Manca poco al 12 giugno, giorno in cui gli italiani dovrebbero votare i referendum sulla giustizia e sui quali pende il “rischio quorum”. Qualcuno può dissentire su alcuni particolare dei testi proposti, ma il vero ed autentico “peso” politico sarà nel vedere se gli italiani avranno finalmente il coraggio di uscire dall’apatia per sottolineare almeno con il voto la propria insoddisfazione nella gestione complessiva della giustizia nel nostro paese. Una bassa affluenza e quindi il fallimento referendario favorirebbe il conservatorismo delle toghe, rallentando la strada verso riforme serie ad un “sistema” che non vuole cambiare.
Da sottolineare che per ora non c’è stato il tanto paventato disgelo dell’informazione (RAI compresa, ovviamente) sull’iniziativa promossa da Radicali e Lega, ed anche il presidente dell’Unione Camere Penali Gian Domenico Caiazza ha parlato di “servizio pubblico radiotelevisivo che sta venendo meno clamorosamente alla sua funzione”. Lamentarsi sempre e poi non andare neppure a votare è una sciocchezza, quindi bisogna votare e far votare: è importante. In un trentennio il prestigio delle toghe italiane è crollato: dal 90% del 1992 a solo il 32% degli italiani oggi che dichiara di avere fiducia nei suoi magistrati, con punte ancora più basse (fino a sotto il 25%) tra gli elettori che si ritengono di centrodestra. In particolare, le critiche riguardano i tempi eccessivi dei processi mentre viene apprezzata (58%) la necessità di dividere una volta per tutte le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti.
Difficilmente, però, i referendum anche su questo tema avranno successo perché molto probabilmente mancherà il “quorum” dei votanti: la maggioranza degli italiani (oltre il 60%) non intende più andare a votare su quesiti giudicati poi comunque inapplicati dal “palazzo”, visti gli esiti inapplicati dei referendum precedenti. Ecco, quindi, il desolante scenario attuale: mostra che alla prevalente sfiducia nei confronti dei partiti e della politica si somma anche la sfiducia verso i magistrati e l’insoddisfazione per l’amministrazione della giustizia. Ne esce un quadro molto preoccupante di credibilità generale: quando l’impopolarità dei giudici si somma a quella per i politici è una sconfitta per tutti. Giusto 30 anni fa cominciava a Milano l’epopea di “Mani pulite” che portò ad una rivoluzione politica nel nostro paese e che – vista in retrospettiva – ha sottolineato in fondo l’ennesima occasione mancata.
Quale il bilancio dopo trent’anni?
Crediamo che ci sia un po’ meno corruzione spicciola almeno a livello politico, molta burocrazia in più e semmai che la truffa la si organizza ormai in grande stile (vedi quella recente sui superbonus energetici) a botte di decine di milioni di euro, con superamento di infantili buste e tangenti. Una sorta di “tangente di stato” che supera ogni epoca ed ogni confine.
All’inizio fu davvero una rivoluzione, ma aveva ragione l’allora leader socialista Craxi nel denunciare senza ipocrisie che quello era il “sistema” – a valere almeno per il cosiddetto “arco costituzionale” – cui quasi tutti ricorrevano. Ma proprio allora scattò la debolezza del pool di Milano quando ammazzò il PSI, polverizzò in frammenti la DC, ma facendo finta di non vedere cosa accadesse in casa comunista. Dopo i primi mesi di gloria, ottenuto il “ribaltone” politico, preparato il successo del PDS (mancato di un soffio) per la gioiosa “macchina da guerra” di Achille Occhetto, ecco nel 1994 arrivare inaspettato Berlusconi a scompaginare i piani, tanto che il “nemico” dichiarato del “pool” divenne sostanzialmente proprio il “Cavaliere”, uno che sicuramente non era e non è uno stinco di santo, che ha fatto di tutto per auto-distruggersi, ma contro il quale si è voluto insistere anche per preconcetto politico e soprattutto senza tenere un pari atteggiamento inquisitorio verso molti altri politici corrotti di ieri e di oggi e soprattutto quando di mezzo ci sono proprio i “signori magistrati” che, troppe volte, sono diventati una casta nella casta arrivando poi – scatenati – a sbranarsi tra di loro.
Sono infatti poi cominciate anche le guerre fratricide: è notizia importante che perfino Piercamillo Davigo (colui per il quale tutti sono delinquenti e solo lui è il santo in terra) sarà processato e – proprio nel giorno del trentesimo anniversario di “Mani pulite”, il destino fa davvero strani scherzi – l’ex pm del pool ed ex consigliere del Csm è stato rinviato a giudizio con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio per aver divulgato i verbali di Piero Amara e relativa loggia massonica “Ungheria” (altra ingarbugliata vicenda in cui il più sano ha la peste). La Procura di Milano trent’anni dopo è sempre un fortino assediato ma politicamente schierato, dove non si capisce più però chi siano gli attaccanti o i difensori, gli Arapaho, come i Cheyenne e i Sioux o i pochi superstiti del generale Custer. Insomma, una guerra di bande, altro che “Mani pulite”.
Francamente un peccato e quindi: ben vengano questi Referendum!