Verga, se fosse ancora vivo, potrebbe scriverci sopra un romanzo ancora più triste dei “Malavoglia”. I pescatori colpiti dal duro destino stavolta non sono di Aci Trezza, ma di Mazara del Vallo, e le circostanze avverse non sono di natura metereologica, ma politica.
Il 2 settembre scorso gli equipaggi delle due navi da pesca “Medinea” e “Antartide” (in tutto 18 uomini, di cui 6 italiani, 8 tunisini e 4 di altre nazionalità) sono state catturati e condotti in prigionia dalla guardia costiera libica mentre pescavano i gamberi rossi nel golfo di Bengasi. Le loro navi sono state requisite. Si dà il caso che da quando il dittatore fallito Gheddafi ha allargato per decisione unilaterale le acque territoriali libiche da 12 a 74 miglia marine, per le autorità libiche quel tratto di mare sottostà alla sovranità libica, benché ciò non sia riconosciuto dalla UE. Dal punto di vista dell’Italia quelle sono acque internazionali, mentre dal punto di vista della Libia, le due navi da pesca si sono rese colpevoli di invasione territoriale e di sfruttamento illegittimo delle proprie risorse. Il contrasto è simile a quello fra la Turchia e la Grecia: anche qui abbiamo un regime politico autoritario che avanza la pretesa unilaterale di allargare le proprie acque territoriali a discapito dei paesi circostanti. Ma la situazione politica in Libia è ben più complessa, perché il paese è da anni in preda alla guerra civile, diviso fra due fazioni in lotta armata: da un lato il governo costituzionale con sede nella capitale Tripoli di Fayez Sarraj, sostenuto dall’EU, e dall’altro le forze armate del generale Khalifa Haftar, sostenuto fra gli altri dalla Turchia. Ebbene, i poveri pescatori sono andati a finire proprio nelle mani di quest’ultimo, in una brutta prigionia a Bengasi. Così l’ottimismo espresso dal ministro degli esteri italiano Di Maio, con il suo sorriso fotogenico, che non si sarebbe lasciato ricattare dalle autorità libiche, e che in breve tempo i pescatori sarebbero rientrati presso le loro famiglie,dopo 6 settimane di attesa vana è andato a farsi benedire. Le loro condizioni di reclusione dentro una prigione della Cirenaica non sono certo gradevoli, e qualche pescatore ha bisogno di continui rifornimenti di medicine, essendo malato di diabete. Così sulla riva nord del Mediterraneo si sono svolte manifestazioni pubbliche per la loro liberazione, ed i loro parenti hanno manifestato pure non stop a Roma davanti a Montecitorio.
Adesso il generale Haftar ha preso in mano la faccenda e pretende uno scambio di prigionieri: 6 pescatori italiani contro i 4 calciatori libici arrestati nel 2015 dalle autorità italiane sotto l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di omicidio volontario e attualmente detenuti nel carcere di Siracusa. I quattro ragazzi di nome Tareq el Amami, Alaa Faraj al-Maghribi,Mohamed Essid e Abdel-Rahman Abdel-Monsef, inseguendo sogni di gloria calcistica, stavano cercando di entrare di straforo in Italia a bordo di uno di quei barconi fantasma con più di 300 passeggeri a bordo che ha fatto naufragio nel mezzo del Mediterraneo, trascinandosi a fondo 49 persone che erano rinchiuse nel vano macchine. Tra i superstiti ripescati dalle autorità italiane, alcuni hanno accusato quei giovani di essere loro i colpevoli della disgrazia, e con la loro testimonianza ne hanno provocato la condanna in prima ed in seconda istanza. In Libia si sono svolte manifestazioni di protesta sulle strade proclamando l’innocenza dei quattro. Secondo loro, i testimoni a carico non erano attendibili, in quanto trattavasi tutti di africani neri immigrati clandestinamente in Libia attraverso il Sahara, i quali sono pieni di risentimento contro i libici che li trattano come ospiti indesiderati peggio dei leghisti italiani.
Le autorità libiche, dal canto loro, hanno rincarato la dose contro i pescatori italiani accusandoli pure di contrabbando internazionale di stupefacenti. Infatti a bordo delle navi sequestrate sarebbe stato rinvenuto un grosso quantitativo di droga. Come esso sia giunto là, è impossibile valutare, però non suona del tutto inverosimile leggendo un’inchiesta del New York Times firmata da Patrick Kinsley e Sara Creta, entrambi inviati a Brindisi, e con il contributo da Roma di Jason Horowitz, in cui si rivela il coinvolgimento della Marina Militare Italiana nel contrabbando di Cialis, sigarette ed armi nel Mediterraneo da e verso la Libia. Il Cialis, però non è una droga vera e propria, ma contiene una sostanza chimica chiamata Tadalafil che agisce contro gli inibitori dell’erezione. Comunque sia agli italiani attende una condanna a 25 anni da parte della giustizia libica. È chiaro che il generale Haftar otterrebbe un grande aumento di popolarità sulla riva sud del Mediterraneo, qualora riuscisse a riscattare i quattro calciatori, e questo non piace certo al partito avverso di Fayez e di chi lo sostiene. Certo, le acque della politica sono molto più infide di quelle costiere.