Gli italiani in Germania piangono la scomparsa di Graciano Rocchigiani
Quando nel 1963 il signor Zanubio Rocchigiani andò all’anagrafe per registrare la nascita del figlio, decise di chiamarlo Graziano. L’impiegato dell’anagrafe di Rheinhausen pensò che, secondo la pronuncia tedesca, Graziano si scrivesse con la “c”. Veniva al mondo l’unico pugile italo-tedesco entrato per sempre nella leggenda della Boxe.
È stato un incidente stradale a troncare, la sera del primo ottobre scorso, la vita di Graciano “Rocky” Rocchigiani travolto da una macchina su una provinciale nei pressi di Catania, dove aveva raggiunto la sua compagna e madre dei suoi due figli. Una morte violenta ha messo fine alla vita di uno dei più grandi pugili nella storia della Boxe, già campione d’Europa dei supermedi, campione del mondo dei supermedi IBF e dei mediomassimi WBC.
Il mondo della boxe conosce solo due grandi e veri “Rocky”. Parliamo di Rocky Marciano, italoamericano, campione mondiale imbattuto dei pesi massimi e Graciano Rocchigiani. Quell’altro, Rocky Balboa, come Cenerentola e Cappuccetto Rosso, è finto, non è reale e può interessare tuttalpiù solo gli amanti del cinema hollywoodiano ma non certo gli appassionati del vero pugilato.
Graciano Rocchigiani, il vero Rocky, è stato un pugile fuori da ogni schema, fuori dal sistema dei promotor e fuori dalle esigenze dettate dalla televisione, unica padrona del business miliardario che ruota attorno alla boxe. Una padrona spietata che dal pugile non pretende solo prestazioni sportive bensì un atteggiamento “telegenico” per soddisfare le esigenze del maggior numero possibile di telespettatori.
Graciano “Rocky” Rocchigiani è restato fuori da tutto ciò che imponeva un personaggio addomesticato, con le frasi fatte per ringraziare il pubblico televisivo dopo ogni match, dall’immancabile saluto ai fan ai complimenti mielati al promotor – cui, ogni pugile dice di “dover tutto”- fino a “Adriana, ti amo!” come ci ha insegnato Silvester Stallone al cinema della Boxe al silicone.
Rocky era un pugile vero e con la Boxe nel sangue della gente tosta, come sanno esserlo solo i sardi. Suo padre Zanubio Rocchigiani, emigrato dalla Sardegna in Germania, era stato una promessa del pugilato italiano. È stato lui a infilare la prima volta i guantoni ai suoi due figli Graciano e Ralf. Ralf ha vinto anche lui un titolo mondiale ma fu Graciano a impressionare presto gli esperti di pugilato con il suo stile di difesa. Una guardia serrata, con i guantoni inchiodati al volto e i gomiti chiusi sul costato per proteggere il corpo. Mancino, e quindi avversario scomodo, Rocky riusciva a sferrare pugni indietreggiando, senza mai ostentare potenza, ma di una precisione micidiale e con una capacità unica di contrattacco e velocità nello schivare anche i colpi più imprevedibili. Graciano Rocchigiani mostrava sul Ring un’autodisciplina impressionante. Sul ring non è andato mai al tappeto. Non ha mai perso l’orientamento, non è mai svenuto.
Gli è capitato piuttosto nella vita di tutti i giorni di andare KO. È stato colpito, anche ingiustamente, varie volte, troppe volte. È stato provocato e lui le provocazioni le ha accettate tutte e ogni volta che si è ritrovato per terra, con un’opinione pubblica che lo disprezzava e lo condannava come uomo e lo colpiva anche quando era già fuori combattimento, si è rialzato nella vita, ha ripreso a combattere e ha vinto.
Gli hanno rubato due volte la vittoria davanti alle telecamere. Due volte! Negli incontri con Henry Maske e con Dariusz Michalczewski i giudici di gara non hanno potuto fare a meno di restare condizionati dall’immagine di un personaggio che al mondo della Boxe commerciale non poteva fare bene. E Rocky, dopo l’incontro con Michalczewski, ha gridato verso di loro “Porci, siete dei porci e imbroglioni” Uno che si presentava così agli incontri non poteva fare comodo a nessuno. Uno così, a soggetti come Don King o Wielfried Sauerland, non poteva andare a genio.
