Drastiche giravolte della storia
La rielezione di Emmanuel Macron a capo di uno stato presidenziale come quello francese è il risultato politico più importante della settimana scorsa, anzi di tutto il mese. La posta in gioco era alta come non mai: se avesse vinto Marine Le Pen, l’Unione Europea sarebbe stata sottoposta ad una tensione fortissima che avrebbe potuto disgregarla proprio nel momento peggiore che viviamo dal 1945 ad oggi. Bisogna tener presente che la Francia, in quanto potenza vincitrice della seconda guerra mondiale, non si trova vincolata come l’Italia e la Germania a certe clausole imposte nei trattati di pace, e quindi ha molta più libertà di azione politica di essi. Per la Francia non ci sarebbero grossi ostacoli ad uscire dall’EU al seguito dell’Inghilterra, e nella sua scia potrebbe trascinarsi appresso anche l’Italia di Salvini, che da sola è troppo debole per provarci, ed i Paesi Bassi di Mark Rutte. Durante tutta la sua campagna elettorale la signora Le Pen non ha mai smesso di sparare bordate contro la Germania accusandola di sinistri e perversi piani per colonizzare l’intera EU, e così rimestando nel risentimento francese che si tramanda di generazione in generazione. Fatto sta che se non ci fosse la Germania, toccherebbe alla Francia il ruolo di Paese egemone nell’EU.
Macron invece, appena eletto, ha voluto inviare un segnale forte scegliendo come meta del suo primo viaggio Berlino, e per seconda Kiev. Questa non è una prassi ovvia, molti dei suoi predecessori non l’hanno rispettata. Così nel 1998 Mitterand, appena eletto, ha snobbato il cancelliere Kohl, e nel 2002 Chirac ha fatto lo stesso con Schröder. Per questo stesso motivo la vittoria di Macron è un evento assai scomodo per Putin, il quale si era fatto fondate speranze di veder trionfare la signora Le Pen, che, a quel che sembra, lui avrebbe sostenuto anche finanziariamente. In realtà quel 41% di voti che si è conquistata l’estrema destra è un segnale molto preoccupante e rappresenta per essa già una mezza vittoria. Come andranno le elezioni presidenziali in Francia fra 5 anni, quando un candidato forte come Macron non potrà ripresentarsi? La signora Le Pen può aspettare…
A differenza della Germania, la Francia di Macron si è messa senza indugi al fianco dell’Ucraina
Già il 17 aprile scorso l’ambasciatore francese Étienne de Poncin, che si era ritirato prudentemente a Leopoli, è rientrato a Kiev riassumendo la sua funzione ufficiale, testimoniando così la volontà del proprio paese di star vicino ai bisogni degli ucraini. Il governo tedesco, dal canto suo, sta dando al mondo ed ai suoi stessi elettori uno strano spettacolo di tentennamenti e temporeggiamenti pretestuosi, d’incapacità di decidersi che stanno facendo perdere la pazienza al Partito Liberale, tanto che il settimanale Der Spiegel ha intitolato una sua copertina “Di che cosa ha paura Scholz?”. Sembra di esser ritornati agli anni ‘80, quando il blocco ideologico della SPD contro il riarmo della NATO finì col mettere in crisi il governo del cancelliere Schmidt. Stavolta però anche i verdi si sono dichiarati a favore degli aiuti in armamenti all’Ucraina. Omid Nouripour, eletto da poco a capo del partito, ha dichiarato pubblicamente che non sarebbe consigliabile farsi guidare dalla paura, pur senza nominare esplicitamente il proprio capo di coalizione. Macron però si è astenuto dal criticare la posizione di Scholz ed invece si è dichiarato comprensivo per i problemi interni berlinesi. È normale che ci siano posizioni differenti, ha commentato, poiché la Francia dipende molto di meno dalle forniture di gas e petrolio di altri paesi. Questo, detto a parte, grazie alle sue imponenti centrali nucleari. È stato proprio il programma dei pacifisti “NO all’energia nucleare” a spingere la Germania nelle braccia di Putin per la fornitura di energia alternativa. E adesso ci si trova davanti al bel risultato che l’idealismo di sinistra ha fatto involontariamente il gioco del militarismo di destra. E non è mica la prima volta nella storia.
