In Germania la ristorazione italiana gestita da ex-emigrati, pressoché sistematicamente ignorata dalle istituzioni, ha perso da qualche tempo lo slancio iniziale, mentre gli investitori italiani non hanno saputo cogliere in tempo le opportunità che il grande mercato tedesco continuava a offrire. Sono passati ormai quasi quindici anni da quando “Vapiano” ha aperto in Germania i primi ristoranti con cucina italiana, una moderna alternativa ai ristoranti che gli emigrati italiani avevano incominciato ad aprile dal 1961 – l’anno in cui sorse il muro di Berlino. La diffusione di “Vapiano” e delle altre simili iniziative tedesche nel settore della gastronomia tedesca non è casuale e nasce dal fatto che i ristoranti, le trattorie e le pizzerie aperte dagli emigrati italiani dopo i successi dei primi decenni di attività hanno progressivamente deluso le aspettative. Lo stimolo iniziale si è affievolito sull’onda di un malinteso adeguamento delle originali ricette al gusto locale che sarebbe stato bene, invece, evitare. Molti ristoranti italiani, inoltre, sono stati nel frattempo venduti a imprenditori delle più disparate nazionalità. Massimo Mannozzi del ristorante “Bacco” di Berlino, ex presidente dell’associazione “Ciao Italia”, sostiene che del migliaio dei ristoranti italiani nella capitale tedesca soltanto duecento, massimo trecento, sono effettivamente italiani. Gli altri fanno finta di esserlo e si guardano bene dal cambiare il nome italiano del ristorante, considerato un’irrinunciabile garanzia per un solido fatturato. C’è da dire anche che i nostri ristoratori non hanno saputo adeguare il modello del pranzo tradizionale italiano alle esigenze di una moderna alimentazione. Per capire bene dove i nostri emigrati/ ristoratori hanno sbagliato è sufficiente andare a vedere quanti giovani di mezzogiorno e di sera si accalcano nei ristoranti di Vapiano e de L’Osteria.
Il primo ristorante Vapiano fu aperto nel 2002 ad Amburgo dall’imprenditore Gregor Gerlach e fu subito seguito da molti altri ristoranti in tutte le grandi città tedesche e anche in Gran Bretagna, negli USA e in Australia. Vapiano è per il momento presente in 31 Paesi grazie anche all’apporto finanziario di Guenter Herz , erede del Caffè Tchibo, il quale nel 2011 acquisì una partecipazione del 44 per cento in Vapiano, una catena che oggi gestisce complessivamente oltre 160 ristoranti, di cui 68 in Germania. I ristoranti avrebbero dovuto crescere quest’anno fino a 250 e però ciò non si è verificato anche perché Kent Hahne, uno dei soci fondatori di Vapiano, ha preferito andarsene per conto suo aprendo un’altra catena di ristoranti che con il nome di “L’Osteria” è divenuta nel frattempo un’impresa affermata e un serio concorrente per Vapiano. Altre iniziative basate sull’offerta di cucina italiana sono la catena di ristoranti “XII Apostoli”, che qualcuno dice controllata dalla setta religiosa Sciencetoly, quella dei ristoranti “Tialini” di proprietà di Wendelin Wiederking, ex-manager della Porsche, quella a capitale misto tedesco-spagnolo “La Tagliatella” e ultimi in termini di tempo i due ristoranti “Buster Pasta” che l’ex pornostar Dolly Buster ha aperto recentemente nel cuore commerciale delle due grandi città tedesche, Francoforte sul Meno e Düsseldorf.
