“Fit for 55” il nuovo piano europeo alla riduzione delle emissioni CO2
Quello che ci pare preoccupante nel grandioso piano europeo riguardante la politica energetica, piano col nome di sapore smaccatamente propagandistico „Fit for 55“, è che vi si disquisisce accanitamente sul come limitare la spesa di energia, ma non si dice quasi nulla su come procurarsene delle fonti alternative. Niente più benzina, né carbone, né gas, né uranio, cosa ci resta? Le fonti rinnovabili: le centrali eoliche (che non producono energia quando c’è bonaccia), quelle fotovoltaiche (che non producono energia di notte), a cui si dovrebberero aggiungere pure quelle idroelettriche (che non producono energia quando c’è la siccità). Ultimamente ci è giunta la notizia che Greta Thunberg sta facendo il diavolo a quattro affinché venga rasa al suolo una centrale eolica in Norvegia peché sembra che disturbi gli allevatori di alci. Si dà il caso che questa centrale eolica sia parte integrante del programma europeo per le energie alternative.
Si consideri che non solo esse sono insufficienti a coprire l’attuale fabbisogno di elettricità, ma che detto fabbisogno aumenterà drasticamente quando verranno imposte sul mercato le auto elettriche. Ve lo immaginate il sovraccarico delle reti elettriche quando tutti partono per le vacanze? Naturalmente a Bruxelles hanno „previsto“ la creazione di numerosi distributori di corrente lungo gli itinerari principali: ma chi avrebbe interesse a costruirli? Ed anche se entro il 2035 si riuscisse ad averne altrettanti a disposizione quanti sono oggi i benzinai, poiché la ricarica più veloce dura non meno di quattro ore 4, ci si può immaginare le enormi code che si formerebbero. Oggi, se davanti a te c‘è un paio di veicoli a fare rifornimento, aspetti una decina di minuti; nel roseo futuro dell‘EU potresti aspettare una decina di ore. Se i partiti che oggi hanno la maggioranza al parlamento si fossero presentati alle elezioni con siffatti programmi, il risultato sarebbe stato tutto diverso.
No, i conti non tornano
Naturalmente è vero che l‘abbandono dei motori a combustione è una necessità obiettiva, perché le risorse mondiali degli idrocarburi, per quanto grandi possano essere, sono fatalmente destinate a finire, prima o poi. E questo avverrà indipendentemente dal fatto che si voglia credere al cambiamento climatico oppure no. Ma quando si parla di un cambiamento, si deve trattare sempre di qualcosa che cambia in funzione di qualcos’altro. E quando ci mettiamo in cerca di fonti alternative di energia, ci viene da metterci le mani nei capelli.
Infatti, benché le fonti rinnovabili costituiscano sicuramente una tecnologia molto pregevole, comunque la si rigiri, non potranno mai essere esclusive, come le vorrebbero i verdi, ma sarà necessario sostenerle con una tecnologia complementare che ci assicuri una fornitura di base indipendente dai capricci metereologici e dai ritmi circadiani. Questa tecnologia complementare potrebbe essere quella nucleare così bene sviluppata in Francia ma che in Germania è molto malvista. La soluzione ideale sarebbe la fusione termonucleare, ma questa possibilità, derivata dalla tecnologia della bomba all’idrogeno, dopo numerosi decenni di studi ed esperimenti, manca ancora di un eureka risolutivo. Un eureka autentico: infatti il successo annunciato della fusione laser ottenuta in un laboratorio americano (National Ignition Facility) del dicembre scorso era basato solo su dei trucchi di calcolo fra l’energia sviluppata nell’apparecchio e quella realmente consumata dall’intero impianto che era necessario al funzionamento del medesimo apparecchio. In un articolo apparso nel gennaio scorso sul mensile tedesco Spektrum der Wissenschaft (equivalente allo Scientific American) viene presentata la ditta Gauss Fusion GmbHb di proprietà del multimiliardario Frank Laukien.
