Il giornalista Gian Luigi Paragone in un articolo pubblicato il 29 maggio su Libero scrive quanto segue:
“Qualsiasi legge elettorale avanzerà in aula, si tolga il voto degli italiani all’estero. È stata una colossale fesseria, cara al vecchio e nostalgico Mirko Tremaglia e solo a lui. Lo so, alla sinistra quei voti sono sempre serviti ma se scatta il premio di maggioranza non c’è bisogno di tenere in vita una pattuglia di gente che in aula non ha lasciato grandi segni. Anzi, a essere franchi, ce li ricordiamo soltanto quando si trattava di mercanteggiare sulle fiducie. Gli italiani all’estero non hanno bisogno di una rappresentanza parlamentare per essere ricordati e non c’è nemmeno bisogno di aggiungere un altro tavolo di trattative ad un sistema politico incasinato già di suo”.
Secondo Paragone “il voto degli italiani all’estero è stato spesso fonte di gialli, di dubbi e – per alcuni – persino di strani movimenti. Insomma, sarebbe onesto lasciar perdere l’esperimento e abrogare la legge. Qualsiasi essa sia. Lo dico con grande, forse troppa, franchezza: le esigenze degli italiani all’estero sono secondarie rispetto ai problemi del Paese, il cui impegno dovrebbe essere quello di evitare che la gente emigri per la disperazione di non riuscire a trovare un lavoro dignitoso in Italia. Perché questo è ciò che accade in proporzioni preoccupanti”. “Il capolinea dell’ipocrisia coincise con la famosa frase di Poletti sui giovani italiani all’estero, frase considerata non così grave da portare alla sfiducia del ministro stesso – si legge ancora nell’articolo di Paragone -. Quindi, se non ce ne frega un tubo di costoro, perché tenere in piedi una pattuglia di emigrati? Aggiungo che la cosa è tanto più assurda che mentre concediamo il diritto di voto agli italiani emigrati (i quali non mi sembra che, dati alla mano, facciano la fila per accaparrarsi la scheda), agli italiani che si trovano all’estero per motivi di studio o di lavoro viene impedito di votare”.
Dunque – prosegue il giornalista – sarebbe opportuno fare piazza pulita e superare quei cinque minuti di solita e prevedibile bagarre di commenti e contro commenti. Levare tale diritto (in un paese che di diritti ne ha tolti di più seri) non provoca alcun vulnus democratico. Se ne faranno una ragione persino al di là dei confini”. “Salvo per chi, quel diritto, lo vorrebbe mantenere per accaparrarsi una poltrona con il relativo vitalizio. Qualcuno accetta la proposta? Qualcuno accetta di parlare o ha paura a uscire allo scoperto? O lo facciamo adesso che si discute di legge elettorale oppure ci toccherà un altro giro a vuoto. Ne vale la pena e la spesa? Io penso di no”, conclude Paragone.