“… dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”, scriveva San Paolo.
Ci sono molte persone, in particolare sui social media, piene d’ipocrisia e prive di compassione, capaci di pontificare con facilità – ad esempio su Twitter – se si parla di gentilezza ma non sono in grado di mostrare vera gentilezza. Persone le cui vite sui social media sono casi di studio di aridità emotiva. Persone per le quali l’amicizia – e le sue aspettative: lealtà, compassione e sostegno – non contano più. Il bullismo via social media (con il pretesto della difesa dei diritti) e la cosiddetta “cancel culture” che commina pene gravissime a chiunque non si dimostri abbastanza fedele alla linea. Anche la regina Elisabetta d’Inghilterra, dunque, è finita nel vortice della cancel culture, quella cultura della cancellazione che sta portando sempre più spesso alla rimozione di statue dai luoghi pubblici e di nomi storici da prestigiosi istituti e vie: ad esempio il bronzo a figura intera di Edward Colston, lodato per le sue attività di filantropo fino allo scorso anno, era stato gettato in acqua a Bristol perché mercante di schiavi, durante le proteste del movimento “Black Lives Matter” scatenate dall’uccisione di George Floyd. E sempre a Oxford ha rischiato lo stesso trattamento la statua del colonizzatore d’Africa Cecil Rhodes davanti all’Oriel College, oggetto di numerose proteste da parte degli studenti. L’ultimo caso riguarda invece la Business School della City University di Londra, che dal prossimo settembre non sarà più intitolata a Sir John Cass, anche lui accusato di essersi arricchito con la tratta degli schiavi, ma a Thomas Bayes, teologo e matematico. Personalità fino ad oggi acclamate, dunque, stanno finendo a una a una sul muro della vergogna. Una caccia alle streghe che nel Regno Unito – ma come in tante parti del mondo – non sta risparmiando nessuno, nemmeno sua maestà. Come gli assurdi divieti di Kim Jong-Un in Corea del Nord, dove sono vietati jeans e film: “La punizione è la morte”.
Ecco allora che “todos los que habitan el planeta, incluyendo los locos y los idiotas, tienen derecho a la palabra pública…”. Era un’affermazione beffarda ma meditata del grande Umberto Eco.
“I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”.
I media non creano, ma coltivano e promuovono e gratificano l’imbecillità: perché fa vendere e fa votare. Pensiamo ai 4 miliardi di euro (un calo dell’1,6%) che Cristiano Ronaldo ha fatto perdere in una giornata alla Coca Cola (sponsor degli Europei di calcio) per avere solo spostato due bottigliette della stessa durante una conferenza stampa dicendo di preferire invece una bottiglietta d’acqua, “Acqua! Ecco cosa bisogna bere… acqua!” e così i quasi 300 milioni di follower su Instagram che seguono le sue pagine subito hanno boicottato la Coca Cola ed è chiaro come ogni sua mossa, post o battito di sopracciglio abbia una pesante conseguenza, oppure la sig.ra Ferragni che divenuta membro del Consiglio d’Amministrazione del gruppo Della Valle ha fatto balzare del 24% le azioni del gruppo in borsa.
Ma in tutto ciò ci si domanda: perché la gente porta e continua a portare il cervello all’ammasso, senza pensare con la propria testa? Ecco allora che siamo chiamati a guardare avanti, ma come?
Sostenibilità, colonialismo, migranti ecc.…ecc.…. sono i temi di moda oggi e guai se non ti adegui come dicono “loro”, sei fuori, sei un poveretto, sei contro l’emancipazione ed il nuovo corso mondiale.
Il suicidio di Seid Visin
Inoltre, il recente suicidio del giovane Seid Visin, ragazzo nero cresciuto in Italia che aveva scritto (due anni prima del suo tragico gesto) di volersi uccidere per gli sguardi “schifati” della gente nei suoi confronti ha riaperto il dibattito sul razzismo. Il suicidio di Seid è stato un dramma vero, ma le motivazioni non possono essere solo quelle dichiarate che sottolineano piuttosto una grande sua fragilità interiore, anche perché in Italia ci sono milioni di neri e di loro non si suicida nessuno ed oltretutto il ragazzo suicida era italiano da sempre. La stupidità e l’ignoranza, il timore inconscio delle persone nei confronti dei “diversi” sono sicuramente una costante, ma la discriminante non credo sia per il colore della pelle, ma quando appunto si equivoca tra razza e responsabilità personali, dimenticando o sottovalutando che la reazione a volte nasce spontanea per una eccessiva dose di “buonismo ufficiale” che – al contrario – tende a voler sempre giustificare ed assolvere tutti. Questo atteggiamento è frutto di timori inconsci, ma anche per situazioni che vediamo ogni giorno e che non riusciamo a giustificare.
Il razzismo nasce (purtroppo) per ignoranza
Ma quando si vedono le situazioni di migliaia di persone in condizioni disperate o che vengono sfruttate si deve imporre alla nostra coscienza la necessità di intervenire nell’aiuto, soprattutto nell’emergenza, anche se in noi stessi scatta la protesta per la mancanza di regole sia nell’immigrazione che a volte per i comportamenti di chi è accolto. Non si riflette abbastanza che il razzismo in gran parte sparirebbe se si pensasse che determinate persone, come i ragazzi autistici che portano avanti una pizzeria a Milano e che sono stati offesi in maniera indegna ed altri episodi nei confronti di altrettante persone degne del nome che portano: cioè persona umana e quindi rispettabile proprio perché persona in quanto tale, episodi di razzismo, bullismo ecc.…ecc. non avverrebbero.
Mentre noi ci facciamo o ci dovremmo fare (per fortuna) mille scrupoli, nel mondo non è così e chi conosce la realtà del Sudafrica – per esempio – sa che ad uno stato di apartheid è subentrata una pesante discriminazione contro i bianchi che pure hanno costruito il paese 400 anni fa. Allo stesso modo negli Stati nel Golfo milioni di pakistani, indiani, filippini e nepalesi sono schiavizzati, senza dimenticare la realtà cinese.
Ancora una volta si scopre che non è il colore della pelle od altro ad auto-discriminare, ma molto più spesso la religione, lo sfruttamento economico, la mancanza di diritti umani minimi rispettati a livello planetario. Temi su cui spesso non si ha il coraggio di intervenire con norme chiare e si preferisce far finta di nulla.
Tornando all’Italia una volta di più sono le regole che quindi vanno studiate, applicate e fatte rispettare. Senza regole rispettate cresce poi anche la demagogia, soprattutto se la lettura ufficiale e “politicamente corretta” dei fatti fa scattare la reazione negativa di milioni di persone che nel loro intimo diventano “razziste” (anche se non lo ammetteranno mai).
Quindi non cancellare la storia del passato ma essere cittadini consapevoli perché la storia deve e dovrà essere patrimonio di tutti, diritto di tutti, dovere di tutti.