Lo dice la “Kriminalstatistik 2017” secondo la quale i crimini commessi da non tedeschi (italiani compresi) sono calati del 2,7 per cento e quelli commessi da tedeschi del 2,2 per cento.
Un altro dato che dimostra come il problema dell’immigrazione in Germania sia sottoposto a giudizi e valutazioni sempre più di stampo emotivo invece di essere sociologicamente fondati.
Germania: immigrazione uguale a confusione. Questa è la sensazione che regna in un Paese che è passato alla storia dell’umanità come il miglior organizzatore dell’era moderna. Sia in senso positivo che negativo.
La Germania, che nell’immediato dopoguerra ha organizzato il rientro di milioni di profughi e che poco prima dalla caduta del muro di Berlino è riuscita a integrare le migliaia di fuoriusciti clandestini dalla DDR, sembra ora attonita e avvilita di fronte alla questione dei profughi.
Ma, quando parliamo di Germania e del suo panico, parliamo innanzitutto del panico della sua classe dirigenziale politica mentre i numeri non giustificano le reazioni estreme dei governanti tedeschi e di alcuni partiti all’opposizione.
Il sociologo Marcus Engler, che è uno dei maggiori esperti in campo internazionale di fenomeni migratori, in un suo articolo pubblicato dallo “Spiegel” ha ricordato che è importante tornare a concentrarsi sull’essenziale. Essenziale, per esempio, è anche che in questo primo semestre 2018 il numero di rifugiati che ha varcato il mediterraneo si aggira attorno alle 50.000 unità. Un numero esiguo in confronto a quello registrato negli scorsi anni. In generale, Engler ha osservato che il trend dell’immigrazione clandestina è calante. Abbiamo pertanto a confronto un atteggiamento di panico (e non solo in Germania) con dati empirici che in realtà mostrano una certa distensione nel fenomeno migratorio.
Il problema dell’accoglienza sta portando i governi europei in situazioni di crisi (quello italiano è stato sostituito soprattutto per questo) incluso il governo tedesco che rischia la spaccatura proprio sul tema emigrazione. Il sociologo Engler non è comunque un felice ottimista e anche lui chiede una riforma immediata della politica sull’immigrazione a livello europeo “non è sufficiente che i governi europei si siano solo messi d’accordo su una maggiore durezza nei confronti dei migranti e una maggiore pressione verso i paesi di provenienza e di transito delle scie migratorie”. Insomma, un atteggiamento di difesa contro gli immigrati mentre la difesa dei profughi sembra ormai sparita dalle coscienze comuni con il rischio di mettere al bando una delle maggiori conquiste delle democrazie occidentali, consistente proprio nell’impegno civile verso profughi di ogni sorta.
Assistiamo invece a una messa in scena che non è di stampo politico ma solamente dei partiti. L’immigrazione come strumento di raccolta di consensi elettorali. Una volta si discuteva di occupazione, di pensioni, di migliori scuole e strade. Ora, in campagna elettorale, si discute e in maniera sempre più radicale, come eliminare il fastidio degli immigrati. “Dobbiamo attuare rapidamente il regolamento per il respingimento ai confini. Dobbiamo preoccuparci della popolazione locale, non solo e in modo permanente di tutta Europa”, ha dichiarato il ministro presidente della Baviera, Markus Söder. Questo è panico fatto a tavolino. La politica mette in scena il problema dei profughi, lo eleva a minaccia nazionale e poi si distingue, proponendo soluzioni drastiche. Buttiamoli fuori e chiudiamo le porte! Ma qualcuno ha mai pensato cosa sarebbe successo quando i profughi eravamo noi, e quando gli emigrati “per ragioni economiche” eravamo noi? Che la Germania torni a essere il grande Paese organizzatore di sempre. La paura, si sa, non è mai stata una buona consigliera.