Il flusso di migrazione dall’Italia non accenna a diminuire: le presenze italiane in Germania oggi superano le 700 mila unità. Quest’anno si celebra il 60esimo anniversario dell’accordo bilaterale per il reclutamento e il collocamento di manodopera italiana nella Repubblica federale, firmato il 20 dicembre del 1955. Gli emigrati italiani dei primi decenni erano sicuramente diversi dagli arrivi di oggi, in parte costituiti da forze giovani e qualificate. Si tratta di un’emigrazione diversa, con altre caratteristiche sociali e culturali. Ma il rischio di identificare la nuova emigrazione con una situazione “facile” da amministrare è grande – le difficoltà che incontrano i connazionali per inserirsi nel tessuto connettivo tedesco sono enormi oggi come lo erano allora. E spesso si ha la sensazione di vivere un déjà-vu, quando ci si confronta con le esperienze di alcuni nostri connazionali. Quello che segue è un (quasi) autoritratto della famiglia Nappo: un intreccio di passato e presente.
Elvira – Vengo da Napoli, Napoli centro, la città che amo da morire. Sono laureata in architettura e ho lavorato in Italia, ma fino ad un certo punto: lì non è che c’erano molte possibilità, e poi con i due bambini… in Italia non è che sia tanto facile conciliare il lavoro con la famiglia. Comunque, dopo la laurea ho collaborato con uno studio professionale di architettura, poi mi sono occupata di architettura di interni, gestivo uno showroom di arredamento nella zona bene di Napoli. Devo dire che per quanto riguarda il pagamento almeno all’inizio sono stata fortunata, ho avuto un regolare contratto di lavoro, però poi a un certo punto è arrivato l’ingegnere e ha cominciato a dire che non aveva soldi per pagarmi e quindi sono dovuta diventare collaboratrice esterna, ma intanto lui non mi pagava gli arretrati. Non mi rimaneva che andarmene. Così passai a una ditta di interni, dove anche mi fecero un regolare contratto, ma poi chiusero il negozio per via della crisi. A quel punto ho cercato di fare la freelance, ma non trovavo molta disponibilità. Così dal 2009 non lavoro. (Elvira scuote la testa sconsolata, ma subito si riprende). Dato il momento politico ed economico particolare, ho pensato: chissà come sarebbe spostarsi da Napoli. In quel momento anche mio marito aveva un momento piuttosto brutto dal punto di vista professionale: il suo settore era in completa crisi, lui aveva già provato a lavorare in diversi posti in Italia, ma la musica era sempre la stessa. Abbiamo dei bambini piccoli, dobbiamo garantire loro un futuro. E così ho pensato alla Germania, sentivo di tanta gente che veniva qui…
Certo, mi sono detta, non sarà come se avessi vent’anni, però chissà, tentare… Così ho proposto a Gennaro: comincia tu, ti avvii e poi vediamo che si può fare. Gennaro – Sono in Germania dal 2013 e ho fatto tutti i lavori che mi si presentavano: ho lavato i piatti, ho pulito le scale, per risparmiare ho dormito per giorni sotto gli ombrelloni del bar di fronte al duomo… ma la mia forza era pensare di dare ai nostri figli la possibilità di essere qualcuno domani, di realizzare il sogno dei bambini. Non posso perdere tempo, perché sono un genitore maturo (50 anni – n.d.r.) con dei bambini ancora piccoli… In Italia ho sempre fatto l’agente di commercio, ho venduto prodotti per le arti grafiche, e infatti ho scelto di stabilirmi a Colonia perché l’avevo già conosciuta nel 1990 per via di una fiera e la città mi era piaciuta molto. In realtà il mio primo approdo in Germania è stato a Kassel, dove avevo trovato un lavoro stagionale nella ristorazione, ma poi ho preferito spostarmi a Colonia. Sono venuto in Germania da solo, lasciando la famiglia a Napoli, come facevano gli emigrati degli anni sessanta. Sono partito con la valigia di cartone, per così dire. Elvira e i bambini sono venuti a Colonia solo quest’anno.
