Il libro è un dono di Giovanni Battista Montini, già assistente della FUCI, ed ora dell’associazione dei Laureati Cattolici, al giovane professore di diritto romano Giorgio La Pira. Mi piace pensare alla emozione con cui il bravo sacerdote bresciano, praticante alla Segreteria di Stato, porta in dono a Giorgio La Pira questo libro, così importante nella formazione del pensiero cattolico fra le due guerre.
A Brescia una casa editrice cattolica, la Morcelliana, è animata da personaggi come Padre Giulio Bevilacqua, Mario Bendiscioli, Don Primo Mazzolari. Quando Montini, diventato papa farà Cardinale Padre Bevilacqua, volendosi quasi giustificare, dirà: “È un nepotismo rovesciato, perché non è lo zio che incorona il nipote, ma il nipote che incorona lo zio”.
La Morcelliana portava in Italia i testi cattolici di una profonda opposizione al nazismo, i libri di Romano Guardini, di George Bernanos (come “I grandi cimiteri sotto la luna” del 1938 con la sua dura condanna del franchismo), gli scritti del giovane Emmanuel Mounier e la sua importante rivista Esprit. Ma primo fra tutti Jacques Maritain col suo “Primato della spiritualità” prima ed infine col suo “Umanesimo integrale”.Erano i tempi in cui la cultura politica cattolica parlava francese
Il libro era una novità assoluta: in pratica il massimo contributo della cultura della crisi alla comprensione della grande tragedia dell’ Europa sommersa dai totalitarismi. Per di più propone un nuovo concetto nel rapporto tra fede e politica: “la nuova cristianità”. La cristianità è, secondo Maritain, una realtà storica terrena, diversa dalla Chiesa e dal suo significato metastorico, dove si tenta di realizzare in maniera laica una società in cui si riflettano alcuni valori cristiani adatti ai tempi. E’ l’uscita dal concetto di “stato cristiano”, senza rinunciare a portare il proprio contributo nella costruzione della storia. E’ la premessa di ogni pensiero democratico cristiano.
Nella Fuci andavano formandosi quelli che sarebbero stati i futuri leader politici (come Guido Gonella e Giorgio La Pira, Giulio Pastore e Giuseppe Dossetti, Aldo Moro e Giulio Andreotti).
Presidente della Fuci è un giovane romagnolo, Igino Righetti. In vista del temuto scioglimento della Associazione, che puntualmente si verificò nel 1931, Montini e Righetti danno vita alla casa editrice Studium , che sarà un laboratorio per la formazione culturale della futura classa dirigente. Scrive Philippe Chenaux ( “Cristiani d’Italia”; 2011):“La strategia di autonomia e di indipendenza (‘a-fascista’) impressa da Righetti e Montini alla Fuci mirava infatti alla formazione di una nuova élite cattolica in grado di ricostruire una società basata sui principi del cristianesimo dopo la caduta del regime fascista”.
Ma anche l’Azione Cattolica, rinserrata nelle parrocchie e minacciata di scioglimento, promuove una organizzazione di massa delle giovani donne, che il fascismo trascurò perché la riteneva innocua. Armida Barelli fa uscire la Gioventù Femminile di Azione Cattolica dai salotti delle “contessine”e dai cenacoli delle “signorine” della borghesia e si dedica alla formazione delle ragazze del popolo.
I personaggi presenti a Camaldoli sono della Fuci e del movimento dei Laureati cattolici. Ma attraverso La Pira c’è anche un collegamento con Fanfani e con il gruppo dei professorini della “Cattolica” che già studiavano per conto loro “the after day” del fascismo. Questo gruppo prendeva acqua da un’altra sorgente importantissima in quegli anni: si erano sviluppati nel laicato gruppi di “laici consacrati” che formeranno forti personalità per i momenti difficili. Lo erano La Pira, Dossetti, Lazzati e molto altri della Universita Cattolica. Alcuni si riunivano in “casa Padovani” e fra di loro c’era anche il professor Boldrini. Lo portava in macchina alle riunioni clandestine un suo giovane compaesano, Enrico Mattei, che avrà un ruolo nella Resistenza e persino un ruolo nella realizzazione delle idee di Camaldoli.
Teniamo presenti queste due date. Il 19 luglio del ‘43 Roma viene bombardata. Né il Re, né Mussolini, che si trovava ad un incontro con Hitler a Feltre, si fanno vedere a San Lorenzo dove seicentotrentadue aerei alleati hanno colpito duro. Accorre solo il Papa. Il 25 Luglio il Gran Consiglio del Fascismo delegittima Mussolini ed il Re lo fa arrestare.
