Bilancio della XVII legislatura e campagna elettorale. Sarà la rivincita di Berlusconi?
È calato il sipario sulla XVII Legislatura. Il 28 dicembre il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha sciolto le Camere dando il via libera alla fase che porterà alle elezioni politiche, fissate per il 4 marzo. La legislatura è terminata con l’approvazione della legge di bilancio e con un discorso del presidente del consiglio. Paolo Gentiloni si è detto felice di essere arrivato ad una “conclusione ordinata della legislatura” e ha rivendicato i risultati ottenuti dal governo di sinistra. Non solo dal suo, cominciato nel dicembre 2016, ma anche da quelli che lo hanno preceduto presieduti da Enrico Letta (aprile 2013 – febbraio 2014) e da Matteo Renzi (febbraio 2014 – dicembre 2016).
“La verità è che l’Italia si è rimessa in moto dopo la più grave crisi del dopoguerra” ha affermato il premier parlando alla stampa a Montecitorio. “Questa legislatura, che tutti definiscono travagliata, è stata anche fruttuosa. Dovevamo evitare interruzioni brusche e traumatiche in un momento molto delicato per l’economia italiana. Abbiamo dimezzato il deficit, l’export è ripartito e soprattutto abbiamo recuperato un milione di posti di lavoro, in maggioranza a tempo indeterminato, perduti a causa della crisi iniziata nel 2008. Il mio governo è nato un anno fa dopo la sconfitta del referendum, le dimissioni di Renzi e con grandi difficoltà del PD, ma non abbiamo tirato a campare. Il fanalino di coda dell’Europa non siamo più noi”.
Gentiloni ha anche parlato di terrorismo, migrazione e diritti civili. Ha detto che il 2017 è stato l’anno della sconfitta militare dell’ISIS, una sconfitta alla quale anche l’Italia ha dato un contributo con attività di addestramento e supporto e ha espresso soddisfazione anche a riguardo della gestione dell’emergenza migratoria con la forte riduzione, rispetto al 2017, dei morti in mare e con la realizzazione del primo corridoio umanitario tra Libia e Italia. Quanto ai diritti civili, il premier si è rammaricato della mancata approvazione, per insufficienza del numero legale di senatori, dello Ius Soli. “Quello dei diritti è un capitolo incompiuto, ma storico. L’anno scorso le unioni civili, quest’anno il reato di tortura, la legge sui minori non accompagnati, la legge sulla violenza alle donne, il biotestamento”.
Paolo Gentiloni ha anche parlato, e non poteva essere diversamente, della campagna elettorale. Ne ha auspicato uno svolgimento che limiti, possibilmente, “sia la diffusione di paure, sia la promozione di illusioni, sia il dilettantismo”. Ha poi parlato del suo coinvolgimento personale. “In Italia c’è un governo di sinistra a disposizione del Paese ed io darò il mio contributo alla campagna elettorale del Partito Democratico. Le forme e il modo le discuteremo insieme. I governi non sono super partes, fanno riferimento a una maggioranza, ed è normalissimo che chi li guida abbia un ruolo, anche se non è un segretario di un partito”. Il presidente del consiglio ha però evitato di parlare di un “Gentiloni bis”, pur senza escludere questa possibilità.
Quale sarà il suo contributo alla campagna elettorale lo vedremo nei prossimi due mesi, c’è comunque da aspettarsi che non sarà di poco rilievo. Grazie alle sue qualità personali e al buon lavoro svolto sulla scena europea e internazionale, Paolo Gentiloni ha ricevuto apprezzamenti anche dall’opposizione.
In un PD lacerato dalle divisioni, dai personalismi e dalle polemiche, la sua disponibilità a svolgere un ruolo attivo potrà essere utile per contrastare la perdita di consensi del partito. Una perdita che ha investito in primis il segretario Matteo Renzi. Dopo l’autogol del referendum costituzionale Renzi è stato oggetto di fuoco incrociato sia dall’esterno, sia dall’interno del PD. A fare danni sono stati soprattutto gli attacchi ricevuti da leader storici come Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, col risultato che il “rottamatore” è stato a sua volta rottamato. La defezione del presidente del Senato Pietro Grasso è solo l’ultimo dei colpi inferti a Renzi. Grasso, dopo aver lasciato il PD a causa di disaccordi sulle modalità di approvazione della legge elettorale, ha fondato “Liberi e uguali” nuovo partito che negli ultimi sondaggi ha raggiunto quota 6%. Risultato: il PD è regredito al 22%. Anche la presidente della camera Laura Boldrini ha recentemente affermato che correrà con Grasso.
