Perché quando le istituzioni scolastiche o universitarie della Germania decidono di ridurre i costi, a farne le spese è sempre l’italiano? L’ultimo caso clamoroso è quello di Saarbrücken: l’università si è vista ridurre il budget del 20% dal governo regionale e anziché “spalmare” la riduzione su tutte le facoltà e gli insegnamenti, ha pensato bene di “punire” l’italianistica. E pensare che nel Saarland vivono circa 20mila italiani, la comunità etnica più grande, e che gli studi sulla lingua e letteratura italiana in quell’ateneo hanno una grande tradizione e indiscusso prestigio internazionale.
Quando nel 2006 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in visita ufficiale a Berlino volle incontrare i docenti d’italiano delle università tedesche, premiò il prof. Max Pfister dell’ateneo di Saarbrücken, fondatore del LEI, il Lessico Etimologico Italiano, una delle più importanti imprese scientifiche legate allo studio dell’italiano. E non si dimentichi che l’Italia per anni ha finanziato l’università di Saarbrücken mettendo a disposizione un lettore di ruolo, cioè pagato con denaro pubblico. Con quale risultato, se ora i corsi di italiano chiuderanno?
Per saperne di più il “Corriere d’Italia” ha incontrato Livia Novi, da 25 anni in Germania, specializzata in Didattica dell’Italiano come Lingua Straniera, e soprattutto direttrice del Dipartimento di lingue romanze della Volkshochschule di Monaco di Baviera (la più grande istituzione per la formazione di adulti in Europa), nonché presidente dell’ADI, l’«Associazione dei Docenti d’Italiano in Germania» che si è energicamente attivata contro la chiusura dell’italianistica a Saarbrücken.
In seguito alla decisione del governo regionale del Saarland di tagliare del 20% il budget dell’università, lo scorso luglio era stata annunciata la soppressione del corso di studi d’italiano per il Lehramt che abilita all’insegnamento nelle scuole. Il 3 dicembre scorso, invece, è stato annunciato il taglio di tutti i corsi di studi dell’italiano a tutti i livelli: Bachelor e Master nelle filologie delle lingue romanze, nonché i corsi di laurea in Linguistica e Letteratura comparata e Traduzione. La riduzione dei costi quindi non colpisce in orizzontale un po’ tutte le facoltà, ma in verticale una sola facoltà che, di fatto, cesserebbe di esistere.
Probabilmente la decisione dipende da motivi strutturali: infatti gli ordinari delle cattedre dell’italianistica andranno a breve in pensione e queste semplicemente non verranno rimesse a concorso. Si usano quindi “motivi biologici” per risolvere un problema di costi.
Da una parte c’è il dato di fatto che il sistema Italia, come si usa dire nel linguaggio ministeriale, è esso stesso vittima di tagli che vanno a colpire anche l’insegnamento dell’italiano all’estero: negli ultimi anni è stato drasticamente ridotto il numero di lettori di ruolo mandati dal MAE in missione all’estero. Dall’altra, pesa sulla diffusione dell’italiano come lingua straniera la sua poca spendibilità nel mondo del lavoro.
Nel cosiddetto “mercato europeo delle lingue” di oggi l’italiano si è posizionato come terza/quarta lingua straniera (dopo inglese e spagnolo) in concorrenza con il francese e il tedesco. Per riuscire a mantenere questa posizione e magari consolidarla (in ambito professionale anche in virtù degli scambi commerciali tra l’Italia e gli altri paesi europei, in primis la Germania) sarebbero necessari interventi di sostegno all’insegnamento, per esempio attraverso accordi culturali di scambio delle scuole e delle università. La politica linguistica delle istituzioni italiane non tiene conto del pericolo di una costante diminuzione della richiesta di corsi d’italiano, anche per la concorrenza di altre lingue e di altri paesi come mete turistiche, e finisce con il penalizzare quanto raggiunto in questo ambito a livello europeo (e soprattutto in Germania).
L’insegnamento della lingua italiana è ancora vitale nelle istituzioni in cui lo studio della lingua non nasce tanto da una motivazione estrinseca (per motivi professionali), ma soprattutto da una motivazione intrinseca, cioè l’interesse per il paese, per la sua storia, la sua cultura o interessi personali per chi è di origine italiana e vuole riscoprire una parte della propria identità. In queste istituzioni come per esempio le Volkshochschulen o i Centri linguistici interfacoltà degli atenei l’italiano è una lingua richiesta e studiata. Viceversa, nelle istituzioni in cui l’offerta formativa per l’italiano prevede piani di studio che qualifichino anche per il mercato del lavoro, quindi nelle scuole e nei dipartimenti universitari, l’italiano è in discesa e sembra essere una lingua non più così “attraente”.
C’è in effetti un’evidente disparità geografica. Se in Baviera l’italiano ancora “tiene” in tutte le istituzioni grazie alla vicinanza all’Italia e all’italofilia dei bavaresi, nelle zone più a nord della Germania, l’italiano è sicuramente in fase recessiva. Nel Nord Reno-Vestfalia, per esempio, molte cattedre degli insegnanti di italiano che vanno in pensione vengono rimesse a concorso per lo spagnolo o vengono soppresse.
L’ADI è un’associazione nata nel 2010 che si prefigge di rappresentare gli interessi dei docenti che insegnano lingua e cultura italiana in tutte le istituzioni preposte alla formazione: scuole di primo e secondo grado, università e formazione per adulti. L’ADI vuole essere un luogo “virtuale” d’incontro e di scambio tra docenti per “fare rete” tra di loro, per formarsi insieme e per informarsi sulle diverse situazioni d’insegnamento. Virtuale perché non ha una sede ufficiale, ma solo un sito e si incontra nei workshop e convegni di didattica che organizza in varie località della Germania. L’ADI cerca di essere anche un punto d’arrivo e di partenza per le istanze politiche ed istituzionali che riguardano l’italiano e per questo interviene in situazioni come quella attuale dell’università di Saarbrücken in cui è minacciata in modo concreto la diffusione dell’insegnamento della lingua e cultura italiana.