Le parole pronunciate da Ursula von der Leyen delineano un’Europa che sembra rassegnarsi a un futuro dominato dalla corsa agli armamenti
Il messaggio chiave della sua dichiarazione è chiaro: „Viviamo nel periodo più significativo e pericoloso della nostra epoca“. Un’affermazione che suona come un preludio a un’accelerazione senza precedenti nella militarizzazione del continente, giustificata con la necessità di affrontare minacce non meglio specificate.
La proposta che la Presidente della Commissione Europea ha messo sul tavolo, denominata „ReArm Europe“, prevede un massiccio incremento delle spese militari, con un piano strutturato su cinque pilastri che punta a raccogliere fino a 800 miliardi di euro per rafforzare le capacità difensive dell’Unione. L’Europa, secondo Von der Leyen, deve finalmente „prendersi le proprie responsabilità“ e prepararsi a un’era di riarmo.
Ma siamo davvero sicuri che questa sia la strada giusta?
Uno degli elementi più preoccupanti del discorso di Von der Leyen è la scelta di derogare ai vincoli di bilancio per permettere agli Stati membri di investire senza limiti nel settore della difesa. Attivare una „clausola di fuga“ dal Patto di Stabilità e Crescita significa, in sostanza, dare alle spese militari una corsia preferenziale rispetto ad altri settori cruciali come sanità, istruzione, transizione ecologica e coesione sociale.
La cifra ipotizzata – un aumento medio della spesa per la difesa dell’1,5% del PIL – potrebbe generare una capacità di spesa di 650 miliardi di euro in quattro anni. Un investimento che avrà impatti economici enormi, ma di cui poco si dice sugli effetti a lungo termine: chi pagherà il conto di questo riarmo? E quali saranno le conseguenze per le politiche sociali?
Von der Leyen parla di sicurezza europea come se il problema fosse unicamente di natura militare, ignorando che la stabilità si costruisce con politiche economiche e diplomatiche lungimiranti, non con un’accelerazione della corsa agli armamenti.
Un altro elemento centrale del piano è il finanziamento di 150 miliardi di euro in prestiti per investimenti nel settore della difesa, con l’obiettivo di incentivare la produzione di armamenti e tecnologie militari su scala europea. Questo include sistemi missilistici, artiglieria, droni e tecnologie di guerra cibernetica.
L’argomento utilizzato è quello della razionalizzazione degli investimenti: acquistare insieme, ridurre la frammentazione, rafforzare l’industria europea. Tuttavia, dietro questa logica di efficienza si cela un disegno molto chiaro: trasformare l’Unione Europea in un attore militare sempre più autonomo dalla NATO ma, al tempo stesso, sempre più dipendente dall’industria degli armamenti.
Le lobby del settore militare stanno esercitando una pressione senza precedenti sui governi nazionali e sulle istituzioni europee. Il rischio è quello di un’Unione Europea che abbandona progressivamente la sua vocazione diplomatica per diventare una macchina da guerra al servizio di interessi economici ben precisi.
Ma l’Europa sta davvero facendo la scelta giusta?
La domanda fondamentale che emerge è se questa strategia sia davvero nell’interesse dei cittadini europei.
Von der Leyen afferma che il piano di riarmo serve a rispondere a una „minaccia imminente“, senza però mai specificare quale sia. Se si tratta della guerra in Ucraina, appare evidente che il conflitto ha già mostrato i limiti dell’approccio puramente militare: invece di avvicinarci alla pace, il sostegno incondizionato alla guerra ha solo prolungato il conflitto, aumentando le tensioni con la Russia e trascinando l’Europa in una crisi energetica e alimentare senza precedenti.
E se la minaccia fosse un’altra? La NATO ha recentemente alzato il livello di allerta nei confronti della Cina, accennando alla possibilità di un maggiore coinvolgimento europeo nelle strategie geopolitiche del Pacifico. Ma questo significherebbe entrare in uno scontro che non appartiene storicamente all’Europa, trasformandoci in un attore subalterno alle dinamiche della politica estera americana.
Von der Leyen sembra ignorare il fatto che la sicurezza non si costruisce solo con carri armati e missili. La storia ci insegna che l’aumento della spesa militare non porta necessariamente maggiore stabilità. Al contrario, l’Europa rischia di essere trascinata in un’escalation pericolosa, in un nuovo clima da guerra fredda che potrebbe avere conseguenze devastanti.
La sicurezza europea si costruisce con diplomazia, investimenti nella resilienza economica e sociale, e una politica estera indipendente e responsabile. L’Unione Europea dovrebbe essere un attore di pace, non un nuovo polo militare in competizione con le grandi potenze mondiali.
Se davvero crediamo nei valori europei di pace, democrazia e cooperazione internazionale, dovremmo fermarci e chiederci se stiamo facendo la scelta giusta. Forse la vera domanda non è se l’Europa sia „pronta a riarmarsi“, ma se siamo davvero pronti ad abbandonare i principi su cui la nostra Unione è nata.