Con l’invasione dell’Ucraina Wladimir Putin vorrebbe imporre un nuovo ordine mondiale. Ma nei suoi piani non sembra aver tenuto in debita considerazione la reazione dell’Europa e la resistenza del popolo ucraino unito intorno al suo presidente Volodymyr Zelensky
Ci eravamo illusi
Avevamo creduto che la lezione della storia fosse stata compresa, almeno in Europa. Avevamo creduto che le sofferenze patite e raccontate dai nostri vecchi fossero bastate. Avevamo creduto nel dettato delle carte costituzionali poste alla base delle nostre democrazie. Avevamo creduto nelle dichiarazioni universali dei diritti umani e nei trattati di pace internazionali nati dalla determinazione a non voler ripetere gli errori del passato. Avevamo partecipato alle commemorazioni, prima tra tutte quella del giorno della memoria. Avevamo sostato col cuore pieno di commozione e rispetto davanti ai memoriali eretti nelle città del vecchio continente.
Avevamo salutato con sentimenti di speranza e come pietra miliare per la pace, dopo gli anni della guerra fredda, la caduta del Muro di Berlino. Dalla notte del 24 febbraio tutto ciò in cui credevamo si è sbriciolato. Quella notte il secondo paese europeo per estensione, l’Ucraina, è stato attaccato dall’esercito russo agli ordini del suo comandante in capo, il presidente Wladimir Putin.
Il discorso di Putin
Nel suo discorso televisivo alla Russia e al mondo Putin ha detto di aver deciso “un’operazione militare speciale” allo scopo di “smilitarizzare e denazificare” l’Ucraina. Solo due giorni prima aveva riconosciuto le (dal 2014 autoproclamate) Repubbliche popolari di Doneck e di Luhansk giustificando l’azione militare quale conseguenza derivante dal trattato di amicizia e di assistenza siglato contestualmente al riconoscimento. Nel suo discorso, grondante di ideologia e di riferimenti nostalgici all’Unione Sovietica, Putin ha rimarcato la minaccia rappresentata dalla Nato. Tuttavia la Nato non è intervenuta, né lo farà. Essendo un’alleanza difensiva può intervenire solo se uno dei paesi membri è attaccato.
In nove giorni di combattimenti tra forze impari – da una parte gli eserciti russo e bielorusso, dall’altra gli ucraini, militari e civili, uniti nella strenua difesa delle città – le immagini provenienti dall’Ucraina mostrano un paese profondamente ferito ma non ancora sottomesso. È chiaro che l’ultimo atto avrà luogo con la caduta di Kiev e la neutralizzazione del governo ucraino. Ad oggi, 4 marzo, già oltre un milione di ucraini, quasi esclusivamente donne e bambini, hanno lasciato il paese e tutto fa presagire che nei prossimi giorni questo numero crescerà drammaticamente. Infine, sul piano del negoziato, l’unico accordo raggiunto finora è quello di creare dei corridori umanitari per permettere il deflusso della popolazione civile verso i paesi confinanti, in primis Polonia e Romania. Fin qui i fatti, nel momento in cui ne scriviamo. Ai quali vogliamo aggiungere brevi considerazioni afferenti agli aspetti che riteniamo più rilevanti e meritevoli di attenzione.
Crimine contro l’umanità
Il primo aspetto riguarda l’affermazione, di chi scrive come di tutta la redazione del Corriere d’Italia, che l’invasione dell’Ucraina rappresenta “senza se e senza ma” un crimine contro l’umanità che non ha, e non può avere, alcuna giustificazione. Veniamo ora alle reazioni suscitate dalla guerra a livello internazionale. Cominciamo da Svezia e Finlandia, quest’ultima confinante con la Russia. Pur facendo parte della Ue i due paesi non sono membri della Nato. È bastato che partecipassero, il 25 febbraio, alla riunione straordinaria indetta dalla Nato, per innescare la minaccia di Putin di “gravi conseguenze politico-militari” se dovessero decidere di aderire all’alleanza. La reazione dell’Unione europea non si è fatta attendere, sia da parte dei governi nazionali, sia da parte delle istituzioni europee. La decisione di Berlino di fornire all’Ucraina armi anticarro e missili terra-aria rappresenta un cambio di paradigma unico nella storia tedesca. Stessa cosa ha deciso l’Italia. Il primo marzo il parlamento europeo riunito in sessione plenaria straordinaria ha approvato, praticamente all’unanimità, la candidatura dell’Ucraina ad entrare nell’Unione.
Volodymyr Zelensky
Durante la seduta è intervenuto in video il presidente Volodymyr Zelensky, vero artefice della resistenza ucraina, che ha rivolto un appello accorato al parlamento. Subito dopo è seguito, da parte di Zelensky, l’invio della richiesta formale di diventare parte dell’Ue. Pur nella consapevolezza che la procedura di adesione richiederà tempi lunghi, Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea e dunque massimo rappresentate politico dell’Unione parlando ai microfoni di Euronews ha pronunciato parole forti: “Vogliamo l’Ucraina nell’Ue”. A queste affermazioni sono seguite quelle dell’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell, che ha annunciato che per la prima volta in assoluto l’Unione europea finanzierà l’acquisto e la consegna di armi all’Ucraina. Infine Emmanuel Macron, nell’attuale semestre presidente di turno del Consiglio dell’Ue, ha effettuato reiterati tentativi di trovare una soluzione diplomatica alla crisi. La sua ultima telefonata con Putin ha tuttavia messo in evidenza che il presidente russo intende ora accentuare le operazioni sul piano militare. A tutto ciò si è aggiunto, nelle ultime ore, l’allarme causato dall’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, fortunatamente senza conseguenze.
Siamo in guerra?
La reazione europea a sostegno dell’Ucraina è stata straordinariamente forte tanto che da più parti è sorta la domanda se siamo in guerra. Per il momento è una guerra limitata al territorio ucraino. Tuttavia è chiaro che è una guerra che coinvolge in pieno l’Europa e i suoi valori. Altrettanto chiaro è il rischio che diventi una guerra di più vasto raggio. Sul piano mondiale la risposta alla crisi trova la sua espressione più chiara nella risoluzione di condanna dell’invasione russa adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite: 141 i voti a favore, 5 i contrari, 35 gli astenuti. I Paesi che hanno detto no, oltre alla Russia, sono stati la Bielorussia, la Corea del Nord, la Siria e l’Eritrea. La Cina è tra gli astenuti. Tutto ciò mentre in Russia sono stati prontamente repressi i tentativi di protesta di sparuti gruppi di cittadini a Mosca e Leningrado. E’ chiaro che fin quando non ci sarà, da parte del popolo russo, la capacità di riempire le piazze e di chiedere al governo di fermare i bombardamenti, la guerra continuerà.
Scenari
La decisione di consentire corridoi umanitari, in sé positiva, non lascia prevedere nulla di buono sugli esiti finali di una guerra di resistenza che potrebbe trasformarsi in un bagno di sangue. Alla forza, schiacciante, dei carri armati russi si contrappone la forza dell’orgoglio, del patriottismo e della dignità del popolo ucraino. Le due forze non sono comparabili. Per evitare la carneficina bisognerebbe portare Putin e Zelensky al tavolo del negoziato. Ma ciò sarebbe possibile, semmai ci si riuscisse, soltanto se la trattativa avvenisse sotto l’egida dell’ONU affidando l’incarico di mediatore ad una personalità di alto livello come Angela Merkel o il presidente cinese Xi Jinping.