I dati forniti dal Consolato Generale di Colonia sul movimento migratorio tra Italia e Nordreno-Vestfalia relativi al 2013 mettono in risalto l’entità del fenomeno: contro le 5.100 unità tornate in Italia, ve ne sono 10.700 stabilitesi in NRW, quindi un saldo positivo di circa 5.600 nuovi connazionali – e tra questi moltissimi sono i giovani, ma anche meno giovani, con un livello culturale elevato.
Si lascia l’Italia per tanti motivi, ma ciò che unisce queste persone è un latente sentimento di insoddisfazione, di incompletezza, di sfiducia… e di speranza. L’Italia non sembra più in grado di offrire un futuro ai suoi cittadini, sia a livello lavorativo sia di sicurezza sociale. Del fenomeno se ne parla tantissimo, si fanno analisi sociologiche e pseudo-psicosociali, economiche, di sviluppo politico e comportamentale, si stilano statistiche… ma di loro, di chi se ne va, di chi volta le spalle alla sua terra d’origine, si parla invece ben poco. Per questo, vogliamo parlare invece proprio di loro, o meglio, lasciar loro la parola. Ecco due (quasi) autoritratti: due donne, due esistenze molto diverse, ma accomunate dalla stessa decisione.
Ho 37 anni, di Santa Maria Imbaro, in provincia di Chieti. Ho frequentato l’Istituto Magistrale e sono diventata maestra d’asilo e maestra elementare. Ma la mia vita in Italia mi ha portato a fare tanti tipi di lavoro, perché non riuscivo ad entrare nel mondo scolastico. Ho fatto tanti tirocini, sia quelli obbligatori durante lo studio, sia poi per mia formazione professionale: andavo negli asili a fare piccoli progetti.
Ma per vivere ho fatto di tutto: la barista, la badante, la donna delle pulizie… sono rimasta un po’ di tempo nella regione, poi ho provato a trasferirmi in Lombardia e ho trovato un lavoro come segretaria in un’azienda di Sondrio. Non che la cosa mi piacesse veramente, ma allora guadagnavo 200 euro al mese e quindi è chiaro che se trovi qualcosa di più redditizio non ci pensi due volte a farlo. E qui la storia è strana, quasi un presagio, perché tra i mille lavori che facevo per sbarcare il lunario venni anche a Colonia a lavorare in fiera per una ditta che allestiva i padiglioni, conoscevo un minimo di tedesco che avevo studiato da autodidatta e così lo sfruttai. E proprio alla fiera di Colonia conobbi quella ditta di Sondrio che poi mi assunse come segretaria. Seguii anche, nel 2009, un corso di tedesco a Colonia, per migliorare le mie conoscenze (eh sì, Colonia, per me la città più bella del mondo! E dire che prima non sapevo nemmeno che esistesse!). Ma a Sondrio non funzionava veramente, ero insoddisfatta, volevo lavorare con i bambini, quella era la mia vita. In Italia, però, evidentemente non c’era posto per me. Così due anni fa – ero venuta a Colonia per l’Anuga in rappresentanza di una ditta abruzzese… – dopo la fiera non sono ripartita! Mi sono detta: io rimango qui! In qualche modo ce la farò. E ce l’ho fatta!
Dell’Italia mi mancano le mie sorelle… e basta – perché il resto è noia. No, non mi manca niente dell’Italia, perché lì non mi sono mai sentita apprezzata. Per qualsiasi cosa io abbia potuto fare, abbia potuto dire… non so, forse la sorte avversa… non me ne andava bene una – poi sono arrivata qua e sembrava che tutti aspettassero solo me (n.d.r. – Giovanna ride, dicendo questa frase, la sua è simpatica autoironia). Appena sono arrivata, ho trovato subito un piccolissimo lavoro, presso la Caritas, guadagnavo poco, ma mi ha aiutato ad iniziare. Poi ho trovato lavoro in un Call Center, e già potevo pagare l’affitto. Chiaro ho fatto anche qui mille lavoretti, ma in meno di otto mesi ho finalmente trovato il lavoro che sognavo, quello per cui avevo studiato: ora sono educatrice in un asilo – un asilo bilingue, dove posso usare anche l’italiano. Sto continuando a perfezionare il tedesco, perché so che non ha senso vivere in un paese senza sapere la lingua del posto e poi perché voglio fare carriera. Fare l’educatrice, rotolarsi a terra con i bambini, finché sono giovane va benissimo, ma poi, ad una certa età, dovrò pur cambiare un po’ la rotta, forse nell’amministrazione di un asilo, vedremo. Comunque i miei studi sono stati riconosciuti e quindi, con la carica emozionale che ho ora, so che ce la farò. Certo, ho avuto fortuna a trovare una struttura bilingue, ma la fortuna ce la creiamo anche con le nostre mani, con il coraggio delle nostre decisioni. Il mio sogno si sta realizzando, ma per concretizzarlo ho dovuto lasciare l’Italia. E ci riuscirò, sono abruzzese, ho la testa dura! E poi voglio restare qui, in Germania mi sento a casa. Ma nemmeno dimentico i miei connazionali, per questo sono entrata nel direttivo dell’associazione “Mondo Aperto – Offene Welt”, per mettere la mia esperienza al servizio di chi, come me, decide di lasciare l’Italia e di venire a vivere a Colonia.