Dal 18 al 23 luglio, si svolge l’incontro di Camaldoli. Il raffronto fra queste date ci fa capire quale fosse l’atmosfera di quei giorni, quali pensieri dovessero affollare le menti e quali emozioni dovessero turbare i cuori dei convenuti. L’incontro fu chiuso addirittura prima del giorno previsto, perché molti dovevano tornare alle loro case per l’accavallarsi delle brutte notizie. Anche la lista dei partecipanti è lacunosa, credo, proprio per questo motivo. Penso che l’incontro fosse stato preparato accuratamente nelle relazioni e nei testi preparatori, al punto che l’accavallarsi degli eventi, non impedì la rapida stesura del documento.
La partecipazione di circa cinquanta giovani fa pensare più ad un corso di formazione che ad una riunione di saggi. Ma questa formulazione forse era dovuta ad una prudenza, allora necessaria. I lavori furono coordinati da Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo ed assistente dei Laureati. I principi-guida furono elaborati da Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni. Alla stesura definitiva del Codice parteciparono Mario Ferrari Aggradi, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Giuseppe Capograssi, Ferruccio Pergolesi, Vittore Branca, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giuseppe Medici. Il documento fu infine presentato da Pietro Pavan, incaricato anche di pronunciarne le considerazioni conclusive.
Campanini, nel suo articolo sottolinea l’Importanza di due giovani: Igino Righetti e Sergio Paronetto. C’è qualcosa di simbolico e di straordinario nella loro vicenda.
Igino Righetti è stato presidente della Fuci dal 1926, con Montini assistente, e poi Presidente dei “Laureati, fondatore della “Studium” e promotore delle Settimane di Camaldoli. Maestro di una intera futura classe dirigente , muore nel 1939, a 34 anni, alle soglie della guerra
Sergio Paronetto è l’estensore materiale del Codice di Camaldoli ed è un personaggio incredibile. Lavora all’Iri, rifiuta di diventarne direttore generale nel settembre del ’43. È il teorico di quelle che saranno chiamate “le partecipazioni statali”. È in rapporto con i comunisti cattolici, con Rodano e con Saraceno. È legato a Vanoni, ha capacita organizzative straordinarie ed è, di fatto,l’attento ed accurato esecutore del documento.
Anche lui lascia in anticipo dal Convegno, prima della chiusura, il 25 Luglio, ma per il semplice motivo che lui, il 26 luglio si sposa. Questa è una notizia singolare che ci dice molto sull’impegno e la passione di quegli uomini e di quei tempi. Muore nel 1945, a 34 anni. Era già considerato un “maestro” e muore alle soglie della Costituente.
Il documento ha la struttura di analoghi documenti della scuola sociale cristiana, quali il Codice di Malines del 1927. Da qui trae il suo nome di Codice di Camaldoli. Tre pensieri, nuovi per allora, ne sono il fondamento.
Il primo riguarda il concetto di “Stato”. Non si parla più di uno “stato nemico”, di un“paese reale contrapposto a paese legale”. Secondo il documento, fine dello Stato è quel bene comune che le famiglie e le classi più deboli non son in grado di promuovere da sole. C’è in nuce il concetto fondamentale di sussidiarietà. (A questa concezione si ispira Giuseppe Dossetti nella sua famosa lezione ai “Laureati Cattolici” del 1949 intitolata: “Non avere paura dello Stato” ).
La seconda idea nuova è appunto il concetto di bene comune, tratto da Tommaso e aggiornato sulla base del radiomessaggio del Papa Pio XII nel Natale 1942 (“Quelle esterne condizioni le quali sono necessarie all’insieme dei cittadini per lo sviluppo della loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa”).
La terza idea attiene al principio della disobbedienza. Se l’oggetto della legge è immorale, cioè lede la dignità umana o è in aperto confitto con la legge di Dio, ciascuno è obbligato in coscienza a non obbedire.
Dopo questi fondamenti vene la enumerazione dei principi che ordinano la vita economica: la preminenza di un programma economico (è anche questa una grande novità, sorprendente in quei giorni, per la sua modernità); la dignità della persona umana; l’eguaglianza dei diritti di carattere personale; una bene ordinata libertà del singolo, anche in campo economico; la solidarietà, cioè il dovere della collaborazione anche in campo economico; la destinazione primaria dei beni materiali a vantaggio di tutti gli uomini; il lavoro preminente rispetto al capitale; il rispetto dell’esigenza della giustizia distributiva nell’intervento dello Stato; la limitazione della proprietà dei beni non necessari, nella misura occorrente a provvedere al bisogno degli indigenti; un sistema economico che eviti l’arricchimento eccessivo; l’intervento dello Stato richiesto con forza contro i disagi (principio in cui si sente l’influenza di Keynes e di Roosevelt).
