Nella foto: Social Marketing. Foto di © Gerd Altmann su Pixabay

La Corte di giustizia europea rafforza i diritti dei consumatori sui dati personali e limita la pubblicità mirata sui Social network

La Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha emesso una sentenza fondamentale che limita l’uso dei dati personali da parte delle piattaforme di social network, come Facebook, per la pubblicità personalizzata. In particolare, la Corte ha affermato che l’uso illimitato e indiscriminato dei dati personali per scopi pubblicitari è in contrasto con il principio di “minimizzazione dei dati”, sancito dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).

Secondo la CGUE, le aziende non possono trattare, aggregare e conservare i dati personali per periodi di tempo indefiniti senza distinzioni sulla loro natura. Sebbene la Corte non abbia specificato un limite temporale preciso per la conservazione dei dati, ha stabilito che le aziende devono limitarsi a raccogliere e trattare solo i dati strettamente necessari per il fine dichiarato, come previsto dal GDPR. Questo rappresenta una vittoria per i consumatori, che vedono aumentare il controllo sui propri dati personali.

La questione è emersa in seguito alla denuncia presentata dall’attivista austriaco per la protezione dei dati, Max Schrems, noto per precedenti battaglie contro Facebook relative al trasferimento di dati tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Schrems ha accusato Meta (azienda madre di Facebook) di non rispettare il principio di minimizzazione dei dati, conservando un’enorme quantità di dati sul comportamento online degli utenti per la pubblicità mirata, senza limitarne il trattamento allo stretto necessario.

La CGUE ha anche affrontato il tema del trattamento dei dati sensibili, come quelli relativi all’orientamento sessuale, in ambito pubblicitario. Nel caso di Schrems, che aveva discusso pubblicamente della propria omosessualità in una tavola rotonda, la Corte ha stabilito che tale divulgazione volontaria non autorizza automaticamente le piattaforme a utilizzare altri dati sensibili dell’utente per fini pubblicitari. Questo principio rafforza la tutela dei dati particolarmente personali, come quelli sull’orientamento sessuale o religioso, che non possono essere trattati senza esplicito consenso, anche se l’utente ha già rivelato alcune informazioni in pubblico.

L’avvocato di Schrems, Katharina Raabe-Stuppnig, ha espresso soddisfazione per la sentenza, evidenziando come Meta abbia costruito un enorme database di utenti negli ultimi 20 anni e che, grazie a questa decisione, solo una parte di questi dati potrà essere utilizzata per la pubblicità. Meta, da parte sua, ha difeso il proprio impegno verso la protezione dei dati, ricordando di aver investito oltre cinque miliardi di euro per migliorare la gestione della privacy e garantire che gli utenti abbiano a disposizione strumenti per controllare l’uso dei propri dati.

La decisione della CGUE avrà un impatto significativo sul settore della pubblicità digitale. L’associazione industriale tedesca Bitkom ha avvertito che la sentenza crea incertezza per le aziende, che dovranno ora chiarire con maggiore precisione per quanto tempo e in che misura possono utilizzare i dati personali per fini pubblicitari. Il rischio di non conformarsi alle normative potrebbe portare a richieste di risarcimento da parte degli utenti, il che potrebbe spingere molte aziende a rivedere le proprie politiche di gestione dei dati.

Questa sentenza rappresenta un importante passo avanti per i diritti dei consumatori nell’era digitale e potrebbe inaugurare una nuova fase nella gestione dei dati personali online.