Per la terza volta, il titolo gli è stato trafugato a tavolino. Il 21 marzo 1998, Rocchigiani sale sul ring a Berlino per il vacante Mondiale dei mediomassimi WBC. Batte il favorito, l’americano Michael Nunn. La WBC si rimangia la parola, non gli riconosce il titolo, declassando a posteriori l’incontro a eliminatoria. Quattro anni dopo, mentre Rocky è in galera per guida senza patente e oltraggio a pubblico ufficiale, il Tribunale distrettuale di Manhattan gli da ragione e condanna la WBC a un risarcimento di 30,3 milioni di euro. La WBC è sull’orlo della bancarotta.
Ecco cosa è stato Rocky: innanzitutto vittima e poi carnefice ma solo della sua immagine. Sulla guancia aveva una cicatrice di dieci centimetri per una ferita subita in una rissa con un coccio di bottiglia. Erano in tanti a volersi misurare con il campione spaccone. Rocky le ha date ma le ha anche prese. Lui è stato sempre punito. I suoi avversari della strada e dei locali notturni spesso, troppo spesso, l’hanno fatta franca.
Ho preso la sua biografia “Meine Zehn Runden”, sempre sul mio comodino, e l’ho regalata a una persona a me cara per dirgli rialzati! Hai la forza per farlo! E quando la vita ha fatto a cazzotti anche con me, ho voluto prendere ad esempio Graciano “Rocky” Rocchigiani per rialzarmi. Ed è per questo, che gli dico grazie!
Grazie Rocky per ogni volta che sei salito sul ring con i capelli tinti bianco rosso e verde per ricordare a tutti le tue origini italiane. Per ogni volta che dopo aver vinto il titolo hai alzato la bandiera italiana e per ogni volta che hai fatto vedere il paradenti con il tricolore italiano a ogni smorfia di dolore. Noi, ragazzi italiani della seconda generazione di emigrati in Germania, che con la vita facevamo spesso a cazzotti (e, credetemi, non sempre in senso metaforico ma realmente e con gli occhi lividi) vedere il Campione del Mondo, figlio di un emigrato sardo a Berlino mostrare con orgoglio “sono figlio d’italiani” ci toccava il cuore. Mi sono identificato mille volte in più con te che con qualsiasi altro italiano di successo in Germania plurilaureato o giornalista di successo o imprenditore pieno di denaro.
Grazie Rocky, grazie. Non ti dimenticheremo mai, noi amanti della Boxe fatta dai ragazzi di strada come Rocky Marciano, dai ragazzi emarginati come Mike Tyson, dai ragazzi discriminati come Mohamed Alì.
La Boxe, infatti, si divide in due mondi. Dal lato opposto vediamo i pugili Gentlemen come Henry Maske, Sven Ottke, e i colossi addomesticati come i fratelli Klitschko, ambedue laureati, belli, garbati, politicamente corretti ma così corretti da diventare antipatici, almeno al sottoscritto.
Il sottoscritto che, appena adolescente, ha fatto l’esperienza di un naso fratturato per un pugno in faccia e che a ogni pugno visto alla televisione associava quel pesante dolore, schizzava dalla sedia per l’entusiasmo quando Rocchigiani rispondeva alle interviste “Salgo sul ring perché mi pagano bene. Secondo voi, perché mi faccio spaccare la faccia se non per i soldi?“.
Sono andato tante volte a Berlino con la sua autobiografia “Meine Zehn Runden” sotto il braccio. Ho cercato Rocchigiani nella sua palestra. Non l’ho trovato. Volevo stringergli la mano. Volevo il suo autografo e non ho mai chiesto un autografo a qualcuno in vita mia. Non l’ho trovato. Ora andrò alla sua tomba. Andrò con un fiore e con una lacrima per dirgli finalmente di persona: Grazie campione. Grazie per sempre.