Lei da dieci anni è coordinatore dell’Intercomites Germania. Come giudica questo periodo?
È stato un periodo a tratti anche entusiasmante, ma nel corso degli anni i Comites hanno perso peso nei confronti dell’Amministrazione, e molto spesso abbiamo avuto l’impressione di essere inascoltati. Questo vale, credo, per tutto il sistema di rappresentanze così come si è costruito in questi anni, compreso naturalmente il Cgie, e forse anche per la rappresentanza parlamentare. La responsabilità va soprattutto all’Amministrazione, ma bisogna riconoscere anche tra noi è spesso mancata l’unità e la volontà di portare avanti sempre e comunque una politica unitaria. Parallelamente è diminuito l’interesse degli italiani per la nostra attività, e perfino per la nostra presenza.
Quali sono le responsabilità dell’Amministrazione?
Ha lavorato per anni insieme alla politica per diminuire la rappresentatività dei Comites: ad ultimo con questa nuova riforma della normativa del voto. Il connazionale, per chiedere di votare, dovrà fare una fotocopia del passaporto o della carta d’identità. Una follia. Gli italiani votavano poco prima, quando la scheda la ricevevano a casa, figuriamoci ora. Questo sarà il pretesto ultimo per eliminare completamente le rappresentanze sul territorio. Quando si vedrà che vanno a votare in pochissimi, si potrà dire che gli italiani stessi le rappresentanze non le vogliono. Quindi il gioco sarà fatto. C’è stata una volontà dell’Amministrazione, anno dopo anno, di diminuire l’influenza e il potere dei Comites, e in questo essa è stata spalleggiata dalla politica, governo dopo governo.
E il vostro rapporto con i consoli?
Si è deteriorato man mano. All’inizio ci sostenevano nelle iniziative più importanti. Qui a Francoforte, ad esempio, abbiamo fatto convegni e manifestazioni importanti; ricordo per tutti La pagella d’oro. Però man mano si sentiva che la copertura veniva meno e che ci si doveva guardare non soltanto davanti ma anche alle spalle. A qual punto era chiaro che andare avanti diventava sempre più difficile. Il nostro potere era soltanto quello di dare dei pareri, ma poi i consoli facevano quello che volevano.
E gli eletti all’estero al Parlamento?
C’è chi ha detto che i parlamentari eletti all’estero non servono a niente. È un’opinione forse esagerata, ma una parte di verità, dentro, c’è. In pochi si sono datti da fare. Per lo più venivano a fare passerella durante le riunioni per mostrare di saper parlare. Ma, a parte questo, molto altro non si è visto. Certo, si può anche aggiungere che tanto potere non l’avevano neppure loro, ma almeno potevano creare un’unità di intenti nell’interesse della comunità. Questo non si è fatto. Al contrario, i partiti hanno guadagnato sempre più peso anche all’estero, e le divisioni all’interno della pattuglia delle eletti sono state più grandi della loro volontà di servire davvero la comunità. D’altra parte bisogna anche riconoscere che gli italiani all’estero sono additati a Roma soltanto come questuanti, e questo è un pregiudizio che abbiamo pagato caro.
Mi pare di sentire una grande delusione personale nelle sue parole, o mi sbaglio?
C’è senz’altro. Mi dispiace di non avere potuto fare di più. A questi organismi credevo. Oggi non mi ricandiderei più, ma allora, con alcune migliaia di voto di preferenza, mi sentivo con le spalle coperte e avevo la sensazione di rappresentare veramente qualcuno. Oggi posso mettere soltanto la mia esperienza al servizio di altri.