Niente da fare: se qualcuno vuole cambiare qualcosa nell’aristocratico mondo della giustizia in Italia (e sicuramente anche in altri paesi europei) si ritrova immediatamente a lottare contro la “casta” delle toghe, impenetrabile ed inossidabile. Raramente qualche giudice si è mai assunto le proprie responsabilità a parte gli “Eroi” come Livatino, Saetta, Falcone o Borsellino che la mafia l’hanno combattuta sul serio, esposti alla violenza di “mani omicide che percorrono questa terra, impunite e con terrificante sicurezza di perdurante impunità”. Per esempio, mentre si parla da decenni dei rapporti mafia-politica nessuno è andato ad indagare a fondo sui rapporti tra mafia e Procura palermitana, invano denunciati proprio dai giudici uccisi.
Pensiamo a tutti i referendum che nei decenni si sono susseguiti sulla responsabilità dei magistrati e non sono mai stati di fatto applicati, a quanti (pochissimi) giudici siano stati portati a giudizio per sentenze dimostratesi apertamente insostenibili o ai casi infiniti in cui – a livello europeo – la giustizia italiana sia stata condannata per discriminazioni o ritardi: i responsabili dei fatti – pensate al caso Tortora – non pagano mai; così come ora è alle cronache della ribalta il massacro di Ponticelli avvenuto il 3 luglio del 1983 dove si parla di un madornale errore caso giudiziario che ha visto 3 giovani passare quasi 30 della loro vita in carcere, oppure come la storia di Giuseppe Gulotta che ha trascorso 22 anni in carcere da innocente, ingiustamente accusato di aver ucciso due carabinieri, in quella che è passata alla storia come la ‘strage di Alcamo Marina’, la notte del 27 gennaio del 1976, quando all’interno della stazione dei carabinieri del centro del Trapanese, due carabinieri vennero assassinati a colpi di arma da fuoco.
La stessa magistratura che negli anni ha sempre rivendicato la propria (doverosa) autonomia non è stata mai capace di strutturare organismi di autogoverno credibili e ben distinti dalle interferenze politiche tanto che – a parte gli scandali conclamati, ma che poi alla fine sono stati tutti più o meno insabbiati – le stesse “liste” per l’elezione del CSM hanno sempre fatto riferimento a ben chiare aree politiche da cui, implicitamente, si attendono e si offrono adeguate e reciproche protezioni e vantaggi. Come capitò ad un magistrato del tribunale di Potenza, la quale usò il telefono di servizio per chiamare maghi e cartomanti, prefigurandosi il reato di peculato che è un delitto previsto dall’art. 314 del Codice penale e punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria. La pena prevista per questo reato è la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha dato come pena solo una censura e questa magistrata ha continuato il suo lavoro tranquillamente. Proprio il fallito sistema di autogoverno interno e le sue concrete possibilità di interferire nelle carriere ha spinto i magistrati a schierarsi, perché l’appartenenza a questo o quel gruppo era (ed è) l’indispensabile passaporto per passare di grado in una aperta lottizzazione generale, soprattutto per raggiungere quelle posizioni di potere che a loro volta possono condizionare la politica, ed ecco che in questa estate mentre ci si lamenta di quello o quell’altro politico loro vanno in vacanza a Pianosa dove sussistono ancora regole abbastanza restrittive per l’accesso al pubblico e dove stata inaugurata la nuova Casa del Parco a Villa Literno, fatta rivivere come foresteria per i ricercatori e non solo, oppure in Val Gardena, sempre in strutture statali dove i “comuni mortali” non possono andare.
Se la nostra Costituzione (sempre richiamata quando fa comodo, subito dimenticata quando nei fatti è violata) ha diviso in tre i poteri dello Stato non c’è dubbio che una repubblica parlamentare come la nostra proprio nel parlamento abbia il suo anello più debole, in antitesi con quelli che erano i desiderata dei Padri Costituenti e nonostante che le Camere siano – o dovrebbero essere, visti i recenti sistemi elettorali – l’unica espressione diretta del volere dei cittadini. Poi le ipocrisie dominanti, quelle che per i giudici non valgono mai.
