Riflessioni sulle posizioni dell’Anpi e la contrarietà netta all’invio di armi in Ucraina
Una mattina gli ucraini si sono alzati, e hanno trovato l’invasor. E sono corsi ad armarsi per una resistenza eroica ed ammirevole. Ma non tutti li ammirano, magari si dichiarano solidali per non perdere la faccia, ma poi cercano in tutti i modi di far fallire la loro resistenza. Ed uno dei modi più sicuri per raggiungere tale scopo, è impedire loro di armarsi adeguatamente. Si può essere eroici quanto si vuole, ma contro i carri armati non si può mica fare una carica di cavalleria: occorrono armi speciali anticarro che questi personaggi non vogliono a nessun costo che finiscano nelle mani dei poveri ucraini. L’ipocrisia consiste nell’ammantarsi di pacifismo mentre un’aggressione brutale è in corso, in modo di restarsene a guardare come l’aggressore distrugge l’aggredito, e per di più fingendo salomonica “equidistanza” fra le due parti. Se l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) avesse eletto come suo presidente Gianpaolo Pansa, oggi avremmo l’equidistanza fra il partigiano Walter Audisio e il colonnello Junio Valerio Borghese. Invece ci dobbiamo accontentare che, sempre dall’ANPI, venga propagandata l’equidistanza fra Vladimir Putin e Volodymir Zelensky.
Inaugurando il 17mo congresso dell’ANPI a Riccione, l’attuale presidente Gianfranco Pagliarulo (nato nel 1949) con una prosa alata ed altamente aulica ha condannato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ed ha espresso i più elevati e sublimi sentimenti di solidarietà al popolo ucraino. Solo a parole, tanta solidarietà, dato che di fatto rifiuta l’invio di armi al popolo ucraino, affinché Putin possa schiacciarli concretamente. E si giustifica stigmatizzando la recente storia ucraina, tutta consistente secondo lui nei moti popolari sul Maidan, nelle formazioni naziste come la brigata Azov, nella strage nella casa dei sindacati a Odessa, “e tutto quello che successo ad est negli ultimi vent’anni”. Peccato che abbia tralasciato di ricordare da parte Russa le guerre in Cecenia, l’invasione della Georgia, l’intervento in Siria, gli attentati contro i rivali politici di Putin. Eppure anche quelli sono successi ad est.
Sempre nel suo discorso (durato quasi un’ora e ¾) ha sottolineato come l’Ucraina fosse stata riempita di armi dalla Nato (oddio, stava forse progettando d’invadere la Russia?) ed ha auspicato “una progressiva dismissione delle strutture della Nato”. Il presidente dell’Anpi di Roma, Fabrizio de Sanctis (nato nel 1955) lo ha rinforzato dichiarando “forzato il paragone fra la nostra Resistenza e quella ucraina perché paragoniamo due periodi storici differenti”. Con questo argomento così generico non si potrebbe neppure paragonare la Resistenza con il Risorgimento, come molti autentici partigiani hanno invece fatto ben volentieri. La tattica argomentativa della “significanza della differenza insignificante” è finalizzata allo scopo d’impedire dei confronti troppo scomodi fra due parti facendo leva su delle capziose differenze “dirimenti” alla Don Abbondio. Non è nuova: già nel lontano 1979, quando la Russia invase l’Afghanistan, venne impiegata a tutto spiano dagli intellettuali del PCI per smontare ogni sgradevole parallelo con l’intervento americano in Vietnam, che negli anni precedenti era stato oggetto delle loro più feroci condanne morali. Le differenze dirimenti che si escogitarono in tale occasione (non potendo invocare i periodi storici differenti) furono del tipo: i vietnamiti sono buddhisti mentre invece gli afghani sono islamici / ovvero gli uni sono un popolo di agricoltori mentre invece l’altro è di pastori / i primi hanno già messo K.O. i francesi, mentre invece gli altri gli inglesi / il Vietnam del Sud era uno stato cobelligerante mentre invece l’Afghanistan no / Saigon giace su un delta fluviale mentre invece Kabul sta su di un altopiano / eccetra invece di eccetra… E così si dichiarava inammissibile “a priori” ogni confronto indesiderabile fra l’azione militare americana e quella sovietica.
E così è altamente indesiderabile per le autorità dell’Anpi ammettere qualsiasi somiglianza, sia pur vaga, fra la resistenza italiana di ottant’anni fa e quella attuale ucraina.
Impossibile ogni confronto, chiaro?
Beh, su questo punto si potrebbe dar loro ragione: effettivamente le truppe d’invasione russa non si comportano in Ucraina come quelle tedesche in Italia. La Wehrmacht, durante la seconda guerra mondiale, non ha mai bombardato a tappeto una città italiana di 450 mila abitanti (come Bologna o Bari) riducendola in un ammasso di macerie come hanno appena fatto i russi con Marjupol. E nelle stragi che commisero i tedeschi in Italia, essi erano sempre accompagnati e talvolta guidati da reparti italiani di camicie nere, mentre invece i russi non hanno trovato un solo cane di ucraino che si prestasse.
Il predecessore di Pagliaruolo, il 98enne Carlo Smuraglia (nato nel 1923) è stato un vero partigiano in carne ed ossa, ed ha sostenuto l’esatto contrario con frasi brevi ed incisive: “Quella dell’Ucraina è resistenza e va aiutata anche con delle armi”. La senatrice Liliana Segre, nata nel 1930 e sopravvissuta alla persecuzione nazista, è sulla stessa linea: non è possibile nessuna equidistanza fra aggressore ed aggredito “se vogliamo restare fedele ai nostri valori”. E quali sono questi valori? I giovani membri dell’ANPI non hanno dubbi invocando la Pace come entità trascendente e fine a sé stessa. I partigiani veri, quelli che si “facevano la mazza” e sono quasi tutti morti di vecchiaia, se allora avessero avuto per scopo la pace fine a sé stessa, avrebbero potuto raggiungerla facilissimamente, deponendo le armi e rassegnandosi a vivere nella meravigliosa Repubblica di Salò. Le ultime due strofe della canzone del partigiano (nella versione originaria pubblicata dal “Manifesto”) sono inequivocabili: “E questo è un fiore del partigiano / morto per la libertà”. Non per la pace, quindi, ad onta di tutte le mistificazioni, ma per la libertà.
“Combattere in armi per la pace” è una contraddizione in termini, un ridicolo ossimoro, come “banchettare per dimagrire” o “urbanistica nomade”. Oggi ci si duole a ragione che i valori della lotta partigiana sono tramontati e obliterati: ma che diritto hanno a lamentarsene proprio quei rappresentanti ufficiali che li tradiscono?