Sfide ambientali e politiche nell’Europa rurale: Il conflitto tra agricoltura e normative verdi
Il governo ha rinviato i divieti imposti alla circolazione dei veicoli diesel “Euro 5” considerati inquinanti nelle città e sobborghi. Situazioni surreali (come chi abita in un centro “under 15.000” ma doveva attraversarne uno più grande per poter andare a lavorare) con aspetti di sana demagogia. Sta di fatto che il tutto è motivato dalla dichiarata necessità di adeguarsi alle normative antinquinanti europee. Ad esempio, a Bangkok, che ha 14milioni di abitanti, ovvero Piemonte e Lombardia messi insieme, città quasi mille volte più grande dei centri bloccati dalle norme europee, a Bangkok non ci sono limiti al diesel. L’aria è apparentemente molto più pulita di alcuni anni fa e per ottenerla sono stati obbligati solo i taxi a funzionare a gas mettendo sotto controllo le emissioni degli scooter e dei tuk tuk. Inutile cercare auto elettriche, praticamente inesistenti. Il centro però non è chiuso al traffico, non ci sono aree C, i parcheggi sono privati multipiano e il traffico è spesso caotico, ma sostanzialmente tutto funziona anche perché la gente usa i servizi pubblici, efficienti ed economici. Certo usarli impressiona: sono pulitissimi, niente graffiti, niente scritte, niente carta per terra. Se imbratti un muro semplicemente ti arrestano (anche se turista), ti multano, ti schedano, ti rilasciano. Alla seconda volta resti dentro fino al processo senza condizionale. Sono loro “avanti” o siamo noi rimasti assolutamente ipocriti e “indietro”? Sui media ricevi attenzione solo se stupisci e le news sul clima devono sempre essere catastrofiche.
L’agricoltura è fondamentale
Giovanni Marcora, che per sei anni era stato ministro dell’agricoltura (1974-1980) ed era considerato un ministro competente sia in Italia che a Bruxelles, dove aveva dimostrato forti capacità negoziali, assicurando robusti finanziamenti per l’agricoltura italiana, leader della Dc rispettato anche dai comunisti, era, invece, stimato meno dai vertici del mondo industriale, che invidiavano all’agricoltura i ricchi fondi europei.
Per questo, durante un’intervista, spiegò perché l’agricoltura gli stesse tanto a cuore: “Quando è finita la Seconda guerra mondiale, l’intera Europa, e non solo l’Italia, si è resa conto di non avere cibo a sufficienza per la propria popolazione. Importavamo carne dall’Argentina, la farina era poca e il latte non bastava.
Se nei 20-30 anni dopo la guerra abbiamo raggiunto l’autosufficienza alimentare, lo dobbiamo solo alla politica agricola Ue e ai suoi finanziamenti lungimiranti, checché ne dica la Confindustria”.
Ideologia green
Quelle parole di Marcora sono tornate in auge leggendo i commenti di alcuni centri studi agli ultimi sviluppi della politica green dell’Unione europea, in particolare sulla controversa normativa per il ripristino della natura, dopo che la commissione agricoltura si è spaccata a metà (44 voti a favore e 44 contro) sul testo proposto. “L’Ue si pentirà di avere fatto degli agricoltori il capro espiatorio dei cambiamenti climatici”, ha scritto Eoin Drea, senior research officer presso il centro studi Wilfred Martens.
E Wolfgang Munchau, in un’analisi al vetriolo sui Verdi, ha scritto che ora “il centrodestra europeo teme di perdere le comunità rurali, sua tradizionale base di potere”; per questo i dirigenti del Ppe “vedono i Verdi come i loro principali avversari politici”. All’origine dello scontro vi sono alcuni obblighi previsti per il futuro dalla normativa Ue sulla natura, fortemente voluta dal vicepresidente della Commissione di Bruxelles, Frans Timmermans, socialista olandese, capofila dell’ideologia green Ue insieme ai Verdi.