Naturalmente sarebbe ingiusto fare una colpa a molti politici di essersi fidati di Putin: siamo stati tutti colti di sorpresa. Anche la democristiana Angela Merkel. Fatto sta che l’ideologia panslavista di Putin, che è terribilmente simile a quella pangermanista d’infausta memoria, era stata considerata finora un problema interno, niente più che uno specchietto per le allodole per i suoi “sudditi”. Anche quando con un colpo di mano Putin si è divorato tutta la Crimea, si sono profilati numerosi intellettuali che dichiaravano la loro comprensione per i motivi del premier russo, i cosiddetti “Putin-Versteher”. Invece sarebbe stato il caso d’intervenire più seriamente su quel punto, e forse si sarebbe evitato lo sviluppo successivo. Infatti appare chiaro che l’appetito viene mangiando, e che se a Putin riuscisse ad ingoiarsi tutta l’Ucraina, i prossimi bocconi sarebbero le repubbliche baltiche. Perciò, per fermarlo, è indispensabile far sì che l’Ucraina gli resti nel gozzo fino a soffocarlo. Questo è lo scopo di tutto il sostegno che Kiev sta ricevendo dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, sostegno che è stato ribadito recentemente a Ramstein.
Mosca reagisce cercando di soffocare l’Europa a sua volta (con gli Uniti non ci riuscirebbe)
I due bersagli sono, per ora, la Polonia e la Bulgaria, a cui viene chiuso il rubinetto del gas perché si ostinano ad applicare le condizioni contrattuali secondo cui la bolletta deve venire pagata in valuta forte, cioè in euro o in dollari. È noto che nel mese scorso Putin se n’è uscito di punto in bianco con la pretesa che si pagasse tutto in rubli russi, violando di fatto le condizioni contrattuali firmate e controfirmate. Ma evidentemente prevale per lui la necessità di fermare la caduta della sua valuta nazionale. Malgrado ciò l’Unione Europea non ha mostrato preoccupazione alcuna, la Commissione ha dichiarato che l’EU non pianta in asso i suoi paesi membri e che i suoi depositi sono pieni di gas. La presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha detto che la Russia si autodanneggia bloccando le esportazioni di gas, ma che il suo passo non è sorprendente, dato che si tratta di un tentativo di ricatto del Cremlino per mezzo dei combustibili fossili. Nello stesso tempo sia Bruxelles che Berlino hanno annunciato di aumentare gli sforzi per liberarsi dalla dipendenza della Russia; il vicecancelliere e ministro dell’industria Robert Habeck ha dichiarato di esser riuscito ultimamente a far calare il fabbisogno di gas russo dal 55% al 35% e che tutti gli sforzi per ridurlo a zero saranno coronati dal successo non appena problemi di infrastruttura saranno risolti, si spera, a spron battente. I nuovi fornitori saranno gli Stati Uniti, l’Egitto ed il Qatar. Dopodiché Putin dovrà andare alla ricerca di nuovi clienti, ed uno di questi potrebbe essere la Cina.
L’Italia, dal canto suo, sta facendo il possibile
L’ENI ha reso noto che è stato siglato un accordo con il Congo per l’aumento della produzione e per l’esportazione, in primis tramite lo sviluppo d’un progetto di gas naturale liquefatto con avvio previsto nel 2023 e capacità a regime di oltre 3 milioni di tonnellate, cioè oltre 4,5 miliardi di metri cubi, annui. Nella nota ufficiale si legge che “Alla presenza del Ministro degli Esteri della Repubblica del Congo Jean-Claude Gakosso, del Ministro degli Esteri Luigi di Maio e del Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, il Ministro degli Idrocarburi della Repubblica del Congo, Bruno Jean Richard Itoua, e l’Amministratore Delegato dell’ENI Claudio Descalzi, hanno firmato oggi a Brazzaville una lettera d’intenti per l’aumento della produzione e dell’export di gas. In seguito alla firma si è tenuto un incontro con il Presidente della Repubblica del Congo Denis Sassou Nguesso”.
Un progetto a scadenza molto più lunga è il Nigal, il gasdotto sahariano lungo oltre 4mila chilometri che dovrebbe unire i giacimenti del delta del Niger con l’Algeria (Nig-Al): un progetto molto impegnativo in cui anche la russa Gasprom aveva tentato di metterci lo zampino, ma dopo gli ultimi avvenimenti è stata fatta pussare via. Negli incontri ufficiali avuti da Claudio Descalzi alla presenza di Draghi in persona durante la visita ufficiale ad Algeri, si è parlato proprio di questo. Il progetto dovrebbe venire realizzato tecnicamente dalla Saipem. Ma di mezzo non ci sono tanto problemi tecnici, quanto semmai politici, dato che il gasdotto dovrebbe attraversare territori disabitati dove sarebbe alla mercé di gruppi terroristici, che siano i guerriglieri del Niger o dei combattenti islamici. Un altro progetto di non immediata realizzazione è il Desertec: si tratta d’impiantare nel deserto enormi impianti fotovoltaici con cui produrre idrogeno molecolare attraverso l’elettrolisi dell’acqua. Il gas così prodotto potrebbe venire facilmente esportato in Europa tramite gasdotti già esistenti. Questo progetto è molto ben visto dagli ambientalisti, dato che la combustione dell’idrogeno non produce anidride carbonica, ma solo innocuo vapore d’acqua.