L’annunciato flop della partecipazione popolare al voto referendario crediamo abbia purtroppo definitivamente affossato questo sistema di democrazia diretta nel nostro paese.
Certamente ha pesato la poca informazione, il disinteresse generale, ma anche la consapevolezza tutta italiana che le cose tanto non cambiano mai, soprattutto quando c’è di mezzo la magistratura.
Restano però aperte alcune questioni di fondo che non si possono dimenticare
In primo luogo, si prenda atto che non ha più alcun senso pretendere una partecipazione sopra il 50% per dare validità ad un referendum quando a votare ormai va comunque solo una minoranza degli elettori perfino per le elezioni “normali”, come confermato dal voto sui referendum. È evidente che – se si crede nella democrazia diretta – bisognerebbe avere altri parametri per legittimare un voto referendario, per esempio collegandolo ad una percentuale minima di votanti rapportata a quella delle ultime elezioni politiche e soprattutto passando a referendum “propositivi” e non solo abrogativi.
In secondo luogo, bisogna prendere atto che, come sempre, milioni di cittadini all’estero sono teoricamente essenziali per raggiungere il “quorum” ma in pratica non possono votare neppure volendo. Sembra una questione marginale, ma o il voto all’estero viene escluso dal “quorum” o bisogna far votare in modo più semplice e trasparente chi è iscritto all’Aire.
C’è poi da chiedersi perché – nel momento in cui la raccolta delle firme referendarie può essere ora effettuata anche per via informatica – non si possa votare almeno per i referendum tramite Pec od altro sistema online di voto, ovviamente verificato.
Fin qui il “flop” referendario, ma pur non raggiungendo il quorum il voto ha comunque chiaramente indicato quale sia il pensiero degli italiani rispetto ai quesiti che erano stati loro posti e di questo bisognerebbe lealmente tenerne conto.
Il nostro paese sta vivendo una profonda crisi strutturale
E questo è innegabile. Come è innegabile che per affrontare una crisi strutturale, occorra un rinnovamento culturale. Cultura deriva dal verbo latino Colere, “Coltivare” ed indentifica un insieme di conoscenze. Il nostro paese per affrontare la sua crisi strutturale ha bisogno di un insieme di conoscenze. Ha bisogno di processi di sistema, con cui coltivare nuovi modi di vivere il paese, mettendo da parte processi di natura speculativa che hanno la sola specificità di oltraggiare risorse pubbliche a discapito delle esigenze della comunità.
L’insieme politico nel nostro paese ha subito dei mutamenti, non trascendentali, ha una matrice conservativa predominante. Si sono inseriti nello scenario politico del nostro paese i Movimenti civici, con l’obiettivo di avvicinare l’agire politico al cittadino che li ha delegati a rappresentarli attraverso il voto, cosa che i partiti tradizionali hanno a nostro avviso perso di vista. Le persone che la domenica delle votazioni hanno partecipato in modo attivo, alla designazione referendaria, a prescindere dall’espressione di voto, smentiscono questa visione. La consultazione referendaria di domenica non è un’espressione di disaffezione all’agire politico. È una precisa richiesta di un diverso modo di procedere della politica, nei confronti del cittadino che attraverso il voto gli ha concesso il privilegio di rappresentarlo.
Non c’è disaffezione nei confronti del mondo politico. Il voto referendario ha espresso in modo palese una richiesta di concretezza politica, lontana da contorsionismi verbali, che avvicinano la sfera politica a quella circense che ha nella sua prerogativa quella di coltivare l’illusorio ed i numeri ad effetto. Quando un paese attraversa una crisi strutturale, la politica non deve perdere tempo con l’autoreferenzialità, espressa nella ricerca spasmodica di alleanze che hanno il solo scopo di creare una base numerica solida.
I Movimenti civici sono nella loro intenzione un modo diverso di vivere la politica
Nel loro muoversi c’è il proposito di dare concretezza alla loro azione politica, attraverso un maggiore contatto con il cittadino. C’ è anche una contrapposizione nei confronti dei partiti tradizionale. Una posizione culturale diversa. Un diverso modo di vivere l’essere cittadini, soprattutto nel momento in cui si diventa elettore. I Movimenti civici a nostro avviso palesano ancora un problema di maturità politica. Devono trovare elementi di coesione fra loro, senza snaturare le diverse anime che compongono questi movimenti.
Interessante, per esempio, sottolineare che le percentuali tra SÌ e NO non sono molto diverse tra le città dove si è votato per i soli referendum o anche per le amministrative e dove quindi c’è stata una platea di elettori sufficientemente vasta e trasversale. Ovunque il SÌ è stato maggioranza confermando che i cittadini italiani vorrebbero effettivamente i cambiamenti proposti con i referendum e soprattutto che una larga maggioranza chiede un diverso sistema di elezione del CSM e boccia l’interscambio delle carriere tra PM e giudici. Al di là della loro validità giuridica questa chiara indicazione popolare dovrebbe essere quindi ammessa da tutti – in primis dai magistrati – con governo e parlamento che dovrebbero tenerne conto nelle scelte legislative. Pia illusione? Temiamo di sì.
Dove è andato unito il centro-destra ha vinto dove è diviso perde. Pertanto – visto il suo buon risultato elettorale – si è aperta da sinistra la “caccia alla Meloni”, sport che prenderà piede nei prossimi mesi in vista delle elezioni politiche con vivisezionamento di ogni frase pronunciata dalla leader di FdI alla ricerca della percentuale intrinseca di fascismo, mentre non mancheranno indagini per la scoperta di presunti scandali finanziari, pseudo inchieste giornalistiche e magari qualche opportuno rinvio a giudizio nei tempi giusti. Vedrete se non ci si sbaglia: la sinistra ha bisogno di un “nemico” per unirsi e tentare la rivincita, tenuto conto anche del flop degli alleati del M5* che ora ancor più con la fuoriuscita del Ministro degli Esteri Di Maio, sono quasi scomparsi dall’agone politico, pertanto azzoppati Berlusconi e Salvini ecco arrivare il turno della Meloni.
Da tutta questa vicenda l’unica morale che si può trarre è che le riforme hanno un senso se rispondono a un bisogno espresso dalla realtà, viceversa divengono puro esercizio di potere.