Il 20 dicembre 1955 Italia e Germania firmavano a Roma il primo accordo per l’invio di manodopera italiana in Germania.
Quell’accordo “Anwerbevertrag” ancora oggi viene considerato l’atto ufficiale di nascita del fenomeno migratorio verso la Germania, dove oggi risiedono ufficialmente circa 700.000 italiani.
Per ricordare questo avvenimento, 60 anni dopo, abbiamo chiesto ai figli degli emigranti di narrare la propria storia. Di come hanno vissuto loro l’emigrazione, l’insediamento a scuola, le amicizie tedesche ecc… Le lettere ricevute qui in redazione sono molte, belle e interessanti e in questa edizione speciale del Corriere d’Italia ne pubblichiamo alcune.
In occasione del 60° anniversario, varie sono le manifestazioni che si sono tenute e terranno per ricordare l’avvenimento.
Amburgo – In collaborazione con il MAIE (Movimento Associativo Italiani all’Estero), la Fondazione Migrantes ed il Patronato EPAS si è tenuta presso la Missione Cattolica alla fine di Ottobre un Convegno sul tema: “La cultura dell’Emigrazione italiana nel mondo” La nuova emigrazione italiana in Germania: Oppurtinità e rischi.
Stuttgart – Le Acli-Germania, assieme a KAB e Fondazione Migrantes, hanno promosso presso l’Accademia di Stuttgart/Hohenheim una duplice manifestazione per celebrare l’avvenimento: venerdì sera 18 dicembre 2015 una cerimonia commemorativa con diverse autorità politiche e religiose; sabato 19 dicembre un Simposio sull’emigrazione italiana in Germania.
Colonia – Martedì 15 dicembre si terrà alle ore 19.00 al Domforum (prprio davanti al duomo, la manifestazione finale dedicata ai 60 anni di presenza italiana in germania: “Emigrazione 2.0. Da Gastarbeitern a Brain-Drain”.
Questo solo per citarne alcuni
Ma fondamentalmente quale è stato l’apporto tra le due nazioni con la firma di tale accordo?
Le trattative che condussero alla firma di tale accordo furono il frutto sia di esigenze nazionali, sia di istanze internazionali. Il flusso emigratorio che ne scaturì fu influenzato, a sua volta, dalla progressiva entrata in vigore della libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità economica europea, e dall’andamento economico registrato nelle nazioni coinvolte.
La prima fase dell’emigrazione diretta verso la Germania federale fu definita “assistita” poiché pianificata a livello istituzionale e organizzata attraverso i Centri di emigrazione.
La seconda fase dell’emigrazione fu caratterizzata della libera circolazione dei lavoratori e da forme di reclutamento indipendenti dalla mediazione dei Centri di emigrazione. I lavoratori italiani trovarono lavoro recandosi direttamente all’estero. Le trattative che condussero alla firma dell’accordo bilaterale italo-tedesco si possono far risalire all’ottobre del 1953, quando il governo italiano chiese al governo tedesco di occupare lavoratori stagionali italiani a causa della diminuzione costante delle importazioni italiane da parte tedesca. La discussione sul saldo negativo dei pagamenti e sul reclutamento della manodopera caratterizzò i rapporti economici italo-tedeschi per tutto il 1954. L’apice si raggiunse a luglio, quando l’Italia, davanti alla reticenza tedesca, minacciò di “tornare ad una politica commerciale restrittiva se gli altri stati non fossero stati disposti ad un’attuazione liberale dell’assunzione di manodopera”. Alla richiesta italiana, però, Bernhard Ehmke (dirigente del ministero federale del lavoro) rispose chiaramente che il bisogno di manodopera nella Repubblica federale tedesca poteva «ancora essere soddisfatto con quella locale» e rifiutava i “legami contrattuali” con l’Italia perché li riteneva prematuri. Le forti interdipendenze esistenti tra l’Italia e la Germania federale erano il frutto della ricostruzione economica post-bellica che ponendo le esportazioni al centro della rinascita economica europea, si basava sulla liberalizzazione del commercio estero.
Il progetto di un’Europa economicamente integrata, progetto che, come afferma lo storico Charles Maier, era rimasto parzialmente irrealizzato, era stato il progetto degli Stati Uniti di Truman che, con il piano Marshall, aveva proposto alle nazioni europee un piano di crescita economica comune. Gli Stati Uniti pensavano all’Europa come a una “regione”, dove ogni nazione avrebbe dovuto ricoprire ruoli funzionalmente interdipendenti dettati dalla propria storia e dalle proprie risorse. Il compito degli Stati Uniti sarebbe stato quello di attivare un meccanismo “self help adatto a rimettere in moto la spina al recupero di produttività”. La crescita economica avrebbe garantito la stabilità politica e la pace sociale dell’Europa e sarebbe stata l’unico antidoto sia contro i partiti comunisti, forti soprattutto in Francia e in Italia, sia contro il pericolo sovietico. Da sottolineare il valore principalmente politico assunto dagli aiuti economici americani tanto da affermare che “gli aiuti americani furono politicamente decisivi alla ricostruzione europea”.
Gli Stati Uniti individuavano, nel recupero politico ed economico della Germania occidentale, la condizione necessaria e indispensabile per la rinascita economica europea, e contemporaneamente ne facevano il baluardo della loro politica di contenimento. Se da un lato, infatti, alla Germania federale con il suo carbone e con le sue capacità tecniche veniva riconosciuto il ruolo trainante per la ripresa economica del continente, dall’altro lo scivolamento della Germania occidentale nell’area comunista avrebbe potuto significare la perdita dell’Europa. Questa storia di cui parliamo è stata una storia di straordinario successo che è lì a dimostrare quello che possiamo fare insieme e soprattutto il metodo con cui possiamo gestire anziché subire le grandi questioni come quella dell’immigrazione.
Già al tempo dell’intesa del 1955 le due giovani democrazie italiana e tedesca avevano compreso la possibilità di ottenere dalla cooperazione reciproca e dall’integrazione europea nuove opportunità, come i temi della solidarietà europea, della piena occupazione e del progresso economico e sociale, che anche oggi vengono perseguiti dai governi italiano e tedesco. A sessant’anni da quell’accordo si può dire che oggi comincia ad esserci al governo dei paesi europei una “generazione Erasmus” che conosce i vantaggi che l’Europa ci porta. Oggi più che mai sappiamo cosa vuol dire essere o non essere in Europa e come i nostri interessi e valori siano tutelati meglio in una Unione Europea, anche se imperfetta, piuttosto che in assenza di tale struttura. Lavorare dunque per accelerare il rilancio politico dell’Europa che passa innanzitutto dall’affrontare in maniera molto più convinta la grande sfida dell’immigrazione che deve avvenire nel pieno rispetto dello stato di diritto e dei diritti fondamentali della persona. Valori, quest’ultimi, che, al fine di rilanciare il processo politico di integrazione europea, vanno portati avanti insieme al completamento della costruzione economica e sociale dell’Europa.
Foto: Bundesstadtarchiv. 1955 Emigranti italiani
Come già accennato nell’edizione di settembre u.s. nel 2016 pubblicheremo il volume “Quando i miei vennero in Germania” con tutte le lettere arrivate in redazione. Chi ha interesse a partecipare può continuare a spedire la propria storia qui in redazione:
Corriere d’Italia – Mainzer Land Str. 164 – 60327 Frankfurt oppure via e-mail: redazione@corritalia.de.
Entro la fine di marzo 2016.