L’ultimo suo discorso pubblico, Fidel Alejandro Castro Ruz lo ha pronunciato durante i lavori del settimo congresso del Partito Comunista Cubano, il 20 Aprile scorso. Ha parlato da seduto, avvolto da una felpa azzurra che da tempo ha sostituito la sua divisa da Lider Maximo, e non senza emozione si è rivolto agli oltre 1300 delegati presenti in sala.
Dopo aver ricordato il ruolo che la rivoluzione cubana ha avuto nel secolo scorso, l’alternativa che los barbudos hanno prospettato come futuro per il Sudamerica e per tutti i popoli oppressi, Fidel si è congedato dal mondo. Nel farlo non ha mai pronunciato la parola morte, ma era chiaro a tutti a cosa si stesse riferendo.
“Forse questa sarà l’ultima volta in cui parlo in questa stanza. Presto compirò 90 anni. Presto sarò come tutti gli altri, il turno arriva per tutti”.
Questa notte, Venerdì 25 Novembre, alle 22.29 ora dell’Havana, quel momento è arrivato. Fidel Castro si è spento ed è stato il fratello Raul, succedutogli da qualche anno alla guida dell’isola a darne la notizia.
Certamente non tutto ha funzionato alla perfezione con Castro e la sua deriva autoritaria non ha giovato né all’immagine né alle prospettivie di libertà nell’isola. Ma bisogna riconoscere che la presa del potere, rocambolesca a e guerrigliera, culminata con la fuga di Batista, ha aperto all’America Latina un’altra via, una prospettiva inedita per affrancarsi da una condizione simile alla schiavitù, fatta di ignoranza e sfruttamento.
La qualità della vita dei cubani e stata sempre migliore di quella dei loro vicini centro e sudamericani. Cuba ha investito molto in istruzione, arrivando ad avere un livello di alfabetismo degno di un paese occidentale. Ha costruito un sistema sanitario all’avanguardia, ottenendo una limitatissima mortalità infantile e ottime cure geriatriche. I medici cubani sono sempre stati in prima linea nel prestare soccorso, ogni qualvolta sia stato necessario il loro aiuto, tanto in Sudamerica quanto in Africa.
A Cuba il popolo ha subito un embargo lungo decenni, e la loro condizione economica è sempre stata modesta. Ma l’isola di Castro non conosce il fenomeno dei meninos de rua, o la miseria delle Favelas. A Fidel Castro va riconosciuto inoltre che non si è arricchito e non ha vissuto nel lusso mentre il suo popolo faceva fatica.
La Chiesa cattolica ha da tempo avviato un lungo dialogo con l’Havana, chiedendole di rinuncare all’ateismo di stato e invitando il resto del mondo a cancellare l’odioso embargo. Nel 1998 un Papa Wojtyla ormai anziano e ammalato, venne accolto in pompa magna da Castro. Dopo la sua partenza, Fidel ristabilì il Natale come una festa civile. Da quello storico primo viaggio, il Vaticano ha continuato a cercare un dialogo e una strada comune. Nel 2012, quando Fidel aveva lasciato il comando al fratello Raul, arrivò sull’isola Papa Benedetto XVI e dal confronto tra i due, i legami con il Vaticano migliorarono ulteriormente. A seguito del viaggio di Papa Ratzinger, Raul concesse il Venerdì Santo come festa civile. Il recente viaggio a Cuba di Papa Francesco I ha intensificato i rapporti tra due visioni del mondo che per lungo tempo sembravano inconciliabili. Il Papà sudamericano, sempre così attento ai problemi dei poveri, ha proseguito questo lento cammino diventando un interlocutore cruciale tra Cuba e Washington. In un momento storico dove in molti confondono il dialogo e l’attenzione per gli ultimi con il buonismo e l’inconcludenza, il messaggio che ci giunge dall’Havana testimonia la distanza enorme che separa il buonismo e la demagogia dei mediocri, dalla concretezza e dalla capacità di migliorare il mondo, dei costruttori di pace. Quello che succederà a Cuba dopo la morte di Fidel, non lo sa nessuno. C’è da sperare che gli ideali di uguaglianza, pace e riscatto sociale affermatisi con la Revolución, non vengano affogati in un Cuba Libre tutto Coca-Cola e niente Rum.