A dispetto delle scomunica dei Papi, delle condanne dei giudici, delle denunce di molti scrittori e delle leggi punitive dello Stato
Praticamente ogni giorno veniamo a conoscenza di furti, attentati ed uccisioni commessi, in Italia e non solo, da mafiosi. Il 28 marzo scorso Papa Francesco ha denunciato i “tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi”. Ed ha invitato a pregare “perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio”.
Appello cui si è aggiunto il “Convertitevi” espresso in una lettera da 25 Vescovi siciliani. Esortazione e speranza, la loro, che fa seguito alla condanna all’inferno espressa ad Agrigento, il 9 maggio 1993, da Papa Wojtyla, partecipe del dolore dei cittadini e consapevole dell’improbabile conversione di quei delinquenti. Punizione che la mafia percepì come una dichiarazione di guerra cui reagì uccidendo, a settembre, il sacerdote Pino Pugliesi, poi beatificato dall’attuale Pontefice.
Vendetta, la loro, che non stupisce, essendo i mafiosi autori di furti, di omicidi, di ricatti e di stragi.
Come quella effettuata, nel 1992, a Capaci, ove uccisero il giudice antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo ed i tre uomini della scorta. Non a caso, essendo il magistrato promotore della guerra alla delinquenza mafiosa, in quanto “uomo che ha creduto nei valori dello Stato democratico”, come affermato dalla sorella Maria che ha sempre ricordato “le emozioni della sua lotta contro la mafia, le sue battaglie, le sue vittorie, le sue sconfitte”.
Quelle che hanno fatto registrare l’espansione al Nord della ’ndrangheta calabrese e la nascita di nuovi gruppi mafiosi tra i quali quello nominato “Mafia Capitale”. Associazioni che uccidono o feriscono meno anche perché si avvalgo-no spesso della complicità di imprenditori, professionisti, politici, burocrati. Che sperano così di far crescere il loro giro d’affari e la propria influenza. Con la conseguenza, secondo l’Antimafia, di far diventare le associazioni “protagoniste di una parte dell’economia italiana e internazionale”.
Inevitabile che, grazie alla diffusa convinzione che i mafiosi fossero in carcere e quindi eliminato il pericolo, praticamente non si sia più invocata la lotta alla mafia, benché ancora esistente. E sempre pericolosa anche perché, come diceva Falcone, se “fa i suoi affari in silenzio, sarà ancora più complicato rimetterla a posto”, benché nel testo della Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Rosy Bindi, fossero state messe in evidenza le trasformazioni, quindi l’esistenza e, soprattutto, la complessità della lotta.
Come pure le negative conseguenze per l’ambiente e per la salute procurate dallo smaltimento illegale dei rifiuti tossici, dagli affari nella sanità privata (in Sicilia e Calabria, ma anche in Lombardia); dagli appalti per i restauri dei preziosi monumenti, ai quali i mafiosi partecipano tramite il procedimento dei subappalti. E danni anche a “settori come il gioco d’azzardo, le energie rinnovabili, le catene di supermercati. Nonché il riciclaggio di capitali sporchi, pari al 10% del Pil”.
Una mafia che s’intromette nei lavori degli impianti eolici della Sicilia occidentale, nella sanità privata, nella gestione dei villaggi vacanze, senza farsi notare, quindi rendendo difficile o impossibile la distinzione tra lecito e illecito, mescolandosi con individui prima non partecipi alla sua attività criminale, adesso coinvolti dai mafiosi in quanto convenienti alla loro sopravvivenza.
Ne deriva, secondo l’imprenditore Giacomo De Gerolamo “una Sicilia – e un’Italia – ancor più irredimibile, sospesa tra la sostanziale indifferenza dei più e il disorientamento di un movimento antimafia che sa offrire solo vecchi rituali, un lessico consunto, idee di seconda mano”.
Il che porta la Commissione Antimafia a suggerire ai politici di non limitarsi ad interpretare “la scelta dell’inabissamento, il ricorso più dosato alla violenza, la predilezione per le attività legali e l’espansione in nuovi territori come una semplice strategia” adottata per reprimere lo Stato e non acquisire una maggiore sensibilità pubblica. E di non credere che i successi giudiziari e culturali finora ottenuti possano far pensare che la mafia sia stata sconfitta.
Purtroppo, infatti, essa ha ancora un notevole potere per ottenere la crescita del giro d’affari, nonché una notevole espansione territoriale in Sicilia, nella nostra Penisola ed in tutto il pianeta.
Per sconfiggerla ed annientarla occorre “adottare un’ottica sistemica, che ne indaghi le interazioni con gli attori economici, politici, istituzionali anche sotto il profilo teorico”.
E finalmente prendere atto che essa è un fenomeno globale e come tale va studiato e combattuto.
Può darsi che siano validi questi suggerimenti dati da Fabio Armao, docente di Relazioni internazionali a Torino, nel libro
Il sistema mafia pubblicato nel 2000, nel quale afferma che solo con uno studio notevole si possono contrastare gli “eventi di mafia”, in quanto mostrano “la strategia dei padrini”. Ammesso che ciò ne permetta finalmente la sconfitta.