Sono di Roma, ma vivo a Colonia dal 2013. Ero già venuta prima, per brevi periodi nel 2010 e 2011, perché sono sceneggiatrice e volevo vedere come fanno le produzioni televisive in Germania. Ma in verità dentro di me già maturavo l’idea di andar via dall’Italia. Avevo bisogno di altri stimoli e poi non c’era più lavoro, perché le produzioni in Italia sono veramente limitate, soprattutto per quello che facevo io, soap e serialità – ho scritto per Incantesimo, Orgoglio e altre produzioni. Ma sentivo anche un cambiamento culturale in Italia, c’era qualcosa che non andava, che non funzionava, una specie di cappa… o almeno era questo che io percepivo. Cioè, al di là delle difficoltà lavorative, c’era proprio come una specie di morte culturale – non riconoscevo più la mia città… Roma è sempre stata una città con tanti difetti, ma anche una città creativa, portatrice di cultura, anche cialtrona in qualche modo, però in questo movimento continuo c’era sempre qualcosa di nuovo. Invece vedevo che c’era proprio una stagnazione, e quindi pian piano era nata in me l’idea di andarmene. Avevo anche provato ad andare a Manchester, sono venuta qui a Colonia, dove ci sono tante produzioni televisive. Già la prima volta che sono venuta sono rimasta più a lungo di quanto avevo previsto, ho conosciuto persone e mi sono subito sentita a casa mia. E così ho iniziato a concretizzare il mio progetto. Così ho fatto alla mia età quello che non avevo fatto a vent’anni (ndr: Sandra Cocco ha circa cinquant’anni).
Certo, andare alla ventura con un po’ soldi è diverso che senza possedere nulla, ma sostanzialmente quelli che ho provengono dalla SIAE (ndr: diritti d’autore), quindi non sono proprio molti. Così mi sono buttata nella vita, ricominciando tutto da capo e scegliendo la via più difficile, forse. Ero stata anche a York nel nord dell’Inghilterra, dove ci sono molte produzioni e dove per la lingua sarebbe stato per me più facile. Ma non mi sono sentita così bene come a Colonia. Ed ecco che sono qui, sapendo anche di non avere molte possibilità di continuare a fare il mio lavoro di sceneggiatrice, per via della lingua. Io amo il mio lavoro, ma a Roma non volevo più rimanere, in quel decadimento culturale che percepivo in un modo molto forte. Il problema non è la corruzione, che sicuramente c’è anche in Germania, ma l’esistenza di sistemi corruttivi che cambiano le coscienze delle persone, per cui tutto è lecito… è triste che noi italiani non abbiamo più voglia di reagire. Forse in questo momento le cose stanno iniziando a cambiare, si notano i primi fermenti… ma io volevo andare via – e allora, se devo ricominciare da capo, ricomincio veramente da capo. A Colonia, all’inizio pensavo fosse più facile con la lingua, ma non è così, se non la studi da giovanissima diventa un po’ un problema.
Appena arrivata ho subito trovato un piccolo lavoro per sopravvivere e per studiare il tedesco, poi – dato che avevo fatto anche scuola di recitazione – ho iniziato a fare un po’ di teatro con i bambini italiani, poi ho lavorato con dei progetti di animazione per i rifugiati e ora lavoro nelle scuole facendo doposcuola con i bambini. Non so se questo è quello che voglio fare anche in seguito, ma mi aiuta a migliorare il tedesco, poi si vedrà. Vorrei tornare a scrivere, ma per ora non è realistico. Comunque qui mi trovo benissimo, mi sento molto bene. Chiaro, alla mia età mi ritrovo che non ho le classiche sicurezze di chi ha fatto un lavoro regolato, ma io ho sempre fatto volentieri un lavoro creativo, artistico. Chissà, forse riuscirò a trovare un lavoro che sia diciamo almeno interessante, anche se non sarà lo stesso di quello che facevo prima. Per scrivere in tedesco mi ci vogliono altri dieci anni, credo. E quindi fra dieci anni, boh, non so. Intanto vorrei continuare nel campo del teatro e sto pianificando la possibilità di fare un corso di specializzazione in pedagogia teatrale (Fortbildung in Theaterpädagogik), per poter lavorare poi sia con i bambini sia con le donne. Una cosa che mi piacerebbe veramente molto: lavorare in un progetto di accoglienza per donne rifugiate. Un sogno, forse. Ma perché no! Quando sono andata via da Roma i familiari, gli amici, sono rimasti shoccati, mi dissero che ero pazza. Oggi, quando racconto di me a Colonia, mi dicono di rimanere… c’è una punta di invidia nei confronti di chi ce l’ha fatta ad andarsene, perché la situazione in Italia è difficile.
Foto sx: Giovanna La Caprara, Sandra Cocco