“Abbiamo superato l’ambizioso traguardo di raccogliere 1.000 voci, ne abbiamo 1.200 e adesso comincia la fase della rielaborazione dei dati, faremo delle interviste in profondità, per quei partecipanti che hanno la disponibilità”, dice Eleonora Voltolina, giornalista e imprenditrice sociale italiana, che vive in Svizzera, ideatrice della ricerca dedicata alle famiglie italiane all’estero per il Rapporto Italiani nel Mondo della fondazione Migrantes. Si è appena conclusa la fase di raccolta dati attraverso un questionario online che abbiamo pubblicato anche sul sito del Corriere d’Italia. I risultati della ricerca verranno pubblicati in un saggio nel RIM del 2025.
Una ricerca urgente, necessaria. Adesso stai elaborando i dati raccolti. Quali aspetti stanno emergendo?
La parola che ricorre più spesso è riflessione. Si trovano osservazioni di questo tipo: “Il questionario mi ha aiutato a riflettere sulla mia condizione, mi ha fatto riflettere sulle mie scelte, su quello che mi piace e quello che non mi piace di questa mia vita di genitore expat”.
Un altro feedback molto significativo è stato: sentivo di non essere ascoltato, sentivo di essere invisibile, invece attraverso questa ricerca ho sentito che la mia voce veniva ascoltata, che il mio punto di vista veniva preso in considerazione.
Che tipo di domande hai posto nel questionario?
L’ambizione era di toccare i punti della quotidianità all’estero. Per esempio, quando c’è una coppia eterosessuale che si trasferisce in un altro Paese, entrano in gioco tutti gli stereotipi di genere su chi si occupa dei bambini. Quindi abbiamo chiesto quanta parità di genere c’è nella coppia, chi si occupa della cura dei figli. Interessante è anche sapere se il Paese in cui si vive è più avanti o più indietro rispetto alla parità di genere. Chiedevamo informazioni sul congedo di maternità, su quello parentale, quanto sono tutelati i genitori dallo Stato anche per fare un confronto con l’Italia.
Poi una domanda che forse è la prima volta che veniva fatta era quella sui nonni. C’era tutta una sezione che indagava come si mantengono i rapporti con i nonni lontani, come si creano delle occasioni per costruire o mantenere l’affetto, l’interazione fra nonni e nipoti, quanto spesso si va in Italia dai nonni o quanto spesso i nonni vengono. Un’altra domanda è stata: quanti passaporti ci sono in famiglia?
La partecipazione al sondaggio ha superato le più rosee aspettative con 1.200 adesioni. Come avete raggiunto i genitori italiani nel mondo?
Attraverso Instagram siamo riusciti a raggiungere il target giusto, a toccare le reti giuste. Per esempio negli Stati Uniti siamo riusciti a entrare in una rete che si chiama Italian Women Usa che ci ha aiutato molto. Soprattutto nelle ultime settimane in cui il questionario è stato online abbiamo raddoppiato il numero di partecipazioni dagli Usa. Poi in due paesi piccoli, Emirati Arabi e Singapore, c’è stata un’adesione quasi sproporzionata rispetto alla presenza di italiani in quei Paesi. Siamo riusciti ad avere più presa grazie alle reti di donne expat che si sono mobilitate pubblicando dei post nei quali invitavano tutte le persone della loro rete a partecipare.
Da altri Paesi abbiamo una rappresentanza microscopica; Africa e Sud Africa sono rimasti purtroppo fuori da questa ricerca, abbiamo poche decine di voci. Per il Sud America abbiamo scontato il fatto che l’emigrazione è del secolo scorso e non siamo riusciti a intercettare le reti dei nuovi emigrati.
Come è stata la partecipazione dalla Germania?
C’è stata una partecipazione generosissima dalla Germania. Abbiamo trovato persone che hanno partecipato e aiutato molto nella promozione sui social, quindi nel passaparola. La Germania è uno dei Paesi che ha visto la più alta adesione a questa ricerca. Sarà molto ben rappresentato nel documento finale.
Come ti è venuta l’idea di fare questa ricerca sui genitori expat?
Questa ricerca è il terzo step e il più importante, più ambizioso di un percorso che ho fatto negli ultimi anni e che mi ha portato a focalizzare il grande tema delle famiglie italiane all’estero, soprattutto perché io stessa sono diventata cittadina Aire cinque anni fa e ho una figlia e quindi ho un’esperienza diretta di quel che vuol dire espatriare e di essere genitori in un paese che non è il tuo.
A livello professionale i due step sono stati il primo un ebook (scaricabile gratuitamente), un piccolo libro che ho scritto per il CGIE, in particolare per la commissione che si occupava delle nuove generazioni espatriate, dove ho raccolto una dozzina di storie di italiani e italiane all’estero e delle loro iniziative, e associazioni: per esempio l’italiano che crea un gruppo di acquisto solidale e acquista prodotti dalle aziende agricole nate nei territori confiscati alla criminalità organizzata. C’erano poi tre progetti di mamme in tre Paesi diversi per creare occasioni ai bambini italiani di praticare la lingua italiana. Tempo dopo ho scritto per il RIM 2023 un contributo con interviste a genitori all’estero. La lingua si confermò essere un tema importante poi se ne sono aggiunti altri: i nonni, le motivazioni di lasciare l’Italia, le differenze fra far nascere figli all’estero e portare figli piccoli all’estero: un bambino che nasce all’estero diventa automaticamente bilingue, chi si trasferisce con i figli all’estero, ha la sfida linguistica non solo per i genitori ma anche per i figli. Da questo saggio è venuta l’idea di proporre alla Fondazione Migrantes un progetto di ricerca sulle famiglie all’estero tramite un questionario che potesse raggiungere più genitori expat.