Non è sicuramente un caso che la cancelliera Angela Merkel abbia presentato il pacchetto sul clima durante il Salone tedesco dell’auto mentre milioni di giovani di tutto il mondo dimostravano a favore della protezione dell’ambiente. L’auto è però soltanto una delle responsabili del problema del surriscaldamento del nostro pianeta e sicuramente non l’unica come alcuni ambientalisti tentano di far credere
Ogni due anni a settembre Francoforte diventa la capitale dell’auto ma quest’anno (12-22 settembre) il Salone IAA e’ stato un avvenimento particolarmente atteso e importante in considerazione della grande svolta elettrica che d’ora in poi caratterizzerà la produzione di tutte le grandi case automobilistiche. In particolare quella delle marche tedesche, impegnate a far dimenticare il grave errore commesso con il diesel, propagandato furtivamente e irresponsabilmente per almeno una decina d’anni come il motore più pulito al mondo. Le negative ripercussioni sul Salone di quest’anno sono state palesi per tutti gli osservatori e non soltanto per gli appassionati dell’auto. Molte case automobilistiche hanno deciso di non partecipare al salone dell’auto di Francoforte considerato come uno dei più importanti al mondo, e tra queste anche il gruppo italo-americano Fca, la Fiat Chrysler Automobiles. Molte sono state le proteste soprattutto tra i giovani, a fatica contenute e che hanno fatto da cornice all’inaugurazione del Salone. A partire dall’auto elettrica ID3 della Volkswagen che sarà disponibile sul mercato già nei primi mesi del prossimo anno, le tre grandi case automobilistiche tedesche -Vw, Bmw e Daimler- sono state visibilmente impegnate a presentare e a raccontare il loro futuro elettrico, sottolineando la necessità di produrre veicoli sostenibili sia sotto l’aspetto ambientale, sia sotto quello economico e occupazionale.
Un’ardua impresa
Non sarà facile, comunque, e per rendersene conto è sufficiente rileggere ciò che la stampa tedesca subito dopo il dieselgate ha scritto sul futuro di uno dei più importanti settori dell’economia tedesca. Un settore al quale non è mai mancata spavalderia e arroganza e che evidentemente non riesce a rinunciare, a giudicare dalle ripetute e pressanti richieste di sostegno pubblico indirizzate affinché lo Stato finanzi il programma per la costruzione delle stazioni di carica necessarie per le auto elettriche. Secondo il governo di Berlino entro il 2030 in Germania ci dovrebbero essere in circolazione 7-10 milioni di auto elettriche e ciò dovrebbe essere possibile anche grazie all’aumento di un premio che attualmente per le E-Auto, con un costo di listino al di sotto di 40mila euro è di 4mila euro (2mila dallo Stato e 2mila dal produttore). Il fatto è che tutti gli esperti del mercato automobilistico tedesco sono oggi concordi nell’affermare che almeno fino al 2015 l’industria tedesca dell’auto non sarà in grado di produrre milioni di auto elettriche e che il volume di produzione potrà essere aumentato soltanto grazie a un raddoppio del premio statale di acquisto.
Una svolta globale
Lo “sciopero” di milioni di giovani in tutto il mondo al quale abbiamo assistito in settembre ha dimostrato che la società è ormai giunta a un decisivo punto di svolta e che questo cambiamento – come sostiene la sedicenne svedese Greta Thunberg – possa far presa anche sul mondo della politica. Sinora era quasi sembrato che il nostro pianeta stesse andando incontro inevitabilmente verso la sua catastrofe tra il silenzio e l’indifferenza generale ma ora grazie alla piccola svedese sembra che le cose siano decisamente cambiando. Le lobby del petrolio e del carbone faranno ovviamente tutto il possibile per evitare o come minimo rallentare questa svolta, ma c’è la fondata speranza che almeno il “meno peggio” possa essere evitato. Il pacchetto delle misure a favore del clima deciso dal governo Merkel, al di là delle comprensibili delusioni degli ambientalisti, presenta cambiamenti piuttosto rilevanti rispetto all’attuale situazione. La filosofia del pacchetto sul clima, un piano da 54 miliardi di euro entro il 2023 e da una somma di miliardi a tre cifre entro il 2030, è quello di punire chi inquina, come sottolinea uno dei suoi fondamentali passaggi. Fissare un prezzo dell’inquinamento è un decisivo cambio di paradigma, ha affermato la Cancelliera Angela Merkel dicendosi decisa a ridurre del 55% le emissioni di Co2 entro il 2030 “perché il nostro stile di vita non é ormai più sostenibile”. In sostanza, a partire dal 2021 chiunque in Germania userà energia prodotta da fonti fossili – benzina, diesel, metano, petrolio – dovrà pagare un maggior prezzo rispetto alle attuali tariffe. Ai critici che non hanno lesinato disapprovazioni al suo piano, la Merkel ha ricordato che “la politica è l’arte del possibile” e che il suo governo aveva assolutamente bisogno di trovare un compromesso in grado di convincere i cittadini tedeschi. I prossimi anni diranno se la Cancelliera ci sarà almeno in parte riuscita.
