La Cenerentola è un’opera lirica di Gioachino Rossini su libretto di Jacopo Ferretti. Il titolo originale completo è La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo. Si rifà al celebre racconto di Charles Perrault e non è esagerato affermare che è, probabilmente, uno dei racconti più conosciuto e trasposto in campo artistico. Innumerevoli sono, infatti, i balletti, i musical i film e i cartoni animati che vi si ispirano.
Es è proprio a questa esperienza a 360° gradi che la messa in scena di Cordula Dänger fa riferimento. Sul palco del teatro di Lübeck e con la direzione musicale di Ryusuke Numajiri, Cordula è riuscita, anche grazie alla scenografia di Ralph Zeger e i costumi di Sophie du Vinage, a rendere il racconto estemporaneo e a trasportare il pubblico nel mondo della favole.
Il pannello per la traduzione tedesca dei soprattitoli non era un semplice pannello: era quella cornice stile Walt Disney che ricorda la cornice dei cartoni animati dedicati alle principesse Disney. Zeger ha saputo dosare, con estrema maestria il contrasto tra l’essenzialità della scena (la dimora di Cenerentola e della sua famiglia, il castello) e il fasto fiabesco, leggermente kitsch, della carrozza (tutta in rosa) o del cavallo alato, rosa con criniera brillante. Un gioco tra realtà e fantasia, tra essenzialità e superfluo.
Che la Däuper desse molto peso all’elemento leggero, fiabesco, è stato chiaro fin dall’inizio. Il coro e Alidoro entrano in scena sfogliando un libro di favole di dimensioni esagerate e introducono in maniera tangibile sia le sorelle cattive che la povera Cenerentola.
Non c’è un’età per le favole e l’apprezzamento del pubblico è stato chiaro da questo punto di vista: l’applauso fragoroso a fine spettacolo ha sancito il successo di tale ardita combinazione. Non è una delle opere più conosciuta di Rossini, ma è sicuramente una delle più giocose che riprende anche parti delle opere più conosciute, come Il Barbiere di Siviglia.
I protagonisti, in scena, hanno saputo gestire con maestria il ruolo mettendo alla luce, come Gianluca Breda (Don Magnifico) anche interessanti doti interpretative. Eccellente interpretazione quella si Wioletta Hebrowska (Cenrentola) che ha saputo dominare la scena in maniera superba e un plauso anche a Evmorfia Metataxi e Annette Hörle (sorellastre). Un peccato, tuttavia, che Daniel Jenz (Principe di Salerno) è passato in secondo piano a causa dell’ottima performance di Johan Hyunbong Choi (Dandini): del resto come resistere ad un affascinante e atletico “assistete” personale che lascia il numero di cellulare alle donne single del pubblico. Piccola chicca, simpatica e ben inserita, la traduzione simultanea di Alidoro al momento della chiusura della scena…. Senza esitare ricanta la sua aria… semplicemente in tedesco.
Non sei solo un cantante, giusto?
Esatto, sono anche musicista, anche se, dovrei dire, sono un ex-violoncellista che suonava in varie orchestre, tra cui anche quella di Parma. Dall’età di 6 anni sapevo che volevo fare il musicista e ho iniziato con il trombone. Quindi ho “obbligato” mia madre a mandarmi a studiare solfeggio. Quando ero più grande sono passato al violoncello. Mi sentivo realizzato perché avevo realizzato il mio sogno e suonavo in un’orchestra. Un bel giorno, facendo un po’ di baccano con gli amici della classe di violoncello si scopre il mio “basso”. Sono stati proprio loro e il mio professore a suggerirmi di farmi sentire da un professore di canto lirico. E così, all’età di 24 anni, ho cambiato “direzione” passando da musicista a interprete. E appena dopo 2 anni di studio al conservatorio di A. Boito di Parma incominciavano a chiamarmi per delle parti. Nel 1995 ho poi vinto un concorso a Dijon e vi sono rimasto 5 anni avendo la fortuna di recitare/cantare in ben 24 ruoli.
