Luigi Rossi
Egregio Signor Direttore, dopo che un carissimo amico mi ha informato, sono corso a leggere l’articolo “L’acqua di Colonia ha origini italiane” di Iulca Pennacchia (che non mi sembra, dopo una veloce ricerca, neppure un nome d’arte). L’ho letto resistendo sino alla fine. Tralasciando stile e linguaggio, che ricordano un “traduttore automatico” che soccorre chi s’impantana in una lingua straniera, resto di stucco per i riporti storici e mi sembra indegno il modo in cui viene trattata una delle pagine più affascinanti della presenza italiana in Germania.
L’articolo non potrà non venir letto da qualcuno che ben conosce personaggi e avvenimenti legati all’Acqua di Colonia. Mi dispiace che si pensi e dica: guarda un po’ come questi trattano la loro storia! A Colonia non esiste nessun museo “a tre piani” dedicato all’Acqua di Colonia. Esiste, nel seminterrato dello storico edificio Farina, un museo “familiare” (neppure a buon mercato) che celebra gloria e successi di questa dinastia, cancellando gli anni e i decenni del pane dalle sette croste e la numerosa e attiva comunità vigezzina e italiana che tra 1600-1700 viveva a Colonia e in Renania.
Falso è che la famiglia Farina provenga da Ancona. Essa resta, per il primo secolo e mezzo della sua presenza in area tedesca, il prototipo dell’emigrazione italiana nei secoli XVII e XVIII: emigranti, per generazionie come tante altre famiglie, provenienti dalla Val Vigezzo. Montanari, si dice. Scarpe grosse e cervello fino. Ancona, però, è più chic. Firenze sarebbe stata perfetta come culla della dinastia del «profumiere», ma pochi l’avrebbero bevuta. Commercianti, questo sì. Ambulanti e chincaglieri (per generazioni) “al modo degli ebrei”. Essi offrivano, tra l’altro, “aghi, bottoni, ditali”, e neppure francesi. Persino“macheroni”.
Il tutto proviene dallo stesso archivio Farina. Mi risulta nuovo (e comico) che la nonna di Giovanni Maria Farina (1685-1766), Caterina Gennari, avesse un particolare olfatto! Un dono miracolosamente trasmesso al nipote Giovanni Maria! L’accenno a Maastricht (allo zio omonimo e alla sua disavventura commerciale) e ai primi decenni di attività dei fratelli Farina a Colonia (Giovanni Battista, Giovanni Maria e Carlo Girolamo) tace gli stentati avvii, la tipologia delle merci e la turba di creditori che li assediava,come sui processi e sui giorni passati ingattabuia da G. M. Farina (1685-1766).
Questa situazione porterà Carlo Girolamo a trasferirsi a Düsseldorf (dov’era attiva con successo un’altra comunità vigezzina). Da questo ramo fiorirà la Maison Farina di Parigi e il leggendario Jean Marie Farina (1785-1864) del quale possediamo un racconto-ritratto dello scrittore John Ruffini.
L’articolo di Iulca Pennacchia trascura, ma non poteva essere altrimenti viste le fonti, la presenza a Colonia e in Renania di una numerosa rappresentanza vigezzina con a capo Giovanni Paolo Feminis, uno dei maggiori contribuenti(mercante, spedizioniere e distillatore) della città renana e inventore d’una sua Aquamirabilis, antesignana dell’Eau de Cologne fariniana. Dopo la morte del Feminis, che lascerà i suoi beni ai bisognosi di Colonia, Rheinberg e Santa Maria Maggiore, la moglie incaricherà Giovanni Maria Farina (1685-1766) di liquidare le attività commerciali del marito. Da questo momento nasce la “voluta” dismemoria per questo grande vigezzino. Colonia e Rheinberg hanno, purtroppo, dimenticato ciò che fece in favore dei poveri, non così Santa Maria Maggiore.
Da questo momento si origina la gloria della ditta e famiglia Farina di Colonia, com’è dimostrato da ricerche d’archivio e dai dati raccolti grazie alla corrispondenza in uscita…
L’articolo di Iulca Pennacchia, oltre a presentarci un Farina profumiere che non corrisponde alla realtà (egli sarà sempre e solo un commerciante, cui la fortuna economica arriderà verso i 50 anni e neppure grazie all’Acqua di Colonia), ci presenta un inverosimile Farina viaggiatore che farà sorridere persino i suoi discendenti (nell’ultimo mezzo secolo di vita non rientrerà neppure in patria, al contrario dei membri del ramo Farina di Düsseldorf molto legati alla Valle originaria).
L’articolo in questione, parla di “olfatto assoluto”e “ossessione artistica”, qualità che si rinvengono solamente nei testi in rete della ditta Farina (alla quale gli aspetti storici non sono mai interessati più di tanto) e nelle chiacchiere della guida del museo. Balle, come si dice. Tanto per collegare l’illustre antenato al profumiere Jean-Baptiste Grenouille creato dal romanziere Patrick Süskind.
Altro falso è la citazione a proposito della ditta concorrente 4711 di Wilhelm Mülhens (non Mülheus come, per ben due volte, erroneamente riportato nell’articolo) e di un processo contro lo stesso vinto dalla ditta Farina. Vero è il contrario. Concludo che il nome Acqua di Colonia o Eau de Cologne non deriva certamente dalla fantasia di Giovanni Maria Farina (1685-1766), tipo molto più pratico. Per questo appellativo bisogna ringraziare la clientela.