Il processo Vw
A quattro anni dalla denuncia americana del “software” che nei motori delle auto Volkswagen falsava i valori dell’inquinamento, sta divenendo chiaro che il processo a carico dell’ex amministratore delegato del gruppo Volkswagen, Martin Winterkorn, che avrebbe dovuto iniziare il 30 settembre alla Procura di Braunschweig (la latina Braunsviga), subirà un inevitabile rinvio. Sembra, infatti, accertato che il Procuratore del tribunale abbia già deciso che il lavoro di ricerca svolto sinora sia del tutto insufficiente ai fini di una accusa nei confronti di Winterkorn. Non sarebbe, infatti, ancora del tutto chiaro in quali auto e in quale misura il gruppo abbia effettivamente montato l’illegale “software”. Come conseguenza si avrebbe un rinvio del processo e ciò avrebbe anche ripercussioni su un altro aspetto. Se cioè i manager Vw avessero a suo tempo tempestivamente informato gli azionisti del gruppo Volkswagen sulla truffa attuata con il “software”, senza il quale nessuna auto avrebbe mai potuto superare il test di omologazione, e sottolineato le sue conseguenze di carattere finanziario. Si ricorderà che nel settembre del 2015, vale a dire esattamente quattro anni fa, la Volkswagen era stata costretta ad ammettere nei confronti delle autorità giudiziarie americane di aver equipaggiato undici milioni di autovetture diesel del gruppo di Wolfsburg con l’illegale “software”. Questa ammissione fatta nei confronti della legge americana e nei confronti di circa 500mila automobilisti americani avrebbe un valore relativo per i giudici tedeschi di Braunschweig, i quali, stando almeno alle affermazioni degli avvocati difensori del gruppo Vw, in sede processuale dovrebbero essere in grado di dire in quali modelli e in quante auto il famigerato “software” sia stato effettivamente montato.
Miliardi di risarcimenti
Negli Usa la vicenda è già costata al gruppo Volkswagen sinora circa 25 miliardi di euro di risarcimenti ma le controversie non sono ancora del tutto finite. Difficile dire a quanti miliardi di euro nei prossimi anni si potrà arrivare una volta che si saranno definitivamente chiusi i molti processi in corso in Europa e nel mondo. E’ degli ultimi giorni la notizia che Volkswagen, finita nel mirino in seguito allo scandalo del software che le permetteva di superare i test sulle emissioni, ha accettato di pagare 127 milioni di dollari, pari a 79 milioni di euro (1.400 dollari per ogni auto coinvolta), per chiudere la questione in Australia, dove aveva venduto circa 100mila auto equipaggiate con il motore EA189 dotato del famigerato software. La decisione della Corte federale di Sydney è stata presa nonostante che la Volkswagen non abbia mai ammesso le sue colpe ma soltanto per cercare di por fine a un problema che continua a danneggiare l’immagine del grande gruppo automobilistico tedesco. Sarebbe augurabile che qualcosa del genere accadesse anche in Germania, in Italia e in tutti gli altri Paesi coinvolti dallo scandalo del dieselgate, un’incredibile vergogna per il “made in Germany”. Non sarà comunque facile.