È interessante ascoltare il commento di alcuni partecipanti. Secondo Paolo Emilio Taviani il “Codice” è stato l’ispiratore del periodo delle riforme democratico-cristiane: la liberalizzazione degli scambi con l’estero, la politica abitativa (“piano Fanfani-casa“), la questione meridionale (con la istituzione della Cassa per il Mezzogiorno), la riforma agraria, la creazione di enti a partecipazione statale (come l’Eni, l’Efim, l’Iri), le riforme della previdenza sociale, la priorità delle infrastrutture (piano autostradale) e perfino la nazionalizzazione delle fonti di energia (come per l’elettricità, con la nascita dell’Enel).
Secondo Mario Ferrari Aggradi alcune di queste finalità (ad esempio quella della piena occupazione) erano espressamente perseguite dalle partecipazioni statali. Anzi definì queste ultime “lo strumento preferenziale per un intervento pubblico in economia“.
Poche volte nella storia un manifesto (per usare un vocabolo marxista) o un codice (per usare una parola romana che significava pacchetto ben legato di tavolette) ha così fortemente influenzato gli avvenimenti in cosi poco tempo. Le idee del Codice trovarono l’occasione storica di influenzare fortemente la Costituzione negli anni 46-’47 e, subito dopo, contribuirono al “miracolo italiano” per il forte impulso che la impresa pubblica seppe dare alla economia italiana, con grandi rimbrotti di Luigi Sturzo.
Nella Costituzione, in una felice contaminazione fra concetti cristiani e principi socialisti entrò la definizione di persona con i suoi diritti inalienabili che è prioritaria al concetto stesso di Stato e la serie degli articoli fondamentali dedicati ai “diritti inalienabili”. Del resto nella commissione dei 75 vi erano, non a caso, Fanfani, Dossetti, La Pira, Caronia, Angela Gotelli, Mortati assidui nella “comunità del porcellino”, ed anche Moro, Spataro, Taviani, Codacci Pisanelli, Leone cresciuti nella Fuci o nei Laureati cattolici.
Anche il programma del Governo De Gasperi subì l’influenza del programma di Camaldoli, come ha annotato Taviani. Il piano Vanoni, la politica delle partecipazioni statali, l’intervento straordinario nel Mezzogiorno subirono l’influenza di Saraceno e di Baroni, e la politica dell’Eni subì quella di Marcello Boldrini, che si ispiravano esplicitamente ai principi di Camaldoli.
Scrive Piero Barucci (“ La politica economica durante l’epoca democristiana”. 17-11-2011): “La “chiave di volta” per la questione sociale richiedeva forme organizzative dell’economia più complesse e più moderne. Una volta che questa esperienza sostanzialmente accademica trovò il modo di raccordarsi con quella maturata nelle stanze dell’IRI, si ebbe quel prodotto politicamente di grande rilievo che si tradusse nel Codice di Camaldoli. E’ attraverso quel documento ed il colloquio fra F. Vito, A. Fanfani, P.E. Taviani, S. Paronetto, P. Saraceno che fu elaborata quella che è stata una soluzione di stampo ideologico, ovvero la proposta della “economia mista” all’interno di una visione solidaristica della vita economica”.
La “proposta della economia mista all’interno di una visione solidaristica portò l’Italia ad un periodo di sviluppo e di crescita fra i più importanti della sua storia.
Quelli che fecero il codice di Camaldoli furono una buona squadra, capace di guardare il futuro. Fecero molta strada e fu dato loro di servire utilmente la loro Patria. Ma niente di tutto questo sarebbe successo se non ci fossero stati due giovani a cui non fu concesso di raggiungere la “terra promessa”.
Il primo l’indefettibile Igino Righetti, un giovane che con una Casa Editrice ed una Associazione era riuscito ad educare una classe dirigente. Oggi nessuno sa chi fosse.
Il secondo, Sergio Paronetto, l’estensore del Codice di Camaldoli, a cui toccò di lasciare il convegno in anticipo perchè il giorno dopo si doveva sposare. Morti ambedue alla età di 34 anni.
E con loro “la Signorina” Armida Barelli, la “ sorella maggiore” di una folla di ragazze del popolo, per lo più contadine, forse analfabete, che avevano raccolto, soldino su soldino, i milioni per la loro Università. Le ragazze a cui Armida Barelli avrebbe parlato della “nostra Costituzione”. E non voleva intendere nostra , di noi italiani, ma “nostra di loro” ragazze, madri della loro Università Cattolica, che non a caso vollero chiamare, contro tutti, compresi Padre Gemelli ed il Papa, del “Sacro Cuore”.