Non solo il ponte di Genova ma pure quello che unisce l’amore e la vita all’interno della vita coniugale
Il ponte di Genova è crollato, portando con sé tanto dolore e 43 vite umane. La vita civile della città è stata spezzata, paralizzata. Nulla è più come prima.
L’immagine mi viene spontanea per riflettere sul crollo di un altro ponte importante: il ponte che unisce nell’ordine umano l’amore e la vita all’interno della vita coniugale e della famiglia. Questo ponte è stato fatto saltare in vari modi: anzitutto si è voluto separare l’unione sessuale per renderla indipendente dalla procreazione, attraverso la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto; poi ci si è impegnati a separare la procreazione dall’unione coniugale e si sono percorse le vie della proliferazione artificiale; infine è stata prospettata la clonazione.
Per la prima separazione, quella dell’amore dalla vita, c’era a favore la spinta edonistica, c’erano gli interessi della case farmaceutiche produttrici di pillole e gli interessi politici dei paesi forti per rendere infecondi quelli in via di sviluppo attraverso la pianificazione familiare. A favore della seconda divisione c’è la spinta a voler un figlio ad ogni costo e di volerlo su ordinazione e in più gioca il business dei centri di procreazione artificiale, pubblici e privati, che hanno trovato una miniera preziosa per ridurre le risorse destinate alla cura e riabilitazione delle malattie vere.
E adesso?
Per poter rinsavire bisogna guardare alle conseguenze, che sono macroscopiche su entrambe le sponde che abbiamo esaminato. Sulla prima, cioè quella dell’edonismo sessuale, una volta che l’unione è stata proclamata un diritto ed è distolta dalle responsabilità familiari e procreative, cioè dall’accoglienza della vita, la famiglia è indebolita e sono cresciuti divorzi e le separazioni. Perché se si cura soltanto la soddisfazione del sesso, la famiglia può diventare un peso e la passionalità può essere soddisfatta anche fuori dalla famiglia.
Sull’altra sponda, se la procreazione si può ottenere separatamente dall’atto di comunione coniugale, allora si va verso forme sempre più estreme ed “esterne” di fecondazione, con congelamenti e sperimentazioni di embrioni, con soppressione di quelli ritenuti difettosi o in soprannumero. L’ultima sponda in questa direzione è la clonazione, che rappresenta una forma di procreazione artificiale, asessuale. Qui, con la clonazione, pure paternità e maternità scompaiono. Questo “crollo del ponte” è una violazione della struttura naturale dei sessi iscritti nell’uomo e nella donna, è una offesa alla dignità della persona umana.
Ora si sa bene che a intaccare la natura si finisce prima o poi per pagarne le conseguenze perché, come affermava un famoso genetista francese, “Dio perdona sempre, gli uomini raramente, la natura non perdona mai”. Si deve cioè ricordare che “Di creò l’uomo, maschio e femmina li creò” e in questa dualità ha iscritto la capacità di essere “due in una carne sola” (l’unione) e di “crescere e moltiplicarsi” (la procreazione). Allora bisogna ricostruire il ponte se si vuole recuperare l’umanità compiuta, la famiglia e la vita umana come “Natura vuole e come Dio creò”. Il poeta Ugo Foscolo ci ricordava, pur nella su miscredenza, che la civiltà umana iniziava “dal dì che nozze, tribunali ed are diedero alle umane belve d’esser pietose di se stesse e d’altrui”. Ora la triade è stata messa in crisi: sia le nozze, sia i tribunali e sia gli altari. Ma allora non ci dobbiamo meravigliare se “le umane belve” cessano di essere pietose.
Il ponte tra amore e vita ne chiama un altro, quello tra persona e natura, e poi un terzo tra scienza ed etica, ed infine uno supremo tra l’uomo e Dio.
Bisogna rimettere mano alla ricostruzione dei ponti, soprattutto di quello tra l’amore e la vita.