“Sinceramente, prima di arrivare all’Expo non sapevo cosa aspettarmi. A Milano facevano pubblicità dappertutto: in Piazza Duomo con le bandiere, addirittura nei Bar con le bustine dello zucchero…“ Mara, ma non solo lei, era un po‘ sconcertata dalla quantità e diversità dei media utilizzati per comunicare, in fondo, un solo concetto: l’EXPO vi aspetta. Ma nonostante l’insistenza e la quantità delle informazioni fornite, non prendeva forma un vero paesaggio dell’EXPO, il tutto rimaneva un po’ nebuloso. La maggior parte delle ragazze e dei ragazzi del gruppo non riusciva a immaginare come sarebbe stato questo posto strano dove si ritrovavano tanti paesi diversi per presentare se stessi sotto il motto del “cibo per il mondo”. Poi la corsa in metropolitana, la massa di gente che si riversava come un fiume in piena verso gli ingressi… “Quando siamo entrati nell’Expo ero molto sorpresa – dice Mara – non me lo aspettavo affatto così: non è grande, è gigante, è bellissimo…“
Ma facciamo un passo indietro. Intanto, il gruppo su menzionato è formato da ragazze e ragazzi del Liceo Linguistico Italo Svevo di Colonia (l’unica scuola superiore italiana in Germania). Il gruppo è misto, vi appartengono alunne e alunni del quarto e quinto anno. Tutti hanno avuto nel programma di studio la tematica della nutrizione: sotto il profilo biologico, della salute ed etico. Inoltre le alunne e gli alunni del quarto anno hanno partecipato a un concorso per le scuole, indetto dal ministero italiano nell’ambito dell’EXPO, ed hanno presentato un lavoro a titolo “Alles Bio oder was? Italia e Germania a confronto”. Cosa c’era quindi di più logico, che andare in visita all’EXPO, toccarlo con mano e sentirsi parte attiva del progetto complessivo?
Così si decide di partire per Milano – e inizia l’odissea dei biglietti. Un’organizzazione a dir poco deprimente: la prenotazione dei biglietti a costo ridotto per le scuole si fa attraverso il sito dell’EXPO, ma l’operatore che si sarebbe dovuto mettere in contatto per definire il pagamento non si fa sentire. Al telefono nessuno è in grado di dare indicazioni utili. Poi, due giorni prima della partenza, ecco la geniale comunicazione: andate direttamente alla cassa e vedete un po’ voi… Mille grazie, Italia nostra. Per fortuna alla cassa c’è un’operatrice in gamba che ci fa i biglietti con un bel sorriso, così possiamo entrare.
“L’atmosfera era emozionante, nel senso che trovarsi in mezzo a culture così diverse in un solo posto era una sensazione straordinaria e soprattutto unica, – confessa Elisabetta – così mi sono lasciata guidare da quello che vedevo e sentivo, perché ogni posto offriva qualcosa di trascinante a modo suo: colori, odori, gusti…” La prima impressione, entrando, non è solo positiva. Un’occhiata panoramica ci lascia un po’ inorridire: le insegne più evidenti sono quelle delle grandi ditte, delle multinazionali… ma il motto dell’EXPO non era „Feeding the Planet, Energy for Life“? E che c’entrano con questo i vari McDonald’s, Eataly, CocaCola e simili?
OK, forse abbiamo una visione un po’ troppo purista della cosa, la realtà è che purtroppo senza questi sponsor l’EXPO probabilmente non sarebbe possibile. Comunque, passato il piccolo shock delle insegne, ecco che iniziano le prime esperienze. I padiglioni sono diversissimi tra loro, sia nel concetto che nella realizzazione architettonica. Alcuni sono sobri e di semplice fattura, si nota subito che si tratta di paesi che non hanno lunga esperienza (o se volete non abbastanza soldi) di presenze in fiere internazionali. Altri sono enormi e complicati. E qui le strade si dividono. Il padiglione dell’Italia è uno dei più grandi e dei più deludenti. L’architettura esterna e la massa di gente che cerca di entrare (per accedere si fa una fila di quasi due ore) porta le aspettative alle stelle. Poi, la realtà: la stanza dei personaggi che raccontano il loro contributo al mondo dell’alimentazione è informativa, ci sono un paio di belle stanze a specchio, qualche paesaggio interessante con piante aromatiche, ma in complesso l’enorme quantità di scale e corridoi spogli fa scuotere la testa.
Molto diverso, invece, il padiglione della Germania. Anche qui, per accedervi, occorre molta pazienza, ma le aspettative vengono poi addirittura sopraffatte dalla realtà. “Ci hanno dato una specie di Tablet, facilissimo da usare, si poteva scegliere la lingua, e ci guidava durante il percorso. Ci hanno spiegato – racconta Denise – cos’è importante per preservare l’ambiente, per esempio la sostenibilità dei sistemi idrici, la rotazione delle colture e quello a cui dovremmo stare attenti per la nostra spesa quotidiana. Abbiamo imparato tantissimo e ci siamo pure divertiti!” Alcuni padiglioni usano il sistema della fila continua, così si entra velocemente. Per esempio quello dell’Iran, che crea un’atmosfera d’incanto giocando sugli odori di migliaia di piante aromatiche. In altri le complesse video sculture raccontano storie d’integrazione sociale e di lotta per una produzione agricola sostenibile.
Altri stand sono dedicati a tematiche specifiche, come quello della Gran Bretagna, che mette in primo piano l’operato delle api offrendo dei veri e propri percorsi da sperimentare. Alcuni paesi si concentrano sulla presentazione di se stessi, con più o meno successo. Per esempio la Spagna, pur offrendo un percorso abbastanza interessante attraverso la propria cultura agroalimentare, spende ben poche parole sul concetto di biologico e di sostenibilità delle produzioni. Mentre altri padiglioni sono invece dei veri concentrati di emozioni, come fa rilevare Elisabetta: “Quando entravo nelle costruzioni di questi stati, pensavo davvero di essere nel loro paese e vedevo la loro cultura.” Ma l’EXPO non è solo esposizione, ci sono gli eventi e gli show, come quello dell’Albero della vita. Questa l’esperienza Gianluca: “Lo show, che si ripete durante tutta la giornata, arriva al culmine in serata: la sincronia delle luci, della musica e dei giochi d’acqua è perfetta. È come se l’albero riunisse in se tutte le nazioni e desse la speranza di un mondo migliore. In quel momento non esistevano più problemi, c’era solo quell’unico, fantastico pensiero che raccoglieva tante speranze.”
L’Expo come polo di speranze per l’umanità? Forse un’aspettativa un po’ troppo grande, ma chissà. In ogni caso l’esperienza per le ragazze e per i ragazzi dell’Italo Svevo è stata sicuramente positiva. “Quello che mi ha colpito di più in generale – riassume Elisabetta – è che pur provenendo da paesi completamente diversi, si è creato un senso dello stare insieme, dello scoprire insieme in una maniera semplice e armoniosa. Secondo me è sano sapersi aprire e poter confrontare la propria cultura e le proprie tradizioni con quelle degli altri. Così ampliamo anche la nostra conoscenza personale del mondo e quindi di noi stessi.”