Essa è l’appiglio che ci serve per mantenere viva in noi la forza di andare avanti soprattutto in previsione di eventi non facili da gestire. Si spera di trovare un buon lavoro; si spera di superare una situazione difficile al meglio dei modi, come la pandemia; si spera sempre. Alla fine, il messaggio è uno solo: ci si salva tutti insieme, proprio perché la speranza è come un faro per la nave, che grazie ad esso riesce a trovare la giusta via per attraccare ad un porto sicuro. La speranza è ciò che ci riporta a trovare un senso al vivere, è ciò che ci permette di rialzarci più e più volte e anche quando pare perduta, va cercata, scovata e nutrita perché cresca.
È la capacità di stare nel non ancora, sapendolo incerto ma desiderabile: permette di mantenere vivo il desiderio di vivere e la ricerca del piacere di vivere, portandoci fuori dalla sensazione di pura e semplice sopravvivenza che a volte ci coglie. Ci permette di accettare il morire di qualcosa – magari il futuro sognato in quel modo specifico – e trasformarci perché altro sia possibile. Noi spesso confondiamo i nostri desideri sul futuro con il fatto che quello sia l’unico futuro realizzabile: nella speranza ci troviamo a ricontrattare e patteggiare con il destino sempre e nuovamente un futuro possibile, diverso da quello atteso inizialmente ma sempre possibile.
Sta a noi restare nella capacità di ricontrattare! La speranza è per Goethe un essere alato che ci dona ali per trascendere, per andare oltre la temporalità e ci procura una nuova visione del destino. Ci eleva sopra il presente per vederlo meglio e per individuare vie nuove, inesplorate ancora ma possibili e realizzabili, per stare in equilibrio precario tra distruzione e creazione. E la creazione inizia oggi: ciò che c’è oggi è stato immaginato ieri e viceversa: ciò che inizia oggi apre al futuro di domani. La speranza, anch’essa, è una responsabilità individuale e comune; è una virtù, quindi un’arte di vivere. La speranza ci invita a non darci per vinti, a non rinunciare, ad accettare ciò che oggi è reale, ma non in maniera passiva: a trasformarlo, a dargli vita e respiro, specie quando ci pare di averla persa.
Piccoli respiri che piano piano diventano più grandi. La speranza è come la felicità: una possibilità sempre presente nel nostro quotidiano, sempre oscillante e che gioca a nascondino con noi e la nostra vita. Ricordiamo quando da bambini ci si nascondeva così bene che dopo un po’ gli altri cambiavano gioco e non ci cercavano più? Che delusione! Non deludiamo la speranza, culla e fonte anche di felicità possibili. Cerchiamola anche se oggi, a volte, pare si sia nascosta molto bene e tanti paiono essere disillusi.
La continua aggressione alla natura da parte della tecnica ha creato da tempo una serie di problemi, uno dei quali è il mutamento biologico anche dei microrganismi. Il problema pandemia viene non solo da quello, è evidente, ma è altrettanto evidente che nelle zone più inquinate le patologie soprattutto polmonari sono accentuate. La speranza che si intravede anche dai messaggi di papa Francesco – soprattutto nel suo ultimo libro “La Vita dopo la Pandemia” – è perciò una speranza necessaria, pragmatica, e non sentimentalistica, che viene dalla possibilità, ancora praticabile, di intervenire subito per rimodulare il cammino del cosiddetto progresso.
Ma la speranza viene anche da una reale, tangibilissima osservazione in questo tempo particolare: la presenza coraggiosa, a prezzo della propria vita, di “medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose”, comprese le fasce più a rischio, è la resistenza della speranza. Ma deve essere una speranza attiva, perché il tempo della “riflessione aristocratica” è finito.