L’Europa e il disastro vaccini
Si parla di “fiasco”, ma non quello del buon vino che imbandisce le nostre tavole, ma di quello che è il fallimento dell’Unione Europea o per meglio dire di questa nuova Commissione. Si può criticare l’Europa e tutte le demagogiche, quotidiane menate che ne esaltano il ruolo? SI DEVE, soprattutto quando dietro alle chiacchiere si nascondono gli affari di un “gotha” finanziario che ne ha stravolto gli ideali e crea continui fallimenti. Ne sono prova i quotidiani bollettini sul numero dei vaccinati che sono una catastrofe. Anche qui ci sono responsabilità politiche di chi dirige la Commissione: annunci-bluff, contratti nascosti, clausole incomprensibili, segreti ingiustificati a coprire profitti enormi per le case farmaceutiche senza saper imporre penali vere per i ritardi.
Ursula Gertrud von der Leyen, nata Albrecht, e la sua Commissione (l’italiano Gentiloni compreso) – iper-riveriti dalla stampa e dalle TV nella continua ripetizione di banalità – dovrebbero essere oggetto di una severa indagine a livello continentale su sperperi, incapacità, dolosi infortuni contrattuali e ritardi che hanno già significato la morte di migliaia di europei. Dopo il fallimento dell’“Europa delle Banche” e delle politiche migratorie e di difesa, fallisce così anche l’“Europa dei vaccini” e sarà utile che Draghi giochi tutto il suo peso per uscire da questo vicolo cieco, non bastano certo le sue telefonate a Bruxelles. Un’altra responsabilità, ad esempio, del precedente governo italiano è non aver pensato a canali alternativi all’Europa per recuperare vaccini come invece hanno fatto o stanno facendo Germania, Austria, Danimarca, Repubblica Ceca, Ungheria ecc. ecc.
Il ministro Giorgetti sta cercando ora di avviare la produzione dei vaccini in Italia, ma c’è da chiedersi perché ci si muova solo oggi e non lo sia fatto nel passato: una strategia impostata ad ottobre – quando già i vaccini erano stati testati – ci avrebbe visti già quasi autosufficienti per una produzione nazionale e non sperare solo di essere parzialmente pronti tra qualche mese. Vaccini UE, quasi una barzelletta. Intendiamoci, a prescindere da quanto si ritengano validi i vaccini nel contesto del delirio-Covid, la verità probabile è che dietro il flop dell’UE nel merito ci sia sempre la solita, squallida, ridicola ragione, riguardante la follia del sistema socioeconomico costruito intorno a Maastricht rispetto al quale pure degli USA qualsiasi sono in grado agilmente di passeggiare sopra, magari fischiettando. Il ridimensionamento di questo sistema a causa della pandemia è comunque una zavorra enorme rispetto a chi può seriamente fare spesa pubblica, che sia per i vaccini, per una diamine di autostrada, per un carcere, per delle politiche sociali di ampio respiro, per dei piani industriali seri, per degli ospedali, in sintesi per tutto.
Lo stesso ammontare del Recovery Plan di cui l’Italia ha preso grandissima parte (probabilmente perché il calcolo costante di ammazzarla avviato dai suoi concorrenti si ferma un attimino al momento in cui si pensa al PIL del nostro Paese, e all’importanza estrema che riveste per l’esistenza dell’Eurozona) è una barzelletta rispetto alle cifre e alle risorse che possono muovere Nazioni senza il cappio al collo di una follia assoluta quale è quella degli accordi di Maastricht, pur ridimensionati o perfino sospesi. Ha fatto davvero sorridere l’articolo di Europa Today, a detta di chi l’ha pubblicato come una smentita della “esclusiva colpa dell’UE” ricordando che i primi accordi per le distribuzioni dei vaccini sarebbero stati conclusi da Italia, Germania, Francia e Olanda proprio in estate, per l’appunto.
Molto interessante; e a quale modello economico, a quali potenzialità di spesa pubblica, di intervento concreto dello Stato nella società sono sottoposti i suddetti Paesi? Soprattutto, quali sono i tempi in cui ciò sia applicabile, in un contesto in cui la spesa pubblica medesima, di qualsiasi Stato membro, è frenata da vincoli che restano insopportabili? Ci si può almeno domandare perché i suddetti Paesi si siano mossi “prima” della stessa e sensazionale UE, senza probabilmente avere le risorse per farlo? Una risposta ci sta, e più passa il tempo meno elementi vediamo che siano in grado di smentirla: perché l’UE è una cariatide, ecco perché. Non è in grado di rispondere prontamente a nessuna emergenza, a nessuna operazione che riguardi l’azione nella società, per qualsiasi ragione essa sia necessaria.
Gli Stati membri dell’UE non sono Stati. Sono scheletri di Stati economicamente handicappati e incapaci di intervenire dove anche uno Stato del terzo mondo, forse, riesce a fare ogni tanto. Perché a maggio gli USA avevano già introdotto 1 miliardo di dollari per finanziare la loro “operazione vaccini”, perché questi soldi sono divenuti rapidamente il doppio, mentre l’UE era ancora alle parole? Siamo proprio sicuri che i miliardi di miliardi annunciati (circa tre) siano stati resi disponibili subito? Perché così, a naso, sembra la stessa storia dei mille mila titoli di Stato che avrebbe dovuto comprare la BCE a pandemia appena scoppiata, annuncio mai entrato effettivamente nel giro degli aiuti (comunque di gran lunga inferiori a ciò che possono fare gli Stati “liberi”, ma vabbè).
Una riflessione interessante sui ritardi clamorosi di questo sistema fallimentare è quella pubblicata da Nicola Porro sul suo blog. Il giornalista ci ricorda che l’UE “ci ha impiegato mesi per dare il via libera a ciò che gli altri avevano autorizzato da tempo e, aggiungiamo, senza avere sicurezze maggiori su efficacia ed effetti collaterali dei sieri”, aggiungendo poi: “A ciò si aggiunga che per firmare i contratti abbiamo impiegato quattro mesi in più rispetto agli altri sistemi paese: roba da matti. O meglio roba europea. Vi ricordate la battuta di Kissinger, che sospirava dell’impossibilità di alzare il telefono e parlare con qualcuno che davvero contasse a Bruxelles o comunque in Europa”.
Da qui l’inutilità di qualsiasi considerazione su un sistema folle che non solo non viene messo in soffitta per sempre, ma che non è mai stato realmente messo in panchina, neanche adesso.