Se è storicamente vero che è nel meridione che si sono sviluppati i primi fenomeni di mafia, a causa di un’arretratezza sociale, economica e culturale, nota anche come “questione meridionale”, è anche vero che le mafie, per sopravvivere e proliferare, hanno presto imparato a fare amicizia con il potere, ad entrare nei palazzi della politica, a Roma, nelle stanze dell’alta finanza a Milano, nelle realtà industriali grandi e piccole, in tutta Italia, ed a stringere patti con le associazioni criminose di altri Paesi.
A livello internazionale, si usa il termine mafie per organizzazioni criminali complesse, antiche, come le Triadi cinesi e la Yakuza giapponese, o più recenti, come i cartelli latino-americani, la mafia russa, albanese, nigeriana ecc. Non esistono isole felici. Ed infatti continua la lotta tra i clan, ed è solo di qualche giorno fa l’esecuzione di un capo mafia in Puglia, e ciò che preoccupa di più gli investigatori sono i clan della nuova mafia: la mafia di Foggia, denominata “Società”; un’organizzazione criminale entrata a pieno titolo nel gran panorama delle mafie di Puglia e non solo. Infatti i clan mafiosi si stanno trasferendo in Germania alla ricerca di opportunità di arricchimento, in risposta alla crisi nel sud dell’Europa e alle attività di repressione della criminalità organizzata avviate dalle autorità italiane già dalla fine degli Anni Novanta, e come scrive anche il Guardian, citando per esempio i dettagli di una recente operazione anti droga su vasta scala lanciata dagli inquirenti tedeschi, insieme ai loro colleghi italiani, nel sud ovest del paese. In questa operazione, condotta dalla Guardia di Finanzia Italiana e dalla Polizia Federale Tedesca e scattata nella località di Villingen-Schwenninge, sono stati eseguiti oltre venti arresti.
Queste sono le vicende di violenza e sangue che sono, tra l’altro, state raccontate dal già Procuratore di Lucera, Domenico Seccia, nell’interessante libro “La mafia sociale” che, introdotto da una prefazione di Raffaele Cantone, Capo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ci racconta di una mafia di cui nessuno parla, quella della Capitanata (la Provincia di Foggia) perché – come scrive Seccia – “qui non vi è stata alcuna rivoluzione dei lenzuoli. Qui si continua a dire che non vi è alcuna infiltrazione mafiosa. Tutti dicono “qui” e non “da noi”, e forse anche questo vuol dire qualcosa”. Dalla lettura del libro apprendiamo le modalità con cui le principali famiglie della “Società” foggiana abbiano costruito il loro predominio criminale; c’è anche il racconto del pentito della “lista”, (la posizione del comando del clan più potente), il collettore economico della mafia foggiana, che spiega la causa della morte violenta di quanti hanno provato ad impossessarsene imponendo la loro leadership criminale. Sono riportate le storie di chi è stato trucemente ucciso per la sua vicinanza agli ambienti mafiosi, ma anche quella di chi non ha voluto piegarsi alla logica del sopruso ed è stato costretto a doverne fare comunque i conti. Quel che accomuna tutte le mafie pugliesi che, come probabilmente non noto, sono scollegate da qualsivoglia strategia unitaria, è che raramente si manifestano con fatti eclatanti preferendo, a fattor comune, una politica di “immersione” per favorire gli “affari”, del tipo di quella attuata dalla più temibile “Cosa Nostra”.
Ma, aspetto più importante, è il risvolto nefasto che queste congreghe criminali hanno sulle popolazioni da nord a sud della regione. La necessità di predisporre misure forti, nasce proprio dal fatto che se ancora non proprio raggiunto il consenso sociale, la strategia di ricerca ha prodotto una sorta di assuefazione e disinteresse della gente alle manifestazioni criminali con la sostanziale accettazione di comportamenti delittuosi dei quali continua ad essere vittima. Ciò comporta il pagamento del “pizzo”, quale prezzo della tranquillità, o il prestito usuraio, preferibile alla chiusura dei canali bancari, dove talvolta si trova qualche funzionario compiacente che manda proprio i poveri cittadini od imprenditori ignari, presso fantomatiche finanziarie che altro non sono che “usurai”. Ciò dovrebbe, in verità, preoccupare fortemente la politica, purtroppo da decenni disinteressata a tali problematiche, perché a favorire interessi che con la sicurezza dei cittadini nulla hanno a che vedere.
A dimostrazione di ciò, sappiamo che è stato soppresso il Tribunale di Lucera, in un comprensorio situato nel centro della mafia foggiana, di cui è stato appunto Procuratore della Repubblica Domenico Seccia l’autore del libro di cui sopra. Sì, possiamo allora, alla luce di tutto ciò, motivatamente affermare che questa è un’altra vera vergogna nazionale! Proprio così, in quest’Italia dei primati negativi ed oggi anche dei proclami, la giustizia muore per una riforma geografica, facendo sì che le aule penali e civile fossero ridotte a depositi, e facendo in modo che la “mafia silente” potesse continuare il suo lavoro, non solo in terra nazionale ma anche e soprattutto all’estero, Germania, Spagna, Malta ecc…