Continuiamo la nostra serie in collaborazione con il Consolato Generale d’Italia a Francoforte sul Meno, con l’intervista al Dr. Sandro Corrieri, ricercatore alla Universität Koblenz – Landau
Ci racconti da quando vive la sua famiglia qui in Germania?
Mio padre si trasferì nel 1969 da Molfetta per lavorare come Gastarbeiter in una fabbrica nel Westerwald, ma decise dopo alcuni mesi di rientrare in Italia. Tornò nel 1972 nuovamente in Germania dopo aver terminato il servizio militare. Qui conobbe mia madre, una cittadina tedesca, e si trasferì nel 1975 insieme a lei a Coblenza, dove nacque prima mia sorella nel 1976 e infine io nel 1980.
Nelle prime interviste di questa rubrica, abbiamo letto come molti di noi hanno affrontato le difficoltà linguistiche e a volte anche culturali a partire dall’asilo. Lei ha vissuto e vive tutt’ora nella sua vita privata tra due culture. Come è riuscito a conservare un legame con l’Italia e che difficoltà, se ci sono state, ha dovuto affrontare nel vivere tra le due culture?
I miei genitori si sono sempre impegnati a non far emergere delle differenze culturali. Le vacanze si passavano sempre dai parenti a Molfetta, dove mi sono sempre trovato molto bene. Quindi anche se non sono cresciuto bilingue non ho mai avuto delle difficoltà: ai bambini non interessano le differenze e trovano sempre delle comunanze, nel mio personale caso era il calcio. Tutt’ora non parlo purtroppo l’italiano, tranne qualche frase che mi è utile in vacanza e qualche espressione in dialetto pugliese, che a volte provocano qualche risata oppure sguardo incuriosito. Ho deciso però di cambiare questa situazione e di prendere lezioni di italiano. In Germania sono cresciuto circondato da varie nazionalità e molti dei miei amici hanno origini di altri paesi. Le mie difficoltà, se si vogliono definirle tali, si limitano quindi nello spelling del mio cognome e di rispondere alla domanda che magari a molti è conosciuta “da dove provieni?”, “da Coblenza”, “no, intendo da dove provieni veramente? Da Coblenza!”. Comunque ho sempre avuto l’impressione che molti tedeschi hanno delle simpatie particolari nei confronti dell’Italia. Il modo di vivere, il cibo, le vacanze passate in Italia: per molti tedeschi l’Italia resta una meta ambita.
Crescere tra due culture o mentalità diverse ci arricchisce sicuramente e ci rende in un certo senso particolare. Ci può raccontare come ha vissuto questa particolarità durante il suo periodo scolastico?
Essendo nato e cresciuto in Germania e non avendo avuto delle difficoltà linguistiche non ho percepito delle differenze da parte dei miei insegnanti. Con l’avanzare degli anni ho avuto però sempre di più la consapevolezza che le particolarità che mi rendevano forse diverso da gli altri erano più dei pregi che difetti. In effetti se ci si guarda intorno, incontriamo tante persone, famose e meno famose, che dimostrano che le particolarità e le diversità sono utili.
La consapevolezza dei pregi si è fortificata a causa di un momento particolare o grazie ad una persona che ha promosso questi pregi?
Non ci è stato un momento o una persona particolare, ma era più il modo di come affrontare le situazioni della quotidianità, una specie di mentalità, che mi ha spinto ad avvalermi da ambo le parti della mia socializzazione. Usando dei cliché: ho unito l’ambizione tedesca con la leggerezza italiana.
Ci racconti della sua formazione accademica e perché ha deciso di intraprendere una carriera universitaria?
Dopo la maturità (Abitur) nel 1999 a Coblenza, mi trasferii per effettuare il mio servizio civile a Colonia. Una città particolarmente influenzata dalle varie culture. Sapevo già che mi interessavo alla convivenza delle persone nella società e dei meccanismi che la influenzano. La conseguenza logica era quindi di studiare sociologia, prima ad Heidelberg poi a Bonn. Scelsi come materie secondarie etnologia, criminologia e diritto penale. Il mio interesse, forse condizionato dalle mie origini, è verso le disuguaglianze sociali, la migrazione e dopo avere svolto dei progetti di ricerca anche la salute psichica di bambini e adolescenti. Come migrante ci si ritrova solo nei casi più rari all’apice della gerarchia sociale. Inoltre, si aggiunge la sfida di dover far conciliare culture differenti. Studiare questi temi complessi mi ha da sempre affascinato. Ho avuto la fortuna di poter lavorare in questo settore, svolgendo delle ricerche scientifiche che mi hanno permesso di ottenere infine un dottorato di ricerca nel 2015 all’istituto di medicina sociale dell’Università di Lipsia. Dal 2018 e dopo quasi 20 anni sono rientrato insieme a mia moglie a Coblenza, per continuare le mie ricerche e insegnare sociologia all’Università di Coblenza.
Che impatto ha la sua provenienza con la quotidianità lavorativa?
Vivo delle esperienze esclusivamente positive. Mi ritrovo ogni giorno con studenti con provenienze e storie di vita molte diverse. Credo che la mia provenienza è di aiuto a instaurare un rapporto con loro. I temi della mia ricerca scientifica coinvolgono molti studenti e per loro posso essere un punto di riferimento grazie alle comunanze personali. Un altro campo della mia ricerca è la radicalizzazione, ovvero il dissociarsi da una società che non offre un posto soddisfacente nella stessa. Ho lavorato per dieci anni nelle carceri tedesche, seguendo vari progetti e incontrando molti detenuti stranieri. Sicuramente anche qui la mia provenienza è stata di aiuto nell’affrontare alcuni temi coi carcerati dandone più autenticità. Ho potuto incoraggiare attraverso l’idea che accettando le sfide con convinzione e coraggio si può arrivare ad ogni traguardo
Osserviamo una nuova onda di migrazione di giovani italiani. Che consiglio può dare a questi giovani ragazzi che si vedranno confrontati una società multiculturale come quella tedesca?
Credo che sia indispensabile impegnarsi nel far conciliare le due culture. La Germania con le sue normative e valori può sicuramente risultare una società diversa per gli italiani. In alcuni casi di più, in altri un po’ meno. Come individui impariamo per tutto il percorso della nostra vita e le esperienze vissute ci condizionano. Se si riesce ad essere disposto ad adeguarsi e accettare dei compromessi, di essere aperti e curiosi al nuovo, senza negare le proprie origini, allora la migrazione non è sicuramente uno svantaggio. Anzi in questo caso si ha la possibilità di evolvere la propria identità. Il mio personale consiglio è quindi: essere aperti e imparare, a percepire le sfide culturali come possibilità e di sfruttare il potenziale delle esperienze fatte.