Elvira – Ho passato due anni con i miei genitori, come una ragazzina (sorride un po’ amara), senza marito e con due figli piccoli. Poi, arrivati qui, il primo pensiero è stato ovviamente quello di organizzare i bambini, perché la grande aveva fatto la prima elementare e con ottimo profitto, e così abbiamo inserito prima lei: a maggio frequentava la prima classe, ma adesso è passata in seconda, quindi si è rimessa subito in regola. Il piccolo va a scuola da settembre. E io sto studiando tedesco per conto mio, in internet, perché è fondamentale, al di là del lavoro, anche per comunicare con gli insegnanti, per gestire le altre cose della vita. Ma tra un mese inizio anche il corso di tedesco dell’Integrationskurs. Potrei cercare subito lavoro, lo sto anche facendo, ma con calma, perché ho paura di bruciarmi. Forse è meglio se prima sono più padrona della lingua. Voglio una marcia in più! Gennaro – Ora sto lavorando per una ditta che gestisce il trasporto dei disabili.
Tra qualche giorno ho anche altri colloqui di lavoro e forse riuscirò a migliorare la mia posizione. Ma il mio sogno nel cassetto è intanto avere una padronanza della lingua nel più breve tempo possibile (sta seguendo un corso finanziato dall’Arbeitsagentur – n.d.r.) e poi cercare di fare ciò che facevo fino a sei, sette anni fa nella mia città di Napoli: fare il venditore, l’agente di commercio, ma farlo per conto mio, in proprio, per esempio comprare e rivendere cose che qui magari possono essere non tanto presenti. Questa è la mia aspirazione. Riguardo a mia moglie, spero tanto che possa veder realizzato qualche suo progetto, perché di progetti carini ne ha fatti tanti, in particolare nel settore del design. Mi auguro che lei trovi qui la possibilità di esprimersi. Elvira – I bambini stanno provando ad integrarsi, la scuola che frequentano è multietnica, specialmente la bambina, la scuola elementare. Il mio problema con i bambini era che avrebbero dovuto cambiare scuola, sistema scolastico. In Italia i programmi sono più approfonditi, ma qui c’è un altro modo di concepire la scuola, il mondo dell’infanzia, qui il gioco è fondamentale. Per esempio mia figlia ha lezione la mattina fino a mezzogiorno, poi fino alle quattro gioca, fa i compiti… Sì, è vero, in seconda elementare continua a fare quello che aveva già fatto in prima in Italia, ma lei è contenta e inizia a fare amicizia, a comunicare con gli altri bambini. Segue un corso di tedesco a scuola e studiamo anche insieme a casa. Bambina – La scuola mi piace qui perché hanno i giocattoli belli… (e scocca un sorriso radioso alla mamma).
Elvira – Il bambino ha appena iniziato a scuola e per lui è un po’ difficile, perché è un chiacchierone come suo padre (Elvira sorride sorniona a Gennaro) e vorrebbe subito comunicare, ma forse questo potrebbe essere una buona motivazione per lui. Comunque i nostri figli dovranno essere bilingui, imparare bene anche la lingua italiana, questo è molto importante. Ho perfino portato dei libri di scuola dall’Italia… Ma l’importante è che cerchiamo di guardare avanti e di vedere come consolidare le loro potenzialità, come realizzare le loro aspettative. Spero, nella vita… mai dire mai. Comunque ho un carattere non arrendevole, per cui, fintanto che ho forza di volere, posso fare.Riquadro Un commento della signora Antonella iurano, presidente del Centro Internazionale Mondo Aperto e vice presidente dell’Integrationsrat della città di Colonia, che ha seguito la famiglia appo n dal suo arrio in ermania. Sono arrivati qui, come tanti in questi ultimi anni, per trovare un futuro migliore di quello che avevano lasciato in Italia, per se e soprattutto per il loro figli. E naturalmente si sono anche scontrati con tutte le difficoltà burocratiche che ci sono qui in Germania: il posto per l’asilo, per la scuola, l’Integrationskurs, il lavoro….
Ma, rispetto a tante altre famiglie nelle stesse condizioni che vengono in Germania, loro sono venuti con un gran voglia di fare e con tanta determinazione. Questa è la cosa che va messa in rilievo: gran parte delle famiglie che arrivano dall’Italia purtroppo non hanno questa forza, questo coraggio, questa volontà. Tanti mi scrivono dall’Italia già prima di arrivare, vogliono sapere già tutto, addirittura se possiamo trovar loro un appartamento, un lavoro… si percepisce la loro legittima paura del futuro, ma purtroppo anche l’idea del credere di aver “diritto” a un’assistenza che prepari loro un porto sicuro dove attraccare. Qui si distinguono i Nappo: loro non cercano il piatto pronto ma mettono in gioco loro stessi, in prima persona – giustamente usando tutte le possibilità e le strutture che possono dare aiuto, ma rimanendo loro i veri protagonisti. Se così facessero tutti i nuovi arrivi, anche il nostro lavoro sarebbe più effettivo.