Impatti economici e sociali della nuova normativa europea sull’efficienza energetica degli edifici
Pare che i cittadini seguano poco cosa succede all’Europarlamento. distratti e poco informati, se non sulle assurde candidature alle prossime elezioni. Candidature che sembrano servire per liberare di galera qualcuno che, invece di starsene a casa sua, è andato a fare anarchica in altri paesi, forse perché convinto di essere sempre protetto da una politica ormai becera e da una pseudo-magistratura che giustizia non applica salvo verso chi decide a tavolino.
Crediamo che molti supporter dei partiti di sinistra non abbiano, per esempio, capito cosa comporterà la recente decisione di Eurofin (contrari Italia ed Ungheria con sette altri paesi astenuti) che, accogliendo il voto del Parlamento, europeo voluto e votato dagli europarlamentari di sinistra e di parte del PPE, ha approvato una nuova normativa sull’efficienza energetica degli edifici.In pratica, entro il 2050 tutti gli edifici europei dovranno essere ad “emissione zero” e gli stati membri hanno ora due anni di tempo per adeguarsi con direttive nazionali.Entro il 2030 le emissioni complessive vanno comunque ridotte già del 16% e del 22% entro 10 anni. Sono norme più leggere rispetto a quelle iniziali anche per la forte opposizione italiana, ma che ha spaccato molti gruppi politici e soprattutto il PPE.
C’è stata battaglia perché quella che è considerata una “conquista” ambientale per gli euro Green concretamente si tradurrà in un obiettivo disastro per milioni di proprietari di immobili chiamati negli anni prossimi a ristrutturare (per ora senza aiuti pubblici) le proprie abitazioni, uffici, strutture agricole, stabilimenti o capannoni industriali. “Ottima cosa, ma adesso chi paga?”, si chiedeva giustamente il ministro Giorgetti, perché ora per ridurre le emissioni bisognerà dotare tutti gli immobili esistenti – soprattutto quelli di categoria F e G, ovvero buona parte di quelli italiani – con cappotto termico, nuovi infissi, nuove caldaie a condensazione e non più a metano e soprattutto pannelli solari che dovranno di fatto coprire gran parte dei tetti, indipendentemente dalla localizzazione degli edifici.
Vi immaginate cosa sarà dal punto di vista ambientale coprire con pannelli i centri storici dei paesini e delle cittadine italiane?
Eppure, questa è la volontà europea. In ogni caso sono lavori che costeranno moltissimo e, secondo Confedilizia, si graverà in media dai 20 ai 55.000 euro per proprietà immobiliare, pena la loro esclusione – di fatto già da oggi – dalle possibilità di compravendita. In altre parole, tutti gli edifici non modernissimi vengono di fatto già da ora decurtati nel loro valore, perché gli acquirenti dovranno di fatto impegnarsi ad effettuare le ristrutturazioni secondo tempi definiti ed assumendosene responsabilità e costi: ovvio che varrà di meno un edificio da ristrutturare.
Quella che viene presentata così come conquista ambientale (perché è sicuramente positivo ridurre gli sprechi energetici e le emissioni) diventa però un onere molto pesante, soprattutto per i proprietari di case unifamiliari o non recenti che sono la gran parte, ad esempio, di quelle esistenti nei paesi di antica formazione in collina, nei centri storici, nelle periferie urbane e in generale negli immobili popolari o quelli costruiti fino a pochi anni fa. In Italia circa 6 milioni di edifici dovranno essere ristrutturati in pochi anni, considerando solo le classi F e G, con una spesa stimata attorno ai 270 miliardi di euro, ovvero dieci anni di “finanziarie”.
Se questo porterà sicuramente lavoro alle imprese edili e ricchezza per i produttori di pannelli solari (quasi tutti cinesi), sarà ovvio un prevedibile aumento dei prezzi dei lavori di ristrutturazione, come è avvenuto per il superbonus edilizio. Sarà la pubblica amministrazione a subire comunque e per prima il salasso: entro il 2028 (dopodomani!) tutti gli edifici pubblici italiani dovranno essere ad emissione zero, ovvero ci saranno circa 500.000 immobili da ristrutturare a spese soprattutto delle amministrazioni locali. Ciascuno può commentare che enorme affare si delinea dietro le quinte e molti cominciano a chiedersi se la norma europea non nasconda anche un’altra speculazione (cfr. vaccini, Von der Leyen). Molte famiglie, nell’impossibilità di ristrutturare, potrebbero infatti essere indotte a vendere a fondi immobiliari che comprerebbero le loro case lasciandole in affitto a lungo termine agli attuali proprietari che – specialmente se anziani – potrebbero essere attirati dal “business”.
Si potrebbe aprire quindi la strada ad una concentrazione di proprietà immobiliari da parte di gruppi finanziari più o meno esotici o anonimi. Un rischio questo, che andrà ben monitorato. Anche perché c’è poco da discutere: dalle norme sono escluse solo gli edifici storici, le “case vacanze”, le chiese e gli edifici di culto, le caserme e le abitazioni temporanee. In molti notano già che è fondamentale l’interpretazione, più o meno estensiva proprio della definizione di “edificio storico”. Se infatti è indubbiamente storico un edificio del ‘500, come considerare una casa costruita ai primi del ‘900? Sicuramente l’Europa ha assunto una decisione di grande rilevanza, ma forse la gran parte dei cittadini non l’ha assolutamente capita, certamente non gli è stata – per ora – neppure ben spiegata nelle sue pratiche e costose conseguenze.