato che fosse quella della città di Kassel, ma questa si è svolta il 31 marzo. Domenica 30 c’erano italiani anche giovani, con bandiere e striscioni e il signor De Simoi, che poi mi ha avvicinato.
Lei convive con questo terribile ricordo. Cosa pensa oggi di quello che è successo quel fatidico sabato di Pasqua?
Come ho detto, è stata una storia terribile. Ho fatto l’insegnante e l’ho raccontata anche ai ragazzi. Ho vissuto l’intera guerra a Kassel con le spaventose notti di bombardamenti ed ero terribilmente scosso, ma da bambini si dimentica in fretta. Anche mio fratello era molto turbato in quel momento, tanto che voleva scendere al piano di sotto e dire la sua. Nostra madre lo trattenne.
Che cosa dissero i vostri genitori dell’eccidio? E poi che cosa è successo?
In seguito, nel bunker, abbiamo parlato con gli italiani sopravvissuti e abbiamo raccontato loro quello che avevamo visto. Erano persone molto amichevoli. Ci dissero che tutti gli italiani erano stati perquisiti e quelli che erano stati trovati con qualcosa da mangiare erano stati separati e uccisi. Agli altri non era successo nulla.
Di che bunker si trattava?
Il bunker in cui stavamo seduti insieme si trovava in un tunnel scavato in una montagna. Gli americani sarebbero entrati a Kassel solo il 4 aprile, e in quei giorni si sparava. Il bunker era stato pensato come rifugio per i passeggeri bloccati alla stazione ferroviaria di Wilhelmshöhe dai bombardamenti. Naturalmente, anche gli abitanti delle case vicine cercavano riparo lì e anche gli internati militari italiani sopravvissuti. Erano molto amichevoli, avevano un aspetto molto provato, non avevano molto da mangiare, avevano indumenti laceri e consunti. Venivano impiegati per riparare i binari della ferrovia.
Che cosa è successo poi dopo l’arrivo degli americani?
Qualche settimana dopo, quando gli americani erano lì, ho assistito all’esumazione dei corpi. Si diceva che erano stati impiegati funzionari del partito nazista. Il giornale locale, però, scrisse che erano prigionieri di guerra tedeschi, ma io non ci credo. Gli americani erano di guardia.
Klaus Jungermann, grazie per l’intervista.
(Giancarlo De Simoi ha contattato Klaus Jungermann e curato la trascrizione dell’intervista telefonica. Paola Colombo ha condotto l’intervista).

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