Angela Merkel ha vinto le elezioni e tuttavia la vera perdente è lei, anche se governerà la Germania per i prossimi quattro anni. In estrema sintesi i perdenti sono i partiti di governo, la Cdu-Csu (Unione Democratica Cristiana e Unione Cristiana Sociale) che con il 33% delle preferenze ha perso oltre l’8% rispetto al 2013 e i Socialdemocratici della Spd che con il 20,5% hanno ottenuto il peggior risultato dalla fine della seconda guerra mondiale. Tali partiti hanno formato, nella legislatura 2013-2017, una “Große Koalition”, cioè, per dirla all’italiana, un governo di larghe intese. Avrebbero ancora insieme i numeri per formare un governo di coalizione, tuttavia difficilmente ciò potrà accadere.
Passiamo ai veri vincitori. Sono tutti gli altri partiti in primis l’Afd (Alternative für Deutschland) che col 12,6% si è aggiudicato il terzo posto e i liberali della Fdp che hanno avuto il 10,7% delle preferenze. Entrambi questi partiti non erano presenti nella precedente legislatura perché nelle elezioni del 2013 non avevano raggiunto la soglia di sbarramento del 5% prevista dalla legge elettorale tedesca. Ma c’è un distinguo da fare. Mentre l’Fdp è un partito con una lunga storia alle spalle (ha fatto parte di precedenti governi e per anni ha svolto la funzione di ago della bilancia tra Cdu-Csu e Spd) l’Afd è una “new entry” nel panorama politico tedesco essendo stata fondata nel 2013 (pochi mesi prima delle elezioni in cui ottenne il 4,7% dei voti). Gli altri due partiti “vincenti” sono Die Linke (la sinistra) e i Verdi che rispettivamente con il 9,2% e l‘8,9% hanno migliorato i risultati delle precedenti elezioni.
Fin qui i numeri. Per i meccanismi propri del sistema elettorale tedesco essi daranno luogo all’assegnazione di seggi parlamentari e sulla base di questi si svolgeranno le negoziazioni per la formazione del prossimo governo. Le possibilità non sono poi molte.. L’Unione si alleerà con i liberali e i Verdi? L’Spd andrà all’opposizione? Sono questioni importanti, ma scontate. Meno scontato sarà capire il peso che la vittoria dell’Afd avrà a livello locale ed europeo. Senza avere la pretesa di esaustività alcune considerazioni possono essere fatte fin da subito.
In ambito europeo e fatta eccezione per l’Inghilterra (che però con Brexit è ormai fuori dall’Europa) la Germania è l’unico grande paese in cui i principali partiti storici non sono scomparsi.. Essi sono nati alla fine del secondo conflitto mondiale quando il paese era distrutto, le città un ammasso di macerie senza paragoni nel vecchio continente, la popolazione stremata e decimata dopo sei anni di una guerra causata dalla pazzia nazionalsocialista.
Il riferimento è d’obbligo perché negli ultimi settanta anni la mentalità tedesca è stata segnata come in nessun altro paese, in Europa e nel mondo, dagli orrori della guerra. Lo sterminio di sei milioni di ebrei ha lasciato un profondo senso di colpa in (quasi) tutto il popolo tedesco. Ancora oggi se ne colgono i segni allorquando, il 27 gennaio, si celebra il giorno della memoria nei memoriali e nei numerosi campi di concentramento di cui è disseminata la Germania e non solo. Luoghi in cui affluiscono gli ex-deportati ancora in vita, anziani di mezza Europa sopravvissuti allo sterminio. Accanto al senso di colpa delle generazioni più vecchie, nei più giovani c’è tuttavia un desidero di affrancarsi da colpe che – dicono – non sono le loro, semmai dei padri e dei nonni.
Se, dunque, c’è un aspetto che la società tedesca dovrà comprendere e analizzare prossimamente è come sia stato possibile che un partito nazionalista ed anti-europeista come Afd, dichiaratamente xenofobo, abbia potuto ottenere un così largo consenso da raggiungere quasi il 13% delle preferenze, diventando il terzo partito del paese. Nel Land della Sassonia, nella ex-Ddr, Afd è diventato il primo partito in assoluto col 27% delle preferenze. È il Land con capitale Dresda, città in cui è nato, nel 2014, il movimento xenofobo e anti-islamista denominato Pegida. Nell’intera Germania orientale, l’ex-Ddr, l’Afd è il secondo partito dopo l’Unione Cdu-Csu. Se, dunque, c’è un aspetto che osservatori e analisti dovranno chiarire nei prossimi giorni, settimane o mesi è come mai dopo decenni di dittatura nella ex-Ddr e dopo un evento come la caduta del muro di Berlino il seme del nazionalismo e della xenofobia sia potuto rinascere così forte in Germania. Quattro anni fa soltanto per una manciata di voti Afd non era riuscita a entrare in parlamento. Ora ben 94 deputati siederanno nei seggi del Bundestag. Tra loro c’è un po’ di tutto: nostalgici della dittatura, dissidenti dichiarati, negazionisti dell’olocausto e persino un ex-impiegato della Stasi (Staatssicherheit – Sicurezza dello Stato, ndr) la polizia segreta dell’ex-DDR magistralmente descritta nel film “La vita degli altri”.
Tra loro c’è anche il neonazista Björn Höcke, presidente del gruppo Afd al parlamento del Land della Turingia. Costui in un discorso tenuto a Dresda nello scorso gennaio ha affermato che i tedeschi sono “l’unico popolo al mondo ad aver piantato un monumento della vergogna nel cuore della propria capitale”. Il monumento in questione è memoriale all’Olocausto con 2711 stele grigie di calcestruzzo inaugurato nel 2005 a due passi dalla Porta di Brandeburgo a Berlino.
Concludendo, le elezioni tedesche aggiungono non pochi elementi di incertezza e di inquietudine al variegato quadro politico e sociale europeo e il tradizionale asse portante franco-tedesco ne risulta indebolito. Il populismo che nelle recenti elezioni francesi e olandesi aveva conosciuto una netta battuta d’arresto è tutt’altro che morto. Il 24 settembre in Germania la democrazia ha subito un duro colpo e questo Angela Merkel l’ha capito bene. I prossimi quattro anni saranno gli ultimi della sua lunga carriera politica. Il suo compito più difficile sarà quello di sventare il pericolo di una svolta populista che nel giro di pochi anni potrebbe trasformare radicalmente la società tedesca.