Nella foto: Carcere. Foto simbolica. Foto di © Ute Friesen su Pixabay

La drammatica emergenza nelle carceri italiane: è tempo di agire

L’attuale situazione delle carceri italiane non può non essere posta al centro di una riflessione urgente e accompagnata dall’assunzione di provvedimenti immediati. È quello che chiedono a gran voce i penalisti italiani sottolineando il dato sconcertante relativo ai

suicidi nelle carceri, in costante aumento. L’Unione Camere Penali ha dato vita ad un’iniziativa di sensibilizzazione sull’intero territorio nazionale e ha proclamato tre giorni di astensione dalle attività giudiziarie dal 10 al 12 luglio. Una maratona oratoria, organizzata nei luoghi pubblici in tante città italiane, ha dato sostanza all’iniziativa che ha puntato sul coinvolgimento della comunità per evitare di confinarsi in angusti ambiti settoriali dove l’ascolto rischia di essere riservato agli “addetti ai lavori”. È importante sensibilizzare la comunità e raggiungere anche persone distanti per “dar voce a chi non ha voce”.

La Comunità non può rimanere estranea al dibattito e, per consentire profondità allo stesso, alla conoscenza. Solo la conoscenza effettiva stimola un piano di reale presa di coscienza e di sensibilizzazione. Un giro di chiave e una porta in ferro che si chiude “al mondo dei liberi” non possono farci pensare che il problema non ci riguardi. C’è un mondo, quando si chiude l’accertamento processuale, che merita attenzione. C’è un’umanità. I dati sul sovraffollamento cronico sono una piaga che ciclicamente torna a manifestarsi rallentando il percorso di riabilitazione che è il vero obiettivo cui deve tendere la pena, anche in ottica costituzionale.

La carenza di spazi adeguati, poi, incide sulle condizioni di vita del detenuto e finisce per frustrare la funzione più dinamica della sanzione. Così, risocializzazione, reinserimento, rieducazione, finiscono per diventare parole vuote. Concetti troppe volte abusati, sempre evocati nei dibattiti ma privi di rapporto con la quotidianità della vita carceraria. Soprattutto nello scarto tra le buone intenzioni e la fredda realtà. E tanto, anche a fronte di esempi virtuosi che molti operatori ci offrono nella difficile quotidianità di lavoro, che si svolge in condizioni di addizionale disagio proprio con riferimento alla capienza. Attualmente nelle strutture ci sono 10.000 persone in più di quelle che potrebbero essere ospitate seguendo i parametri di vivibilità consona agli standard imposti anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Questa grave criticità si ripercuote anche sugli operatori interni, sul personale addetto, sulla polizia penitenziaria su tutti coloro che sono chiamati a svolgere le loro attività nell’ambito degli istituti di pena. Si crea così un ostacolo alle più virtuose prospettive di fruizione dei programmi di positiva socializzazione all’interno degli spazi chiamati a ospitare i detenuti. Dalle cure sanitarie alla sorveglianza, all’assistenza in generale nei molteplici aspetti.

Il sovraffollamento è tossico, crea invivibilità, frustrazione, disperazione e mina il percorso che faticosamente le strutture e il personale sono chiamati a offrire nella quotidiana dimensione di una pena che si rifletta nella funzione risocializzante. Ed è in questa situazione di oggettiva criticità che balzano agli occhi i dati relativi ai suicidi in carcere. Sono questi dati ad aver rappresentato il punto di crisi sul quale l’iniziativa dei penalisti si è meritoriamente inserita nella sensibilizzazione della drammatica tematica sulla quale ha richiamato, con appassionato impegno, l’attenzione della comunità.

I suicidi nelle carceri sono dieci volte maggiori rispetto al tasso medio dei suicidi delle persone in libertà. Ad oggi, sono oltre 60 i detenuti che si sono tolti la vita nel 2024, senza contare anche quelli di alcuni operatori all’interno degli istituti di pena. In media, ogni quattro giorni, un detenuto si toglie la vita. Un numero impressionante che deve farci riflettere, soffrire e che non può lasciarci indifferenti. In tanti, in troppi, si tolgono la vita all’interno delle strutture. Sono i gesti estremi che pongono fine ad una esistenza, spesso molto giovane, nella disperazione che diventa, evidentemente, insopportabile. Diventa una soluzione estrema quando il buio si impadronisce della vita e si perde ogni orizzonte di speranza. Senza contare poi, i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo che si registrano con grande frequenza. Non è più possibile non guardare la drammatica realtà.

Un sistema che non riesce a dare risposte immediate a questa terribile emergenza non è accettabile. Servono interventi immediati, tangibili, efficaci e non “pannicelli caldi”. Le strutture devono consentire al detenuto di riabilitarsi e non possono rappresentare luoghi di sofferenza e di disperazione all’interno dei quali non sia valorizzata nel percorso riabilitativo la centralità dell’uomo.

Una persona che ha perso sì la libertà – ed è affidata alle cure dello Stato – ma mai può perdere la dignità o può diventare soggetto passivo di trattamenti degradanti. La legalità vince contro l’illegalità se il rispetto delle regole e la punizione sono in grado di mostrare un volto umano, credibile e rispettoso dei diritti: alla salute fisica, psichica ed alla socialità. Una socialità virtuosa che gioca un ruolo fondamentale nel percorso. Le condizioni minime per intraprendere o continuare un itinerario riabilitativo passano inevitabilmente dal diritto effettivo di poter avere spazi adeguati nei quali trascorrere la giornata. Ed è lunga la giornata quando si è privati della libertà e finisce per complicarsi anche l’espletamento di quotidiane attività ordinarie.

Non è possibile pensare a una sorta di extraterritorialità degli istituti carcerari nei quali per inefficienze croniche dello Stato si assista a una sospensione delle garanzie fondamentali della persona che partono proprio dal rispetto della sua dignità di uomo. In queste condizioni, i più fragili, i più bisognosi di cure finiscono per abbandonarsi alla disperazione.

È il momento di dire basta. Lo impone la coscienza individuale e collettiva, lo impone il rispetto della Costituzione, lo chiedono in silenzio le migliaia di persone che vivono oltre un cancello che non può rappresentare il vuoto delle Colonne d’Ercole che dividono i due mondi. Pensare a quelle celle affollate, a quegli spazi angusti, a quel disagio quotidiano e a quella afflizione credo sia un dovere per chi si batte per la legalità, per il rispetto delle regole, per lo stato di diritto. Non può essere un dolore circoscritto alle famiglie dei detenuti.

Ora è tempo di dar forma a provvedimenti immediati ed efficaci. Non è più tempo delle contrapposizioni di bandiera o delle dissertazioni accademiche. Serve un cambio di rotta e una chiara volontà di intervenire con urgenza. Ci auguriamo che la politica sappia farsi carico di questa emergenza ponendola tra le priorità d’agenda e le istituzioni sappiano adottare provvedimenti immediati.