L‘articolo è completato da una lunga intervista con lo stesso Lauren in cui egli si dichiara sicuro che entro il 2045 la prima centrale termonucleare costruita da loro dovrebbe entrare in funzione e produrre energia a più non posso. Ai molti scettici egli risponde che l’Europa dispone della tecnologia più avanzata in questo campo e che tutti i ritardi nello sviluppo dei progetti multinazionali, come ITER, dipendono più che altro da intralci burocratici e politici anziché tecnici. „Adesso è cominciata una fase di concorrenza delle nazioni riguardo alla fusione termonucleare, cioè dal nostro punto di vista Cina, Corea, Giappone ed anche gli USA. Quasi che tutta questa concorrenza fosse una garanzia di successo. Per secoli le più importanti nazioni marinare europee si sono fatte concorrenza per trovare un passaggio a nord-ovest, e ciò malgrado non l‘hanno trovato. Comunque sia, è un dato di fatto che a tutt‘oggi non si è ancora trovato né un sistema efficiente per produrre energia termonucleare né per trasformarla, una volta ottenuta, in energia elettrica.
Nel pacchetto „Fit for 55“ ci sono diversi provvedimenti draconiani che hanno mandato in visibilio i verdi: ad esempio Oliver Krischer e Lisa Badum hanno dichiarato che questo è un cambiamento in direzione di fare dellEuropa la prima area economica climaticamente sostenibile, mentre altri politici hanno invece previsto che in quell’area l’Europa non avrà più nulla da commercializzare.
IL VIK (Verband der Industriellen Energie- und Kraftwirtschaft) ha fatto notare che i provvedimenti punitivi per tutti i procedimenti industriali che sviluppano un surplus di CO2 rispetto ai limiti imposti entro l’EU alla fine possono svantaggiare solo i prodotti europei nella concorrenza internazionale, dato che il resto del mondo (USA, Cina, India, ecc.) non è così pretenzioso in materia di questioni climatiche come la Commissione Europea. Si noti che gran parte della bilancia commerciale europea è data dall’esportazione, ma nello stesso tempo le industrie europee per funzionare devono importare prodotti dall’estero che non rispettano gli alti standard del pacchetto „fit for 55“. È ormai deciso che a partire dal 2035 non saranno più immatricolate nell’EU auto col motore a combustione, benché alcuni temano, ed altri sperino che, se nelle prossime elezioni europee del 2024 la maggioranza parlamentare si spostasse decisamente verso destra, la scadenza potrebbe venire procrastinata, se non rimandata alle calende greche.
Naturalmente la Commissione Europea non potrà impedire che in Cina, in India e negli Stati Uniti si continui tranquillamente a vendere auto col motore a combustione anche dopo il 2035 e che le loro industrie continuino a produrre alla barba agli standard europei; però i loro prodotti – proprio per questo motivo – non potranno più venire importati nell‘EU. Il problema è solo addossato sulle spalle delle industrie europee che per la loro produzione hanno bisogno proprio di quei prodotti. Cosa faranno, da Bruxelles manderanno ispettori in Cina a controllare se le loro industrie si sottomettono al diktat ecologico?
Un punto particolarmente dolente riguarda l’efficienza termica degli edifici. A partire dal 2030 tutti i nuovi edifici dovranno venire costruiti in rispetto alle normative sulla neutralità climatica. E quelli vecchi dovranno venire adattati dai proprietari a loro spese (che poi verranno trasferite agli eventuali affittuari): per questo la scadenza è il 2050. Senonché la Commissione Europea ha pubblicato una nuova parte del pacchetto dalla quale si evince che tutti gli edifici già costruiti -anche da secoli- sul continente europeo, da Lisbona a Tallin, da Stoccolma a Palermo, dovranno realizzare almeno una parte degli adattamenti previsti dalle normative entro il 2030.
Come mai questo meraviglioso pacchetto non contiene alcuna stima, anche approssimata al ribasso, di quanto tutto questo verrebbe a costare?
Eppure ogni politico serio è tenuto a calcolare i costi delle sue proposte legislative. Invece gli aspetti burocratici sono ben presi in considerazione: a questo scopo verrà introdotto un nuovo documento ufficiale, una specie di passaporto di efficenza energetica per ogni edificio che ne testimoni la legittimità ecolologica. Questo al limite potrebbe trasformarsi in una espropriazione strisciante della parte più povera della popolazione, che vive nella propria casetta avita, ma non dispone di fondi per soddisfare alle pretese di Bruxelles e forse sarà costretta a farseli prestare a condizioni dalle banche o dagli usurai, che assieme ai verdi, saranno d’accordissimo sulle alte mete ambientali.