La triste serie delle violenze sulle donne e dei femminicidi sembra inarrestabile. Molto spesso gli aguzzini sono loro supposti “innamorati”, spasimanti, fidanzati o ex, mariti, incredibilmente anche fratelli o padri. Persone che dovrebbero proteggere le donne che dicono di amare, ma che invece si arrogano solo il diritto di possedere quegli esseri umani di genere femminile. Si arrogano il diritto di spegnerle quando si mettono in testa di compiere scelte autonome, rispondendo ai propri desideri ed alla vita che ritengono essere la più adatta a loro. Ora molto più spesso le istituzioni rispondono con velocità alle denunce, ma spesso in passato le autorità hanno derubricato questi episodi o hanno implicitamente incolpato le donne di aver provocato o animato queste violenze; come se agire con libertà, indossare un indumento piuttosto che un altro, fosse una provocazione tale da giustificare l’uomo ad agire un atto vile, di proditorio dominio verso la donna.
Gli aguzzini pensano di poter fermare queste donne distruggendole, ma quando malauguratamente questo accade, capita che il loro messaggio diventi invece così dirompente da renderle ancora più sfrontate, ancora più orgogliose da morte che da vive. Grazie alla memoria di queste donne, altre donne prendono coraggio, sorgono fondazioni o movimenti a loro dedicate, un vero e proprio “effetto farfalla”, una piccola variazione nelle condizioni del sistema, “solo” una vita che si spegne, capace di produrre grandi variazioni nel lungo termine.
La storia di Agata
Conosceva e temeva questo effetto l’imperatore Settimio Severo che, dopo un viaggio in Palestina nel 199 d.C., percepì il pericolo portato al sistema dalla religione cristiana e la dichiarò illecita. Il suo successore Decio inasprì ancora questo editto: il culto cristiano se scoperto, conclamato e non abiurato, comportava automaticamente la pena di morte. Il sistema era calcolato, l’imperatore teneva più a fare apostati che martiri, i martiri con il loro orgoglioso esempio erano più pericolosi dei cristiani vivi.
Agata nasce probabilmente a Catania, intorno al 235 d.C. da una famiglia cristiana, nobile e per questo più libera di professare le proprie idee, possidente di terreni, colture ed immobili. Viene cresciuta dal padre Rao e dalla madre Apolla, che le fanno seguire le migliori scuole filosofiche, letterarie e di retorica, come si conveniva al tempo ad una nobildonna romana, donandole in più i valori cristiani, così vivi e ferventi in quei primi secoli. Cresce quindi come ragazza colta e consapevole e, giunta all’età di 15 anni, esprime la volontà di consacrarsi a Dio. Il vescovo di Catania accoglie la sua richiesta e, con la celebrazione del rito della “velatio”, le dona il “flammeum”, il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Queste donne, con il loro stile di vita originalissimo per l’epoca, dedicato alla preghiera, al servizio dei poveri ed alla formazione dei giovani e dei catecumeni – i più nuovi alla Fede – costituivano qualcosa di radicale ed incomprensibile per la cultura pagana ed edonista del tempo.
Catania era già da secoli un centro strategico di scambi commerciali, di cultura vivacissima, di ingenti ricchezze, le era quindi assegnata la sede consolare: il console rappresentava in tutto e per tutto il potere imperiale romano, amministrava la legge, garantiva il regolare pagamento dei tributi, si circondava di una vera e propria corte di consiglieri, funzionari, servitori e militari. Nel 250 d.C. giunge in città a ricoprire questa funzione, Tiberio Claudio Quinziano, già senatore e discendente di tre imperatori, con il compito di riportare l’ordine romano in questa città diventata troppo liberale, anche a costo di utilizzare violenza e censura. Agata gli passa un giorno dinanzi ed egli, attratto dal colore rosso inusuale del suo velo, non può fare a meno di notare la sua grande bellezza, se ne incuriosisce e chiede informazioni su di lei. Viene informato che è una giovane e ricca nobile ma con un lato inconfessabile, è cristiana ed ha giurato di consacrare la sua verginità al suo Dio “illecito”.
Quale migliore occasione per l’ambizioso console di affermare pubblicamente la sua autorità e far valere gli editti imperiali, utilizzando come manifesto una donna nobile e bella?