A Francoforte il ristorante “Buster Pasta” si trova nella Konstablerwache, mentre a Düsseldorf l’ex-pornostar ne ha aperto uno nella Schadowstrasse proprio di fronte ai magazzini Karstadt e a un centinaio di metri dal Kaufhof e dai magazzini C&A. Chi entra in quest’ultimo con una capacità attorno a cento posti resta subito sorpreso dal moderno ambiente, funzionale e arredato con semplicità, buon gusto e sobrietà. Il menù è un quadrato laminato che elenca una decina d’insalate, una quindicina di pizze e una ventina di piatti di pasta e vari sandwich. Tutti piatti sotto i dieci euro. Per ordinare, dopo aver occupato un tavolo, si va alla cassa e una volta pagato si riceve un numero da porre ben visibile sul proprio tavolo. la clientela è quella che potete incontrare giornalmente nei grandi magazzini nel centro di una grande città. Molti i clienti, per la maggior parte donne, con la borsa degli acquisti appena fatti. Le pizze partono dai 4,90 euro della Margherita per arrivare fino a un massimo di 8,40 euro per la “Dolly pizza” o, sempre per lo stesso prezzo, della pizza con frutti di mare. Per quanto riguarda i piatti di pasta si parte dai 4,90 euro per una “Spaghetti Napoli” con pomodori freschi, mozzarella e basilico fresco ( purtroppo anche in questo caso, con l’immancabile spolverata di parmigiano che agli occhi del consumatore tedesco fa evidentemente molto italiano anche se poi certi piatti finisce per rovinarli). I piatti di pasta arrivano fino a un massimo di 8,40 euro per una superpiccante pasta alla Buster. Il team del personale di servizio al banco e ai tavoli è formato da giovani donne tutte piuttosto carine e professionalmente molto svelte e corrette, per dirla alla tedesca “sachlich”, segno evidente che l’ordine di servizio da rispettare è quello di essere “gentili ma di evitare assolutamente confidenze con la clientela!”. Se andate di fretta e vi accontentate di una pizza, potete essere certi di non commettere un’imprudenza: almeno quelle nelle versioni più tradizionali si presentano molto bene e sono davvero ottime. Preparate dai pizzaioli di “Buster Pasta” che almeno da ciò che si può giudicare attraverso l’ampia apertura della cucina sono italiani. Si dice che Dolly Buster, 49 anni, nata nella Repubblica ceca, abbia il carattere di una perfezionista che quando decide di fare qualcosa lo fa col cuore, con l’anima e con tutto quello che d’altro ci vuole. Dolly Buster era alla ricerca di qualcosa in cui investire il denaro guadagnato col porno e i due ristoranti nella Schadowstrasse di Dusseldorf e nella Konstablerwache di Francoforte cosi come sono gestiti danno l’impressione di essere due piccole miniere d’oro. Gli esperti che hanno consigliato Dolly Buster nella realizzazione dei suoi due ristoranti hanno evidentemente valorizzato al massimo le precedenti esperienze che Vapiano ma soprattutto L’Osteria hanno fatto in precedenza con la cucina italiana.
Il modello realizzato da Dolly Buster è proprio quello che nessun investitore italiano è stato sinora capace di realizzare in Germania, nonostante che l’ingresso sul mercato di Vapiano nel 2002 sia stato un inequivocabile segnale che avrebbe dovuto mettere in allerta i ristoranti italiani, lasciati sostanzialmente soli dalle nostre istituzioni. Le conclusioni sono due: o gli investitori italiani hanno avuto paura delle difficoltà che avrebbero potuto incontrare sul mercato tedesco, effettivamente non facile, oppure essi hanno commesso l’errore di concludere che “tanto ci sono già i nostri emigrati che ci pensano”. Alludo a investitori del calibro di Oscar Farinetti, il patron di Eataly, tanto per cominciare, per poi scendere fino ad arrivare a un tipo d’investitore come la popolare presentatrice della televisione italiana Antonella Clerici, la quale due settimane fa ha inaugurato nel centro commerciale di Marcianise in provincia di Caserta il suo primo mercato/ ristorante presentandolo come “un format nuovo d’ispirazione anglosassone ma con il cuore italiano”.
Parlando di ristorazione, confesso che c’è una cosa non ho ancora capito bene e cioè se il governo di Roma quando parla del fenomeno del “italian sounding”, oltre che alla produzione e alla commercializzazione di prodotti venduti scorrettamente come autentici, si riferisca anche all’attività della ristorazione con ricette italiane esercitata da imprese con capitale straniero. Lo dico perché secondo me gli imprenditori tedeschi quando decidono di far soldi con la cucina italiana, in fatto di qualità e di autenticità delle materie prime sono più attenti degli stessi ristoratori italiani. Molti dei quali, anche se ultimamente qualcosa è cambiato, spesso partono dal presupposto che “tanto i tedeschi in fatto di cucina italiana non capiscono niente”. Per finire, è indiscutibile che i danni causati alla nostra economia dei generi alimentari dall’imitazione dei nostri prodotti vada assolutamente combattuta. Il governo afferma che due prodotti alimentari su tre commercializzati all’estero sono solo apparentemente italiani, per un valore stimato in circa 54 miliardi di euro, pari al doppio del valore delle esportazioni italiane del settore. Diverso, invece, è il discorso quando si sposta sulle catene dei ristoranti tedesche che offrono cucina italiana, perché in questo caso la loro attività, secondo alcuni sereni esperti, non avrebbe altro risultato se non quello di sottolineare la superiorità della nostra cucina e della nostra produzione alimentare. Semmai il problema sarebbe di capire se gli imprenditori e i politici italiani abbiano effettivamente la capacità di capitalizzare il vantaggio offerto da tanti gratuiti promotori stranieri del “made in Italy”.