Inevitabilmente le divisioni della sinistra favoriranno gli altri due schieramenti politici in gara, il Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo e l’alleanza di Centrodestra tra Silvio Berlusconi (Forza Italia), Matteo Salvini (Lega Nord) e Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia). Complessivamente il Centrodestra avrebbe oggi come oggi il 36-38% dei consensi. Nelle ultime settimane è soprattutto Forza Italia ad aver contribuito a questo risultato superando, sia pur di poco, la Lega. Il successo di Forza Italia è riconducibile alla persona di Silvio Berlusconi.
Dopo un lunga pausa dalla politica attiva, il Cavaliere ha dichiarato di volersi spendere nuovamente per il Paese. Su Silvio Berlusconi pende la sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo sul suo ricorso contro l’ineleggibilità (a presidente del consiglio o a qualsiasi altra carica istituzionale), sancita dalla legge Severino. La sentenza è attesa non prima della primavera 2018, ma Berlusconi non sembra farsene un problema, anzi la posizione di vittima potrebbe persino avvantaggiarlo in termini di risultato elettorale.
D’altronde i processi e le condanne che lo hanno interessato sono ormai lontani, nel tempo come nella memoria della gente. Comunque andranno le cose a Strasburgo, sono molti gli osservatori che credono in una rimonta di Berlusconi e che sarà lui, anche se dietro le quinte, a svolgere un ruolo determinante nella politica del prossimo governo.
Passiamo al Movimento 5 Stelle. Nel giro di pochi anni il movimento è diventato il primo partito italiano raggiungendo, su scala nazionale, il 27% dei consensi. Ciò è stato possibile cavalcando la protesta della gente, in particolare verso le istituzioni europee e l’euro.
Nel settembre 2017 le elezioni primarie hanno designato Luigi Di Maio candidato premier nonché nuovo capo politico del movimento. Giovanissimo, Di Maio è inevitabilmente anche inesperto, soprattutto sul piano internazionale, e non è facile immaginarlo rappresentare l’Italia accanto a mastini della politica come la cancelliera Angela Merkel. È dunque legittimo, ove il movimento vincesse le elezioni, nutrire dubbi sulla sua capacità di guidare il governo.
Peraltro l’esempio poco lusinghiero dell’amministrazione comunale di Roma gettano un’ombra sull’attitudine dei membri del movimento a ricoprire con successo responsabilità di governo, sia pur a livello locale.
La vera incognita delle elezioni politiche 2018 è la neonata legge elettorale. Proprio perché neonata nessuno la conosce a cominciare dagli elettori. Alla difficile gestazione sta seguendo, in seno ai partiti, una laboriosa analisi per capire come e quanto il voto nei collegi uninominali premierà le coalizioni. Nei due mesi che ci separano dal voto vedremo se le negoziazioni della campagna elettorale metteranno gli elettori in condizione di recarsi alle urne con le idee più chiare. Nel momento in cui scriviamo è soprattutto il Centrodestra che potrebbe avvantaggiarsi dei meccanismi del “Rosatellum”. I litigi e le conseguenti divisioni penalizzeranno invece il PD, nonostante sia stato il promotore della legge.
Nel tradizionale discorso di fine anno Sergio Mattarella ha lanciato un appello ai cittadini affinché partecipino alle elezioni del 4 marzo e ai partiti perché guardino avanti con “proposte adeguate, realistiche e concrete”. È presto per dire chi vincerà il 4 marzo e se il risultato elettorale consentirà la formazione di un governo. Probabilmente assisteremo ad una situazione simile a quella tedesca, caratterizzata da estrema incertezza e difficoltà nel raggiungere un accordo. In questa situazione è ragionevole ipotizzare che Mattarella darà a Gentiloni l’incarico di formare il nuovo governo e che l’attuale premier ci riuscirà grazie al sostegno di Berlusconi.
La prospettiva più probabile è quella di aspettarci una “Grande Coalizione”, all’italiana, Centrodestra-PD col Movimento 5 Stelle all’opposizione e il rischio di tornare alle elezioni nel giro di pochi mesi.