Sembra che l’anno di grazia 2019 sia un anno del destino per l’EU. Non era mai successo che tanti nodi venissero al pettine tutti assieme ed in circostanze così incerte.
Già nei lontani anni ’60 l’allora presidente francese Charles De Gaulle si opponeva ostinatamente all’ingresso della Gran Bretagna nell’allora Comunità Europea sostenendo che gli inglesi non appartengono all’Europa. Aveva ragione? Di fatto, da quando è entrato, il Regno Unito ha fatto pochissimo per far progredire il processo di integrazione e moltissimo per impedirlo. Cosa succederà dopo la sua uscita? E poi, a forza di procrastinare, uscirà davvero?
E chi entrerà dopo di esso? Un mucchio di paesi dell’Europa Orientale è in lista di attesa, dall’Albania all’Ucraina, ma non è bastata la pessima esperienza con alcuni di quelli già entrati per far riflettere sulla necessità di un ulteriore allargamento dei nostri confini? Quante compagini politiche sono già crollate perché erano diventate troppo grandi per venire gestite? O perché avevano subito un’espansione troppo rapida?
Molti megaprogetti intereuropei sono entrati in crisi, come l’Eurobus, gli oleodotti e la TAV. Si sono riaperte anche le discussioni sulla valuta comune, l’Euro, valutando i suoi pregi e i suoi difetti con non meno acribia (e partigianeria) della TAV. Molti si chiedono: se un’istituzione privata come la Banca Centrale Europea è la padrona della nostra comune valuta, perché non ci lasciano eleggere il suo presidente? Che razza di democrazia è questa? Già molti anni fa il filosofo Jürgen Habermas aveva stigmatizzato così la situazione: se un qualsiasi paese europeo con istituzioni politiche come quelle dell’EU chiedesse l’ammissione all’EU, ne verrebbe respinto per mancanza di democrazia.
I confini con l’EU sono sotto pressione dalle correnti di migranti e di profughi, e nessuno ha trovato finora una soluzione gestibile, ma solo fatto un giochetto a scaricabarile. Possiamo solo commentare: che fortuna non avere ammesso la Turchia all’EU come volevano certi politici, perché altrimenti oggi la nostra bandiera stellata sventolerebbe direttamente in faccia all’ISIS, sulle frontiere della Siria e dell’Irak. L’ingresso dell’Ucraina, poi, avrebbe certo ripercussioni enormi sulla nostra vicina Russia che ha visto avvicinarsi le basi della NATO sempre più al suo cuore. Ma anche i rapporti con l’America, per la prima volta dal dopoguerra, sono entrati in crisi e nessuno sa come andranno avanti. L’Europa dovrebbe essere in grado di proteggersi da sola, senza il patrocinio americano, ma ciò sembra irrealizzabile. E nel frattempo si è aggiunta al gioco l’allettante presenza cinese con i suoi grandiosi progetti. Negli ultimi anni la popolarità del progetto europeo, proprio mentre si stava realizzando concretamente, è crollata rovinosamente. Bruxelles non è più vista come una meta ideale, ma come un peso che tocca subire. Un covo di Lobby che agiscono dietro le quinte approfittando di strutture politiche e burocratiche troppo complicate per essere trasparenti. La gente si chiede perché ci devono venire imposte decisioni prese da altri in nostro nome, vive nella sensazione diffusa di venire manipolata e raggirata da poteri imperscrutabili. L’ultima decisione sui controlli in internet per tutelare i diritti d’autore non ha fatto che rafforzarla. Anche il referendum sull’ora legale ha avuto un decorso molto anomalo, perché quasi nessuno ne era informato fino all’ultimo giorno, ed il risultato è stato considerato valido malgrado avesse votato meno dell’ 1% degli aventi diritto. Strano, perché normalmente ogni referendum, anche uno puramente consultivo, ha una soglia di partecipazione per essere considerato valido. Anche la Commissione Europea sotto la guida del lussemburghese Juncker ha perso molto del rispetto che aveva in partenza. La composizione politica del nuovo parlamento sarà probabilmente molto diversa da quella in scadenza. Stiamo vivendo in un’epoca interessante.