L’art. 21 della Costituzione italiana – come l’art. 5 del Grundgesetz – riconosce a tutti il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Lo sviluppo storico di questa libertà fondamentale di ogni sistema democratico ha coinciso con l’affermarsi dello stato liberale. Già nella Dichiarazione dei diritti del 1789 viene definita la libertà di pensiero come uno dei più preziosi diritti degli uomini.
Se ogni uomo è diverso dall’altro, vuol dire che ognuno di noi percepisce la realtà in maniera diversa. Per me il bicchiere può essere mezzo pieno e per un mio amico, invece, lo stesso e identico bicchiere può essere mezzo vuoto. Potremmo stare ore e ore a discutere: il punto di vista non cambia e nessuno può definire la verità assoluta, proprio perché questa non esiste. Quel che esiste, tutto al più, può essere un’idea di verità assoluta. Ma nessuno ha il diritto di imporre agli altri la sua idea di verità.
Già Socrate, il padre del razionalismo, sosteneva – come ci riferisce il suo alunno Platone – che nessuno può dire con certezza di sapere. Lui, il grande saggio Socrate, diceva, infatti, di “sapere soltanto di non sapere”. Come ammette il filosofo tedesco Jürgen Habermas, alla verità ci si può avvicinare solo attraverso il confronto dialettico di verità relative. Il confronto, tuttavia, esige un sistema che accetta le regole del dibattito: non esiste, infatti, un confronto senza l’accettanza dell’altro. “Mettersi nei panni degli altri” vuol dire accettare non solo le regole della relatività dei punti di vista, ma soprattutto accettare l’altro.
Ecco perché in una democrazia il dibattito è una colonna portante della cultura politica: il dibattito permette il confronto delle idee. E solo il dibattito porta al miglioramento dello status quo e, a lunga portata, alla correzione di errori immanenti del sistema stesso.
Molti si lamentano dei politici sostenendo che “dovrebbero discutere di meno e agire di più”. Il problema in politica nasce, però, proprio quando i politici non discutono più, quando il dibattito diventa una farsa e i politici che si confrontano non si accettano a vicenda come concorrenti in un sistema democratico, ma si considerano rispettivamente superiori all’avversario. Il politico che agisce e non discute non è un politico democratico, ma semmai uno sceriffo che in un sistema che mette al proprio centro la libertà di pensiero non dovrebbe ricoprire nessun ruolo. Infatti, se i politici smettono di discutere, si spostano dal Parlamento, luogo fondamentale di dibattimento, all’Anticamera della guerra civile. Non esiste democrazia senza discussione. La fine del dibattito è allo stesso tempo la fine della democrazia.
Una notevole differenza tra il sistema politico tedesco e quello italiano sta proprio nella diversa concezione del dibattito: in Italia i politici sembrano “sbranarsi” a vicenda, concorrenti in un ring di arti marziali, l’uno deve “distruggere” l’altro. I talk show ne sono soltanto un esempio: gente che urla e interrompe continuamente l’interlocutore (si fa per dire!). Nessuno ascolta quel che dice l’altro. La cultura politica tedesca, invece, sembra essere diametralmente opposta: si discute ma sempre nel rispetto dell’opinione altrui. E se un politico si permette di interrompere chi parla, viene prontamente redarguito dal moderatore.
Forse bisognerebbe partire proprio da qui: è obbligo di tutti, soprattutto di genitori e insegnanti, di far sempre presente ai nostri figli/alunni, che discutere è fondamentale, ma ancor più importante è saper “mettersi nei panni degli altri”.