Partita con successo la sonda spaziale europea alla volta di Mercurio
Darmstadt, Centro aerospaziale Esa.Esoc, 20 ottobre 2018, ore 3 del mattino. I giornalisti, gli operatori della TV e gli invitati stanno in coda davanti all’ingresso, e fra loro c’è pure l’inviato del Corriere d’Italia. All’interno sembra di vivere in un film di fantascienza: nella sala di controllo tutti siedono ai monitor mentre il conto alla rovescia prosegue inesorabile in un andirivieni di scienziati che si avvicendano sul podio a spiegare i problemi tecnici e scientifici connessi con la missione BepiColombo che dopo tanti rinvii è finalmente pronta a partire: „Investigating Mercury’s Mysteries“. Alle ore 3:45 in punto (ora centroeuropea) il missile Ariane 5 si solleverà dalla rampa di lancio situata a Kourou nella Guinea Francese, davanti alla mitica Isola del Diavolo.
Anche i giapponesi hanno la loro parte: infatti BepiColombo è una sonda doppia, metà europea (ESA) e metà giapponese (JAXA). Voleranno congiunte assieme fino all’arrivo a destinazione: qui si separeranno ed ognuna entrerà in un’orbita propria. Mercurio è il più inaccessibile e misterioso pianeta del sistema solare. Non perché sia troppo lontano da noi, ma perché è troppo vicino al Sole. Si trova immerso nel suo enorme splendore e nel suo possente campo gravitazionale. Il più interno dei pianeti è soggetto ad una gigantesca accellerazione di gravità che può riequilibrare solo muovendosi ad una velocità gigantesca attorno al Sole: così Mercurio fila sulla sua orbita a circa 170.000 km/h. Già nell’antichità si credeva impossibile beccare al volo il velocissimo messaggero degli déi con le ali ai piedi, nella modernità invece si è riusciti a superare la difficoltà grazie ai calcoli del padovano Giuseppe (detto Bepi) Colombo, per mezzo dei quali la NASA è riuscita a raggiungerlo con la sonda Mariner 10.
L’orbita di Mercurio presenta stranezze tali che solo Einstein le ha potute spiegare, ed uno dei compiti della nuova sonda è proprio quello di controllare con la massima precisione se i suoi calcoli relativistici sono esatti. È oramai un secolo che gli scienziati sono avidamente a caccia di qualche risultato sperimentale che contraddica Einstein, e sono sempre rimasti amaramente delusi. L’ultima delusione in ordine di tempo, più pollesca che amara, è stata quella della Gelmini con il suo ineffabile tunnel. Ma per fortuna l’ESA non è soggetta agli influssi della politica italiana. Dalle riprese della sonda americana Messenger, sulla superficie di Mercurio butterata di crateri si individuano delle strane cicatrici che sembrano prodotte dalla contrazione del pianeta nel corso degli eoni, come in un palloncino che si sgonfia lentamente. Ed è un pianeta piccolo ma ad altissima densità, probabilmente con un grosso nucleo di ferro da cui si genera il suo eccentrico campo magnetico. Ci sono anche segni evidenti di attività vulcanica. Su Mercurio a mezzogiorno regna una temperatura sui 400°-500°C, come dentro un forno a legna, mentre a mezzanotte scende sotto i 180° sotto zero, quasi come l’azoto liquido. Ciclicamente si viene arrostiti e surgelati, quindi. Se nessuna forma di vita conosciuta e concepibile potrebbe adattarsi a un ambiente simile, neanche le comuni apparecchiature elettroniche potrebbero resistervi a lungo.
Soltanto le raffinate apparecchiature della sonda sono schermate abbastanza per portare a compimento la missione, e per raggiungere questo risultato sono stati necessari quasi venti anni di studi e di progresso tecnico. Il conto alla rovescia (in francese anziché in inglese) tocca lo zero, ed una luce abbagliante scaturisce dalla rampa di lancio. Circondato da una gloria di nubi di condensazione, il potente razzo si distacca dal nostro pianeta e se ne allontana diventando una lunghissima scia bianca nella notte nera. Poi, nell’atmosfera tropicale insolitamente chiara, assistiamo al distacco del primo stadio. Tutto sembra svolgersi regolarmente, ma la tensione nella sala di controllo non diminuisce finché, alle 4:21 non viene captato il primo segnale lanciato dalla sonda entrata in orbita. Giubilo nella sala di controllo attorno al Flight Director, l’italiano Andrea Arcomazzo. I tecnici si rilassano nelle loro comodissime poltroncine norvegesi. Allora si fanno avanti i giornalisti con le loro apparecchiature. Le reti televisive tedesche ARD e hr intervistano il responsabile delle operazioni spaziali dell’ESA, l’italiano Paolo Ferri. Anche l’inviato del Corriere d’Italia si mette in fila per fargli le sue domande.
Dunque è andato tutto bene con il lancio.