Fa convocare quindi Agata nel palazzo pretorio e le chiede di abiurare, di abbandonare la sua fede illegale e di adorare gli dèi pagani ma ella oppone un netto rifiuto. Questo è inaccettabile da una donna, pure se colta e nobile, si impone quindi di correggere questa sua assurda sfrontatezza, ma non è opportuno condannarla già a morte, c’è una legge che tutela i minori ed il popolo avrebbe il diritto di ribellarsi per difenderla. Viene quindi pianificato un percorso di “recupero”, comandando il suo affidamento alla sacerdotessa di Venere, Afrodisia, ed alle sue figlie, solite praticare festini licenziosi e prostituzione rituale: finalmente riuscirà ad essere attratta dalla bellezza dello stile di vita pagano e dai piaceri della carne. Dopo un mese, Agata viene rimandata indietro con un lapidario commento
“Ha la testa più dura della lava dell’Etna!”.
Un altro seccante ed incomprensibile insuccesso! Non è più tollerabile questa insubordinazione alla legge, viene quindi deciso ed istruito il processo. Una volta giunta in tribunale, Agata viene interrogata “Come mai tu che sei nobile ti abbassi alla vita umile e servile dei Cristiani?” ed ella “Sebbene io sia nobile, tuttavia sono schiava di Gesù Cristo.” “Ed allora – continuò il magistrato – in che consiste la vera nobiltà?” “Nel servire Dio!” fu la sapiente risposta. Il console, profondamente irritato dalla sua fermezza, la fece fustigare e gettare in carcere deciso a passare alla tortura per farla cedere: prima fu legata alle macchine di trazione per slogarle i polsi e le caviglie, ma con nessun risultato… fu quindi deciso di amputarle entrambi i seni con due grosse tenaglie. Prima di svenire per il grande dolore, non esitò ad accusare il suo persecutore “Empio, crudele e disumano tiranno! Non ti vergogni di strappare ad una donna quello che tu stesso succhiasti dalla madre tua?”. Fu riportata in cella sanguinante, dove la tradizione tramanda che venga visitata in sogno da San Pietro che le guarisce miracolosamente le ferite. Il giorno successivo Quinziano vide che la “fanatica cristiana” è stata sanata; la testimonianza di questa ragazza è ormai troppo scandalosa, decide di farla sparire velocemente ed insieme con lei il suo insuccesso, di arderla viva sul rogo. Non appena Agata fu messa sul fuoco, l’Etna provocò una grande eruzione ed un terremoto, parte del palazzo Pretorio stesso crollò uccidendo molti membri del seguito del console. La popolazione – a cui era giunta la notizia delle gravissime torture inflitte alla giovane Agata così come della sua virtù e della sua fermezza – decise di sollevarsi, ribellandosi al console per difendere la giovane, avendo compreso dai segni manifestatisi la potenza del vero Dio che la difendeva. Quinziano fu costretto a far estrarre Agata dalla fornace ed a fuggire.
Il suo velo rosso, che l’aveva fatta notare da Quinziano condannandola, ma segno del suo dono a Dio, si era sorprendentemente conservato intatto dalle fiamme. Agata, come riportano le testimonianze scritte del tempo, spirò poche ore dopo dicendo “Signore mio Dio, che mi hai protetto fin dall’infanzia ed hai estirpato dal mio cuore ogni affetto mondano e mi hai dato forza nei supplizi, ricevi ora in pace il mio spirito”, era il 5 Febbraio del 251 d.C. e da subito crebbe fortissima la venerazione per questa ragazza. Un anno dopo, il 1° Febbraio, l’Etna esplose in una nuova terribile eruzione, la colata lavica arrivò alle porte della città ed allora il popolo, che ricordava il triste anniversario, corse a prendere il velo, che ancora oggi come allora si conserva nella cattedrale di Catania. Con la sua ostensione in processione, ottenne che la lava fiammeggiante si fermasse, esattamente il 5 Febbraio, il giorno di Agata. Ella venne subito proclamata Santa e patrona della città.
Questo segno salvifico è stato ottenuto nella storia della città quindici volte, l’ultima nel 1886.
Sappiamo riconoscere chi sono i Quinziano del nostro tempo?
Quelli che slogano i polsi, quelli che schiaffeggiano e spezzano le ossa, quelli che spingono alla prostituzione, che non tollerano o che approfittano degli indumenti che le donne scelgono di usare? Chi sono gli aguzzini che sfigurano queste donne con le lame o con gli acidi, che le uccidono e poi cercano di distruggere con il fuoco il loro corpo, fisicamente e simbolicamente? Oggi, come in quella Catania così liberale, le donne sono uccise per gli stessi motivi: perché si rifiutano di essere considerate un accessorio dell’uomo e della società, si rifiutano di farsi possedere da loro, hanno l’imperdonabile colpa di voler liberamente scegliere la propria vita. Capiamo allora bene come mai Sant’Agata è patrona prima di tutto delle donne che subiscono violenza e la preghiamo perché infonda sempre in noi ed in loro il coraggio e la fermezza della vera Libertà.