Bruxelles ricomincia ad interessarsi ai Balcani
Bled è un angoletto idillico della Slovenia, in riva a un pittoresco laghetto prealpino, dove fra l’altro ha sede il Bled Strategic Forum (BSF). Si tratta di una conferenza annuale organizzata a cominciare dal 2006 concepita come una piattaforma di confronto fra diverse opinioni eccellenti circa le prospettive del futuro.
In questa cornice, il 28 e 29 agosto scorso, il presidente del Consiglio d‘Europa Charles Michel, ha per la prima volta nominato una scadenza per il prossimo allargamento dell‘EU che ci attende: „Il 2030 dobbiamo essere pronti ad allargarci“ e cioè alla Moldavia, all’Ucraina ed alla Georgia.
Quest‘ultima, a dire il vero, sarebbe il primo paese extraeuropeo ad entrare nell’Unione Europea. Infatti la geografia fisica c‘insegna che i confini orientali del nostro continente decorrono lungo gli spartiacque degli Urali e del Caucaso, e la Georgia si trova inequivocabilmente a sud di quest‘ultima catena montuosa, dunque in Asia.
Dunque l’EU si è allargata così tanto da straripare al di fuori dei suoi limiti continentali. E stando così le cose, che c’impedirebbe, in futuro, di accogliere nell’EU anche l’Azerbajigian, la Corea del Sud o la Tunisia? O magari anche l’Uruguay?
Fantapolitica?
Alcuni presentano il processo di allargamento progressivo come necessario e ineluttabile, senza porsi la questione dei confini. Intanto già da due decenni 5 stati sono in anticamera di attesa, e cioè l‘Albania, la Bosnia-Herzegovina, la Serbia, il Montenegro, la Nordmacedonia. In più ci sarebbe la Turchia, ma le trattative con essa si sono interrotte da quando Erdogan si è messo a fare il despota. Per fortuna, perché l‘ingresso della Turchia nell’EU avrebbe segnato uno stravolgimento degli equilibri interni senza precedenti, dato che essa rappresenta un „peso massimo“ in fatto di popolazione: circa 85 milioni, superiore perfino alla Germania, ed in continua crescita. Inoltre, in gran parte di questa massa di popolazione non vigono certo usanze che possano considerarsi coincidenti con le tradizioni europee.
Un altro candidato molto problematico è la Serbia, che ha solo 6 milioni di abitanti, tutti però fortemente legati alla Russia per motivi storici, di cultura e tradizioni religiose.
La guerra in Ucraina la mette a dura prova, davanti alla sgradevolissima decisione di prendere posizione per l‘EU o per il suo grande fratello. Non dimentichiamoci che fu proprio questo legame, apparentemente inscindibile, fra la Serbia e la Russia, a trascinare l‘intera Europa nella prima guerra mondiale.
La premier serba Ana Brnabić ha dichiarato il 29 agosto, come in risposta al discorso di Michel, che essa considera non realistica la prospettiva di ammissione all’EU nei prossimi anni, perché primo, il processo si rivela talmente lungagginoso che non se ne vede la fine; e secondo, perché i criteri a cui bisogna soddisfare cambiano in continuazione.
La Serbia ha posto la sua domanda d‘ingresso nel 2009; nel frattempo però organizzazioni internazionali come Reporter Senza Frontiere, Freedom House e Transparency International hanno constatato che la Serbia ha fatto molti passi indietro nei loro campi specifici. Probabilmente per il prepotente influsso della Russia; quindi una Serbia nell‘EU finirebbe per essere la quinta colonna di Putin.
La Nordmacedonia, ex-macedonia, è stata lungamente osteggiata dalla Grecia per una questione di denominazioni ufficiali che a molti è parsa ridicola. Anche l‘Albania ha posto la sua domanda ufficiale nel 2009 con la speranza di essere ammessa nel 2014, ma campa cavallo: la sua candidatura è osteggiata da altri stati balcanici già ammessi nell’EU, particolarmente dalla Bulgaria, i quali temono le loro minoranze albanesi come le serpi in petto. Per il Montenegro sembra che finora non siano emersi gravi problemi. Però tutti questi contrattempi e ritardi finiscono per creare un vuoto d‘attesa in cui possono facilmente insinuarsi la Russia e la Cina; ed ecco allora il brusco risveglio di Bruxelles che adesso vuol dare nuovo impulso alle trattative.
Ma oltre ai problemi individuali dei vari paesi esistono dei problemi di portata più generale, soprattutto di tipo finanziario. Come ha fatto presente Michel nel suo discorso a Bled, „L’integrazione di nuovi membri nell’EU non sarà facile“. Saranno necessari notevoli mezzi finanziari per sollevare le loro economie. Il loro potere economico si aggira fra 50% ed il 70% del più povero stato dell‘Unione. Il che significa che anche quest‘ultimo dovrà finanziare di tasca propria i nuovi arrivati, e che quindi non sarà molto propenso alla loro ammissione. Già il premier Albanes Edi Rama, approvando le dichiarazioni di Michel, ha sottolineato che la candidatura dell‘Ucraina non dovrebbe andare a carico dei paesi balcanici. Si immagini le cifre spropositate che costerebbero all’Unione Europea la ricostruzione di un paese devastato dalla guerra che ha una superficie doppia dell‘Italia e più di 40 milioni di abitanti.
Per essere più forti e sicuri, l‘Unione Europea dovrebbe diventare più potente e perciò, secondo Michel, dovrebbe accogliere i nuovi stati membri. Ma tale eletto scopo sarà davvero possibile raggiungerlo per semplice addizione di nuovi stati? Molti sono scettici, perché l’esperienza dimostra che più membri ci sono, e più aumentano le discordie interne; talune perfino alquanto migragnosette come dimostra il dissidio fra Grecia e Macedonia sul nome, che si è protratto per anni.
Due processi paralleli sarebbero necessari secondo Michel per raggiungere tale scopo. Da un lato gli stati candidati devono intraprendere delle riforme interne richieste per adeguarsi agli standard dell’EU, ma dall’altro l’EU stessa dovrebbe riformarsi nel senso di sveltire i suoi processi decisionali, come richiesto esplicitamente dal presidente francese Macron.
Una settimana prima, in un incontro al vertice ad Atene i premier degli stati dei Balcani occidentali avevano assicurato con una dichiarazione comune il loro sostegno all’Ucraina che, assieme alla Moldavia, condividono „una comune eredità europea, una storia ed un futuro“.
Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskij, presente all’incontro, dal canto suo ha spinto affinché le trattative per l’ammissione all’UE cominciassero già quest’anno. „Come investimento strategico in pace, sicurezza e stabilità in Europa è importante che queste regioni vengano abbracciate quali membri a pieno diritto della famiglia europea“.
Secondo il commissario europeo all’allargamento, il magiaro Óliver Várhely, entro la fine del giugno scorso Kiev avrebbe già assolto a 2 delle 7 condizioni e la Moldavia 3 di 9.
Nei prossimi mesi si vedrà come i vari premier degli stati dell’EU hanno preso le tesi di Michel. All’inizio del prossimo ottobre il tema dell’allargamento dell’EU dovrebbe venire discusso in un vertice informale dell’EU indetto a Granada. In dicembre si dovrebbe decidere se con l’Ucraina e la Moldavia si debbano intraprendere trattative per l’ammissione e se la Georgia riceverà lo status di candidato all’ammissione.