Il prodotto Eau de Cologne veniva venduto, sin dai tempi del Feminis, come Eau Admirable o Aqua mirabilis. Un profumo, una medicina, un elixir. Concludo la presente sperando che l’articolo in questione sia solo uno spiacevole incidente dovuto all’improvvisazione di chi ha affrontato un simile tema senza la dovuta modestia che significa, nel nostro caso, informazione e studio. Va da sé che, a livello redazionale, fosse d’obbligo almeno una lettura e un controllo delle fonti. Non credo che ci si possa permettere di presentare la storia della presenza italica e italiana nell’area di lingua e cultura tedesca in questo modo, suscitando l’ilarità (e forse lo sdegno)di chi rispetta la testata come voce e testimonianza culturale della minoranza italiana in Germania.
Risponde Iulca Pennacchia
Egregio signor Rossi, rispondo alla Sua lettera spinta dall’interesse per la comunicazione con i lettori, che fa parte della mia professione. Ho letto con pazienza e curiosità le sue parole, dalla prima all’ultima. Senza preconcetti che mi portassero a pensare “devo resistere sino alla fine”.
Nonostante il fatto che le parole iniziali da Lei utilizzate, “traduttore automatico” “lingua straniera” e “indegno”, non fossero proprio gentili. È lecito dissentire ma non superare il limite del buon gusto. La libertà di esprimere la propria opinione esiste solo se si riconosce quella degli altri. L’hanno insegnato i pensatori liberali. Bel concetto quello di libertà. In fondo cosa diceva un grande pensatore italiano come Norberto Bobbio?: “Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione”. Il porsi a oracolo non è un comportamento idoneo né ad un ricercatore né ad un giornalista, che di “sapere” si occupano. E allora perché non abbandonare inutili ironie e atteggiamenti dogmatici?
Lei scrive in risposta al mio articolo sull’acqua di Colonia. Contesta che Giovanni Maria Farina, connazionale emigrato in Germania, sia l’inventore dell’acqua di Colonia come da me riportato. Nel farlo sostiene che “trascuro”, “ma non poteva essere altrimenti viste le fonti”, la presenza nella città tedesca di un certo Giovanni Paolo Feminis, personaggio non ben definito. Infatti la guida di Markus Eckstein sull’Eau de Cologne dice: “In generale le conoscenze a proposito del Feminis sono davvero scarse”. Feminis invece sarebbe, secondo Lei, il vero inventore dell’Acqua in questione. Ma le fonti che sono alla base delle mie ricerche, sono il Bundesministerium für Bildung und Forschung, che attribuisce la paternità non a quel Feminis di cui Lei parla, ma a Giovanni Maria Farina, come da me scritto nell’articolo. Lei disconosce anche la sentenza che condannò Wilhelm Mülhens (i refusi in un giornale possono capitare) perché aveva usato il nome “Farina” per un suo profumo del tutto diverso.
Mülhens fu costretto a cambiare nome alla sua creazione e la chiamò 4711. Il Ministerium fa riferimento alla decisione giudiziale e dice che l’associazione fra il 4711 e l’Eau de Cologne è “historisch falsch”: l’originale è prodotto ancora oggi dai Farina di Colonia. In riferimento alla provenienza da Ancona, mi pare che lei abbia frainteso. L’origine di una famiglia può essere ben più lontana nel tempo dalla sua provenienza da questo o quel paese e io, nell’articolo, la dato addirittura a prima del 1430, non al XVII, XVIII secolo come Lei. E poi chi dice che Ancona sia più chic? E ancora, sulla base di quali prove Lei contesta che Farina e la sua antenata avessero un olfatto sviluppato?
Mi dispiace doverle scrivere queste cose. Per prima cosa perché questa diatriba, che mi risulta stia andando avanti da tempo, nasconde quello che c’è di buono tra gli italiani all’estero. Un italiano inventa l’acqua di Colonia, apprezzata a livello internazionale. Spesso si scrive di italiani costretti a fare gli operai, i minatori oppure di connazionali mafiosi, fermo restando il rispetto che dobbiamo riconoscere a tutti, eccetto all’ultima categoria. Lei si preoccupa del fatto che avrei trattato in maniera “indegna” un periodo della storia dell’emigrazione italiana in Germania. Mi faccia capire: questo periodo sarebbe migliore solo adottando la tesi del Feminis inventore? O dicendo che gli italiani emigrati erano montanari, come lei scrive? Non le pare che si potrebbero arrabbiare gli ebrei, cui Lei fa riferimento come esempio di ambulanti e chincaglieri (in italiano chincaglieria significa cianfrusaglia)?
A me risulta che fossero anche banchieri, orefici e medici. E su questo popolo legga quanto scritto, ad esempio, dal comune di Livorno a proposito della sua versatilità; a proposito delle botteghe che avevano, delle merci pregiate che importavano (tappeti, cuoio, e spezie), della loro maestria nella lavorazione della seta, del sapone e del corallo. Vede, sulle cose si può anche dissentire ma bisogna stare attenti a come farlo. La realtà oggettiva, oltre al buon gusto di cui ho già parlato, è un limite. Il Duftmuseum im Farina- Haus esiste realmente. È un bel palazzo con tre piani nella Obenmarspforten 21 a Colonia: un pianoterra, un primo e uno interrato. Se poi ancora non dovesse essere convinto: la storia è fatta di interpretazioni, inventori più o meno destituiti e storie ancora non definitivamente sigillate.
Nel nostro caso si parla di un profumo su cui si sono riversate le logiche non sempre leali del commercio. Allora lasciamogli la leggerezza delle essenze odorose e l’eleganza che – risulta dalle mie fonti – il pittore russo Vasilij Kandiskij, che lei non cita – gli diede. P.S.: Un consiglio sul buon gusto: la prossima volta, oltre ad indirizzare la lettera al direttore, metta nel destinatario anche la persona a cui rivolge le sue critiche, persino qualora un giudizio a priori La porti a ritenere che costui/e sia un nome inventato.