ell’alveo della libertà di pensiero, che ho trattato nello scorso numero del Corriere d’Italia, si collocano anche la libertà di religione e di coscienza: tanto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 18), quanto la Carta dei diritti dell’Ue (art. 10) e la Costituzione tedesca (art. 4), infatti, le proclamano in un unico articolo.
La libertà di religione è un fondamento democratico
In una sentenza del 25 maggio 1993 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ribadito che la libertà di religione è uno dei fondamenti delle società democratiche, bene prezioso anche per gli atei, gli agnostici e gli indifferenti. La democrazia, infatti, è tale solo quando tutela le minoranze, anche quelle religiose. Una democrazia che non tutela le minoranze non è una democrazia ma una dittatura della maggioranza. Difatti, la libertà di religione vuol tutelare anche chi con la religione non vuole avere a che fare. L’affermazione della libertà di religione implica, dunque, la garanzia del suo lato negativo: la cosiddetta libertà di coscienza dei non credenti. Vale a dire: i non credenti hanno il diritto ad essere liberi dalla religione.
Lo Stato italiano è pluralistico
La Costituzione italiana dedica a questo diritto l’art. 19: esso garantisce la libertà religiosa come libertà di fede e come libertà di pratica religiosa. Il credente, dunque, non solo ha diritto a credere alla propria fede, ad esempio all’interno delle proprie quattro mura di casa. Ma, oltre a questo, ha anche il diritto di praticare la propria fede, ad esempio costruendo un luogo di culto oppure pregando pubblicamente.
Ecco perché l’Italia – come anche la Germania – è uno Stato pluralistico. Invece lo statuto albertino riconosceva la religione cattolica come sola religione dello Stato, mentre gli altri culti erano solo tollerati.
Oggi è in particolare la libertà di culto ad essere sempre più al centro dell’attenzione, in società multietniche e, più di un tempo, multireligiose. Essa rappresenta un terreno di prova tutt’altro che agevole per il pluralismo religioso: si pensi ad aspetti come – appunto – la costruzione di luoghi di culto, al riconoscimento di giorni di astensione dal lavoro diversi dalla domenica, al diritto di indossare in luoghi pubblici segni religiosi distintivi come il velo islamico e così via. Se, dunque, una comunità islamica intende costruire una moschea, non si può negare ai credenti questo loro diritto. Il fatto che magari in uno Stato islamico la costruzione di una chiesa o – in generale – la professione della religione cattolica non viene tutelata, non c’entra nulla: noi abbiamo la nostra Costituzione, e questa va applicata. Gli altri Stati hanno la loro Costituzione. Sarebbe assurdo cambiare il proprio ordine giuridico soltanto perché in un altro Stato i diritti dell’uomo non vengono rispettati a nostro piacimento. Vale a dire: soltanto perché in uno Stato X vige la pena di morte per chi è omosessuale oppure commette adulterio, non pensiamo minimamente – e giustamente – di inserire nel nostro ordine giuridico una simile sanzione. Siamo noi gli artefici del nostro ordine costitutivo e, appunto, non gli altri Stati.