Circa 2 milioni e mezzo di persone, per lo più contadini e le loro famiglie, vivono del raccolto di oppio. Ma i coltivatori sono solo il primo tassello e il più povero di un mercato che vale miliardi di dollari. In Afghanistan rappresenta la metà del bilancio dello Stato. Lo scorso marzo, durante una conferenza a Bruxelles, il portavoce della Nato James Apparthurai ha rifiutato i suggerimenti del direttore del Servizio russo contro il narcotraffico Viktor Ivanov (vedi intervento nella pagina a fianco) che chiede la distruzione dei campi di oppio. Russia, Iran e Pakistan rappresentano le prime tappe della droga.
Dubai, Quetta (Pakistan) e qualche altra città del centr’Asia sono le capitali finanziare, dove i soldi vengono spostati con l’Hawala (un metodo veloce, che non fa rintracciare i clienti e una rete di dealer che permettono che il denaro si trasferisca ma non si sposti). Una volta Russia e Pakistan erano le nazioni dove l’oppio veniva raffinato, ora l’Afghanistan è più organizzato, gli elementi chimici necessari vengono fatti entrare di contrabbando, la pianta viene raffinata e trasformata in eroina. Poi viene stoccata (si parla di una riserva afgana che può soddisfare il "bisogno" mondiale per due anni) e trasferita. Via terra con camion, carri, cammelli attraverso confini che sono ovunque permeabili, perché incontrollabili: solo tra Iran e Afghanistan ci sono 900 chilometri di frontiera comune. Da questi paesi poi via nave o aereo raggiungono le loro destinazioni principali, l’Asia e l’Europa. Il mercato annuale dell’oppio vale 65 miliardi di dollari.
Negli ultimi due anni le Nazioni Unite hanno registrato un calo della produzione nelle regioni dove ci sono state numerose operazioni della Dea americana con un’ottantina d’agenti che si muovono sganciati dai contingenti, ma soprattutto dove è più solida la presenza dello Stato afgano (che spesso però sostiene il traffico di droga). I militari inglesi hanno richiesto la rimozione di governatori locali, sindaci, amministratori, nonché del fratello del presidente di Karzai, considerato il capo del cartello della droga nella provincia di Helmand. Negli ultimi anni, come scrive Viktor Ivanov su L’Espresso del 18 giugno, negli ultimi anni l’eroina ha travolto la Russia come uno tsunami silenzioso ed oggi essa è la più grande consumatrice mondiale di stupefacenti: in Russia ci sono ben 2.500.000 tossicodipendenti ed ogni muoiono 30 mila consumatori per droga, mentre altri 80 mila provano stupefacenti per la prima volta.
La maggior parte dei tossicodipendenti ha un’età compresa tra i 18 e i 39 anni. I paesi della Nato sanno bene quale sia il costo del traffico di droga, ma non su questa scala. Il numero di tossicodipendenti in Europa e Usa è nell’ordine delle centinaia di migliaia, non di milioni come in Russia. La Russia ha portato avanti un aggressivo programma di lotta alla droga a livello nazionale: 91 mila persone sono state condannate per reati di droga e i sequestri di droga sono aumentati. Ma i confini porosi con l’Asia centrale, attraverso cui l’eroina afgana arriva in Russia, sono un ostacolo insormontabile. L’unico modo realistico di affrontare il problema è di andare alla fonte: l’Afghanistan.
La Nato ha finora giustificato il suo approccio soft al commercio di droga con l’argomento che sradicare le colture di papavero metterà a rischio la sopravvivenza degli afgani, spingendoli nelle braccia dei talebani. Dobbiamo individuare quali siano le alternative per i contadini con le quali produrre reddito legalmente, ma intanto è illogico e pericoloso consentire che la produzione di droga prosegua. La Russia ha ripetutamente dichiarato la sua disponibilità a prendere parte a forme di cooperazione internazionale efficaci nella lotta contro questo flagello, ma ha trovato, sin’ora, tutte le porte chiuse.
Il Wall Street Journal, un paio di giorni fa, titolava un pezzo “Vale davvero la pena combattere il narcotraffico?” e portava a sostegno della inquietante domanda, alcuni dati. Se veramennte si estirpasse il narcotraffico, automaticamente la Bolivia perderebbe il 16% del PIL. Il Messico uno spaventoso 47%. la California, la Florida, il New Messico, 9%, molte delle banche californiane (che non hanno avuto problemi con la crisi in corso per l’enorme liquidità) andrebbero in crisi. Inoltre, tre regioni del Sud Italia (crocevia di smercio per l’Europa) avrebbero una ricaduta economica del 20%; mancherebbe liquidità, mancherebbe l’aiuto economico alle famiglie dei carcerati a cui ora l’organizzazione provvede , mettendo sul lastrico migliaia di famiglie di cui questo è l’unico sostentamento. Mancherebbe liquidità nelle banche olandesi. Sarebbe una crisi spaventosa in un momento nero della finanza mondiale. Per questo si fa finta di combattere il narcotraffico, sbattendo dentro il mentecatto tossico e si chiudono entrambi gli occhi sul resto.
La Nato, da una parte non risponde all’appello della Russia sulla droga e dalla’altro (la notizia è di questi giorni), chiede aiuto per l’invio di istruttori militari e di materiale bellico a Kabul, in una guerra senza fine e che, anche sul campo, sta perdendo. La minaccia di un Afghanistan totalmente fuori controllo è tale da mettere in secondo piano questioni come l’allargamento ad est dell’Alleanza, che andranno comunque affrontate facendo rivivere lo “spirito di Pratica di Mare” inaugurato dal governo Berlusconi già nel 2002 con il primo summit Nato-Russia della storia, basato non solo su vantaggi economici e strategie m monetarie, ma su scelte anche civili che significano la vita per milioni di persone in tutto il mondo.