La cronaca riporta, ancora, fatti correlati all’emigrazione “disparata” verso l’Europa. Viaggi, non di rado rischiosi, che implicano seguiti politici spesso contrastanti con precedenti normative per dare un futuro a chi il suo l’ha perduto. Non siamo nuovi a queste realtà; anche perché l’Italia, in Europa, è stata un Paese di forte emigrazione. Soprattutto nei primi sessant’anni del secolo scorso. Ora, il tutto è reso più complesso per questa micidiale Pandemia.
Sarebbe meglio, per tutti, non dimenticarlo. Che i flussi immigratori siano da disciplinare è corretto; lo è meno essere incoerenti a un’umanità che non dovrebbe conoscere frontiere. Di fatto, il teatro di tanti drammi è il Mare Mediterraneo. Non solo, esistevano accordi politici bilaterali che favorivano le emigrazioni a condizioni, certamente, non vantaggiose per chi le affrontava. Oggi, la questione s’è capovolta ed è, soprattutto, l’Africa, quella per secoli sfruttata, fonte per una “realtà” non sempre coordinata.
Non per incapacità degli addetti, ma per la cocciutaggine dei politici che d’Emigrazione non hanno mai provato i rischi e le rinunce. Questo è quanto. D’Emigrazione, ci occupiamo da sessant’anni e ci siamo resi conto che, ora, siamo arrivati a un livello di guardia non facilmente gestibile.
Con la buona volontà e un impegno generale a livello UE molti problemi potrebbero trovare una ragionevole soluzione. Basta capirci, per intendere cosa è indispensabile e cosa possiamo offrire. Sotto questo profilo, la politica italiana ed europea dovrebbe essere adeguata alle necessità.