In questo momento è andato tutto a meraviglia, potrei dire, il razzo Ariane 5 ha fatto il suo dovere come sempre, non abbiamo ancora misurato con accuratezza la sua orbita, però abbiamo indicazioni che l’orbita iniziale sia buona, il che naturalmente è molto importante. Inoltre abbiamo già ricevuto il segnale dalla sonda che ha confermato che i pannelli solari sono aperti. Questo è vitale, perché finché non si aprono i pannelli solari la sonda sopravvive con le batterie, e ovviamente quelle non durano per molto; quindi ora abbiamo la conferma: i pannelli solari sono aperti, le batterie sono state ricaricate, quindi tutto quello che era critico in termini di tempo, è già avvenuto. Ovviamente c’è ancora molto da fare davanti a noi.
Il pianeta Mercurio, visto nelle immagini finora note, sembra niente di più che un fratello maggiore della Luna. Invece ha qualcosa di molto speciale. Ce lo può descrivere?
Prima di tutto si può dire che è molto meno conosciuto rispetto alla Luna ed a tutti gli altri pianeti perché è difficile osservarlo dalla Terra ed è difficile arrivarci. Solo due sonde lo hanno raggiunto nella storia dell’astronautica, quindi se ne sa molto poco. Quello che sappiamo però è molto molto interessante perché, benché abbia una superficie simile a quella della Luna, ci sono delle formazioni molto particolari che ancora non sono spiegate; deve aver avuto una storia vulcanologica complessa di cui si sa pochissimo. Molte cose speciali succedono perché Mercurio è vicino al Sole: per esempio la sua orbita subisce degli spostamenti dettati dalle leggi della relatività generale di Einstein. Il suo interno genera un campo magnetico, fatto molto strano perché Venere e Marte non ce l’hanno, la Terra invece sì, ed allora cos’hanno in comune questi due pianeti non adiacenti?
Avete impiegato molto tempo a preparare questa missione tecnicamente complicata. Può illustrarcene i motivi?
Sì, la preparazione è durata quasi due decenni perché all’inizio dello sviluppo della missione la tecnologia non era ancora matura per una sonda che sopravvivesse all’ambiente estremamente aggressivo di Mercurio. Si tratta di volare molto vicino al Sole, ad un terzo della distanza che ne ha la Terra e per resistere alle radiazioni ed al calore del Sole, si parla di circa 500°C, quindi si sono dovute sviluppare delle apposite tecnologie per far sì che la sonda non ne restasse danneggiata. Si tratta non solo della luce diretta del Sole ma anche di quella riflessa dalla superficie di Mercurio che ha una radiazione infrarossa fortissima, molto superiore a quella che noi riceviamo sulla Terra dal Sole.
Quindi questa sonda è come se restasse schiacciata fra le rocce incandescenti di Mercurio ed il fuoco solare; si potrebbe parlare d’una sonda cotta „alla diavola“…
Sì, esatto, esatto. (ride)
…E perché si chiama „BepiColombo“?
Perché Colombo è uno scienziato italiano, un matematico scomparso nell’84, quindi quelli della mia generazione lo hanno conosciuto come professore universitario e sono stati suoi studenti, ed è stato uno di quelli che ha studiato dal punto di vista della dinamica l’orbita di Mercurio, ha spiegato il motivo per cui Mercurio ha una rotazione su sé stesso sincronizzata con la rotazione intorno al sole, praticamente ruota 2 volte intorno a sé stesso ogni 3 rivoluzioni intorno al sole. Inoltre è stato lui a inventare la traiettoria che ha permesso al Mariner10, la sonda della NASA lanciata a metà degli anni ‘70, di raggiungere per la prima volta Mercurio. Quindi Giuseppe Colombo è un nome molto legato a questo pianeta. In più, il contenuto della parte scientifica italiana a questa sonda è molto importante, le nostre università e industrie costruiscono 4 degli 11 strumenti, e quindi direi che è un onore dovuto.
Dunque ci sono anche contributi italiani in questa speciale tecnologia della sonda?
Assolutamente sì, l’Italia ha avuto un ruolo in particolare attraverso l’azienda Thales Alenia Spazio prima di tutto nel design e nella costruzione di sottosistemi importanti come quello delle comunicazioni, di quello termico, che è forse il più critico per una sonda come BepiColombo, ed in quello della produzione di energia, quindi i pannelli solari, il controllo dell’energia elettrica, ed in più era responsabile dell’integrazione, vale a dire quando tutti i singoli pezzi vengono montati assieme e la sonda viene testata, e questi ruoli gestiti dall’azienda italiana sono fondamentali.
Adesso la sonda è in un viaggio che durerà sette anni. Quando verremo a sapere sue nuove?
Di nuove ne avremo continuamente, perché questi sette anni non sono così tranquilli come si potrebbe pensare. Prima di tutto nelle prossime settimane dovremo attivare tutti gli strumenti uno ad uno, verificare che tutto è a posto, calibrarli, e poi già da metà dicembre cominceremo ad usare il nostro motore ionico, un nuovo tipo di propulsione che ci serve per arrivare a Mercurio, e quindi nelle prossime settimane avremo molte pietre miliari nella missione. Poi nei prossimi sette anni incontreremo nove volte i pianeti, usiamo la loro gravità per rallentare la caduta verso il sole, ed ogni volta avremo immagini e misurazioni scientifiche. E quindi sentiremo molto parlare di BepiColombo.