Ancora una volta la nostra amata Italia dimostra di avere qualche grande problema. Ci si potrebbe chiedere: ma di problemi ce ne sono tanti, purtroppo il principale è che non ci sono più i politici di una volta, preparati da una scuola di formazione e seri nel ruolo loro affidato, non ci sono giornalisti con la G maiuscola, non ci sono magistrati di una certa levatura che hanno coniato i “Codici”, ci sono solo dei dilettanti allo sbaraglio. Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma ciò che si sta assistendo in questo ultimo periodo sa veramente di ridicolo. Non si può tollerare, ad esempio, che un viceministro della repubblica (che ha lavorato in vita sua solo 7 anni nel settore metalmeccanico nel ruolo di magazziniere fino ad essere promosso a geometra presso lo studio tecnico dell’azienda, per poi dedicarsi alla politica e non si sa con quale preparazione) vada in una trasmissione radiofonica (nel talk show più irriverente della radiofonia italiana) a suonare “Bandiera Rossa” e parlar male in maniera “volgare” di un ex Ministro suo avversario politico, con tutto il rispetto della democrazia ma non si possono mandare al parlamento “cittadini” che non sanno neppure parlare, che non hanno una formazione, siamo completamente allo sbando, una vergogna totale, perché questo signore non è il solo, tanti altri suoi “compagni” da baristi, pastori ecc..ecc… – con tutto il rispetto per queste professioni lavorative – sono nel parlamento italiano, e poi si assiste come dei laureati in economia e commercio che parlano almeno due lingue straniere sono costretti ad emigrare e fare i magazzinieri qui in Germania, in attesa di qualcosa di migliore per i quali hanno studiato anni ed anni.
Ecco che quindi ci sta qualche corto circuito, come quei giornalisti che ancora parlano di papelli, politologia, teoremi astrusi, ed invece che stare sul campo ed accorgersi che la guerra è finita, continuano a recitare la commedia anche quando il sipario è calato rimanendo prigionieri di un certo ruolo. Ma purtroppo chi è di una certa formazione e deriva da giornali come l’Unità e poi Liberazione, e poi il Manifesto, “salvato” dal decreto editoria approvato dal Senato, ed il Fatto, guardano ancora l’avversario come un nemico da odiare e quindi subito le manette. È “giudiziarismo” giacobino, esasperato e che conduce alla non realtà. Al punto che la carità senza verità diventa ideologia del buonismo distruttivo e la verità senza carità diventa giudiziarismo cieco. È come se nell’America odierna ci si ponesse il problema di liberare gli atolli dagli ultimi soldati giapponesi. È l’ideologia del nemico e quindi la macchina del fango che non viene mai meno. Inoltre c’è qualcuno che pensa di essere portatore di una verità rivelata e questo inquieta molto, soprattutto se si tratta di politici o giornalisti che sono prevenuti e che quando hanno preso di mira qualcuno vanno avanti finché non lo distruggono, salvo poi accorgersi degli errori commessi ma senza mai pagare, così come taluni magistrati.
Ad esempio che senso ha scagliarsi per anni contro un imprenditore televisivo per poi mitizzare un comico? Serve altro per fare politica. Non basta urlare a un microfono “siete tutti morti!”.
Purtroppo in tempo di crisi tornano in auge i comici e le fattucchiere. Quando invece serve fare e non distruggere. C’è bisogno di puntare il riflettore sull’Italia che soffre. Raccontare storie di coraggio, di persone che pur nella crisi reagiscono, senza stipendio, senza paracadute. Parafrasando Robert Kennedy: è giunta l’ora del tempo del cambiamento, infatti “il cambiamento, con tutti i rischi che comporta, è la legge dell’esistenza”. Perché per uscire dalla crisi occorrono soluzioni, anziché pensare di distruggere posti di lavoro pensando di chiudere ad esempio l’ex ILVA di Taranto. I cosiddetti tecnici si sono rivelati dei totali incompetenti, e si sente l’esigenza di difendere lo stato sociale da un assalto che si compie togliendo i diritti ai cittadini, dandoci in pasto all’antipolitica. Pertanto invece di pensare solo a distruggere, anche per mezzo di leggi che vorrebbero “tutti dentro” appena si sbaglia, è bene pensare a cose molto più serie invece di pensare di distruggere l’economia del nostro Paese; ed invece di enfatizzare – come succede in questi giorni – una legge della Consulta sull’ergastolo ostativo sarebbe bene pensare di formare “magistrati” che capiscano quando una persona necessità di libertà e quando no, perché alla fine anche nel peggiore degli assassini ci sta un germe di bene, che purtroppo è stato soffocato dal male, dalla gramigna come si suol dire. Ma nel contempo anche se in apparenza la gramigna è una pianta senza storia, e ha sempre fatto parlare di sé soltanto per i danni che arreca alle coltivazioni e ai giardini, si hanno però notizie del suo uso medicinale presso greci e romani: Castore Durante nel suo “Herbario Nuovo” del 1585 ne elenca le proprietà terapeutiche. Si presume che il suo impiego medicinale abbia tratto origine dall’osservazione dell’uso che ne fanno gli animali, specialmente cani e gatti, per “rinfrescarsi” o quando hanno problemi digestivi. Da qui la possibilità di redimersi… anche se pare difficile nelle nostre carceri (per non parlare in altre strutture penitenziare nel mondo dove ricordiamo quasi 4000 nostri connazionali – nel bene o nel male – sono rinchiusi. Basti ricordare il caso di Chico Forti che il nostro paese ha abbandonato a sé stesso da 20 anni rinchiuso ingiustamente in un carcere della Florida).
La Consulta pertanto ha stabilito che d’ora in avanti i giudici potranno così valutare il grado di risocializzazione del condannato “non collaborante”, verificando però almeno tre condizioni che fanno da contrappeso all’abolizione della “presunta pericolosità assoluta”: la “piena prova di partecipazione” al percorso rieducativo durante la detenzione; l’acquisizione di elementi concreti per escludere “l’attualità della partecipazione all’associazione criminale”; la mancanza del “pericolo del ripristino” di quei collegamenti. Un tentativo di bilanciamento di interessi contrapposti (individuali e collettivi) per una decisione faticosa e contrastata. Ed eccoci ritornare a chi è considerato il “nuovo che avanza” che invece è più vecchio dei vecchi, e pensa solo a mantenere una poltrona facendo finta di salvare il cittadino, che invece si vede sempre di più abbandonato. Pensiamo alle ultime affermazioni del sottosegretario alla presidenza del consiglio Turco che spera in una “Taranto che può e deve pensare al suo futuro senza vederlo legato allo stabilimento dell’ex Ilva, la mia città deve puntare su uno sviluppo delle infrastrutture e sull’autonomia universitaria. Si può scommettere sulla cantieristica navale, Fincantieri potrebbe occupare alcuni degli spazi oggi in dotazione all’acciaieria”. Il sottosegretario continua: “E poi, sempre in quell’area, si può favorire la nascita di una piattaforma logistica dell’agroalimentare, fare insomma dei grandi padiglioni fiera per attrarre capitali stranieri grazie alla risorsa più importante del territorio”.
Benissimo diciamo noi, lodevole iniziativa, ma intanto i quasi 20.000 operai tra acciaieria ed indotto cosa fanno? Dove li sistemi? A chiacchiere tutti sono bravi, nella pratica che hanno fatto sino ad oggi? Nulla ed è quello che continuano a fare, tranne il mantenere le loro calde poltrone!