Basta guardare la questione della “privacy” che dovrebbe difendere la riservatezza degli italiani. Varate leggi e regolamenti, stampati miliardi di moduli e formulari, studiati programmi informatici, predisposti testi da sottoscrivere tutti sanno che è una gran perdita di tempo perché tanto, quando c’è qualcosa di veramente riservato da preservare o segretare, la norma viene aggirata ed il segreto diventava presto e comunque quello di Pulcinella. Idem per l’“Avviso di garanzia”, un’altra riforma che doveva permettere al cittadino – indagato – di essere meglio garantito nei propri diritti sapendo per tempo (e teoricamente prima degli altri) che è in corso un’indagine su di lui e che quindi – se vuole – possa provvedere a difendersi.
Negli anni, però, chi riceve il fatidico “avviso” è rubricato come sostanzialmente già colpevole. I nomi degli indagati illustri escono misteriosamente quanto regolarmente dalle Procure prendendo la strada delle redazioni e dei media e gli “avvisi” svolgono quindi una ben diversa missione pratica, antitetica a quello per cui erano stati voluti, diventando il killeraggio anticipato dei potenziali indiziati. Non si ha peraltro sentore di un magistrato, un cancelliere, un avvocato, un brigadiere o un maresciallo, un ispettore che sia mai stato inquisito e condannato per aver sveltamente passato la “velina” in mani amiche. Idem per il “Segreto istruttorio”, già parente dell’“Avviso di garanzia”, che imporrebbe a lor signori Magistrati di non rendere pubbliche le inchieste fino al proscioglimento (e allora il silenzio precedente sarebbe stato d’oro) oppure ad un doveroso rinvio a giudizio per far giudicare il presunto colpevole in base alle prove o indizi raccolti. Anche in questo caso il segreto viene però molto spesso violato e l’inchiesta teoricamente segreta diventa oggetto di cronaca, scandalo, dibattito o polemica allietando le cronache politico-giudiziarie anche di questa torrida estate.
Non accenniamo solo a situazioni particolari come per il figlio di Beppe Grillo, né ai soliti casi di intercettazioni sussurrate, ma per esempio alla recente brutta storia di La Russa Jr. apparsa direttamente sul Corriere della Sera in prima pagina diventato subito un quotidiano pruriginoso gossip estivo che infiamma le discussioni da ombrellone, ma anche le cronache politico-giudiziarie. Casi che purtroppo spesso vengono ignorati e sepolti, ma questa volta l’Apache è “figlio di” e quindi – viva la privacy e il segreto istruttorio – il suo nome è spiattellato nel mondo intero, del diciannovenne vengono pubblicate foto di lui, fratelli e famigliari, si aprono polemiche e accuse al di lui padre, cui si chiede il fatidico (e consueto) “passo indietro” ecc… ecc.…
Dell’inchiesta giudiziaria si conosce da subito il nome della Magistrata inquirente e i suoi collaboratori (che non si sottraggono ai media), si montano polemiche e vengono forniti piccanti particolari non confermabili né confermati: il diciannovenne – comunque finirà – avrà a vita un bollo di infamia. Nessuno si permette di dire e scrivere che siamo davanti a clamorose violazioni di legge, perché altrimenti si passa subito come amico degli Apache, ma lo stesso appunto vale anche per i guai combinati dal figlio di Grillo. Intanto la Magistrata milanese – assunta agli onori della cronaca (corsi e ricorsi storici, da mani pulite al Ruby ter ecc.…ecc.…) – indaga, ma alla fine di questo show mediatico – alla faccia della delibera del CSM dell’11 luglio 2018, circa le “Linee guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale” – qualunque cosa deciderà, avrà contro mezza Italia. Se proscioglierà l’Apache molti giornali lasceranno intendere che si è “appiattita al potere”, idem, però, se lo rinviasse a giudizio con indizi opinabili perché l’altra mezza Italia vedrà nella sua decisione una motivazione politica per azzannare ai polpacci il capotribù degli Apache e – quando la promozione arrivasse – il commento sarà esattamente quello già sopra virgolettato.
Pertanto, ci si chiede: è mai possibile sperare in Magistrati rigorosi, saggi ed etici, ma indipendenti e soprattutto riservati, così come ha ricordato il Presidente della Repubblica – che ricordiamo è il Presidente del CSM – quando ha incontrato i giovani Magistrati ordinari in tirocinio ricevuti al Quirinale il 15 giugno di quest’anno?