In primo luogo, il ripristino entro il 2030 dell’ecosistema naturale sul 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Europa, un’azione che, tra l’altro, prevede 25 mila chilometri di fiumi riportati alle origini naturali, senza dighe né interventi umani, con tanti saluti alle vasche di laminazione, considerate da ogni persona di buon senso necessarie per evitare catastrofi come quella appena avvenuta in Romagna.
La nuova normativa prevede, inoltre, una forte riduzione dei pesticidi chimici entro il 2050, un vincolo che gli oppositori considerano “una minaccia per l’agricoltura e per la sicurezza alimentare”.
Agricoltori per la natura
Gli agricoltori, sostiene Eoin Drea, non sono contrari alla tutela ambientale. Anzi, applicando le norme della politica agricola verde comunitaria in vigore, hanno ridotto le emissioni di gas serra del 25% tra il 1990 e il 2010. E la stessa Commissione Ue riconosce che la politica agricola “fornisce un ampio livello di protezione per l’ambiente su oltre l’80% dei terreni agricoli dell’Ue”. Per questo, “i dubbi degli agricoltori non riguardano la negazione del cambiamento climatico, ma la mancanza di realismo a Bruxelles quando si tratta di fissare i tempi per raggiungere gli obiettivi ambientali dell’Ue, perché sono tempi che faranno collassare le economie rurali”. I primi a ribellarsi ad alcune norme green in campo agricolo già varate e anticipatrici di quelle in discussione, sottolineano Drea e Munchau, sono stati gli agricoltori olandesi: lodati fino a ieri come “il piccolo paese che nutre il mondo” e “leader mondiali nell’innovazione agricola per combattere la fame”, ora sono sul banco degli accusati come inquinatori per le emissioni degli allevamenti e devono combattere per evitare la chiusura di migliaia di stalle o la cessione obbligatoria allo Stato, con l’abbattimento di centinaia di migliaia di capi di bestiame.
Contraccolpi elettorali
Sul piano politico, scrive Munchau, “i Paesi Bassi sono un buon esempio di ciò che può accadere quando gli elettori arrabbiati si coalizzano. Alle elezioni provinciali di marzo, il Farmer citizen movement (Bbb) ha vinto con un programma che si oppone ai tagli delle emissioni di azoto”. Movimenti simili si stanno organizzando anche in Germania e il “contraccolpo ha raggiunto Bruxelles. Il Partito popolare europeo, che rappresenta il centrodestra, ha chiesto una pausa normativa su tutto ciò che è verde. Il Ppe ha anche cambiato posizione sulla legislazione di punta della Commissione Ue in materia di protezione ambientale, in quanto il centrodestra teme di perdere le comunità rurali, la sua tradizionale base di potere”. Per Eoin Drea, “l’Europa rurale è presa di mira dai decisori politici in modo sproporzionato come facile preda. Mentre le case automobilistiche (Germania), l’industria nucleare (Francia) e le grandi aziende farmaceutiche (Irlanda e altri paesi) hanno i loro sponsor statali per annacquare, o ritardare, la legislazione europea, gli agricoltori vengono appesi sull’altare delle ambizioni climatiche dell’Ue”. Più avanti: “Le implicazioni politiche sono ovvie: come nei Paesi Bassi, gli elettori rurali arriveranno a disertare i tradizionali partiti pro-Ue e si riverseranno su movimenti di protesta più radicali, che nutrono sentimenti di ostilità verso Bruxelles, alimentando un euroscetticismo che, se lasciato incontrollato, alla fine toglierà il sostegno all’agenda Ue sul clima e la biodiversità”. Un’analisi che il Ppe mostra di avere fatto propria con il presidente Manfred Weber, il quale ha dato l’alt alla legislazione green Ue e sta cercando di tessere a destra una nuova alleanza in Europa, che prescinda dai Verdi e dai loro dogmi ambientali.