Potremmo forse dire che hai mosso i tuoi “primi passi importanti all’estero”. Come viene accolto il cantante lirico italiano all’estero?
È un lavoro un lavoro privilegiato, per cui veniamo sempre accolto bene. Sono stato anche in Brasile (una tournee nelle maggiori città) con Il Barbiere di Siviglia e anche in Cina. Sempre affascinante. Parto dal presupposto che, in quello che faccio, io debba divertirmi. Finora, fortunatamente mi è andata bene: se mi posso divertire lavorando allora ho fatto 13. Fin da piccolo sono stato abituato ai palcoscenici e, facendomi le ossa in giro con le tournee, ne ho visti tanti di palcoscenici: piccoli e grandi. Non mi piace fare la divisione tra “più importanti” e “meno importanti”; posso però dire quale è quello che mi ha emozionato maggiormente: l’Arena di Verona. L’Arena è una cosa diversa dal teatro. Cantare lì è davvero una grande emozione perché ti dà l’idea di essere in uno stadio ed è anche meno rigida. Mi ricordo che al debutto, nel 2009, sono venuti gli abitanti del mio paesino (vicino a Mantova) riempendo un autobus per venire a vedermi.
Qual è il tuo rapporto con i palcoscenici in Germania?
Questo di Lübeck è il mio secondo palcoscenico in terra tedesca. Il primo è stato Oldenburg dove ero nell’Aida (3 anni fa). Prima di venire in Germania i mie conoscenti mi dicevano che dovevo essere preparato a regie “pazzesche” nel senso che avrei visto e avrei fatto parte di messe in scena moderne, apparentemente senza senso e non relazionate all’opera. All’inizio, lo ammetto, non è stato facile per me concentrami con queste “distrazioni” di stili e concetti diversi. Tutto però è andato molto bene e lo spettacolo è stato un successo.
A Lübeck invece l’approccio è stato diverso. Questa Cenerentola mi piace proprio, sia come regia che come scenografia o costumi. Ho avuto modo dia fare l’audizione grazie alla mia agente in Germania. Mi piacerebbe però potermi esibire a Berlino e davvero tanto. Il mio sogno nel cassetto sarebbe poter interpretare Zaccaria del Nabucco sul palco di Berlino e all’Arena di Verona. Vedremo quando succederà.
Cos’è che ti ha particolarmente colpito di questa messa in scena?
Innanzitutto mi piace il mio ruolo da basso buffo a cui io non sono abituato, essendo un basso verdiano. Il fatto di parlare velocemente, di recitare e di far ridere è una scoperta per me e per la mia carriera. Mi ero sperimentato con il Basilio del Barbiere di Siviglia, ma le due esperienze sono diverse, perché nel ruolo di Don Magnifico sono più attore che cantante.
Un’altra cosa che mi ha colpito del gruppo è il dato di fatto che i miei colleghi sono tutti molto giovani e l’ho trovato adatto al tono giocoso dell’opera di Rossini. Ci sono voluti solo pochi giorni per riuscire a creare quell’affiatamento e quell’intesa che il pubblico ha modo di vedere. E, da quello che ho visto, ha apprezzato quello che gli abbiamo offerto.
Ci puoi svelare le tue impressioni sulla Germania?
Posso dirlo che fa freddo? Lübeck in è strano perché durante il mio soggiorno è stato molto variabile. La città però è molto bella: si respira la storia. Pezzi di fortificazioni, tocchi medievali… penso che un po’ mi ricorda la mia Mantova. Ho trovato il tempo per visitare le chiese, le musei e i luoghi di interesse. Non sarebbe la mia città ideale per viverci, ma è una bella città per lavorarci.
La musica classica e l’Italia: cosa ti viene in mente?
È una domanda a cui darò una risposta drammatico –realistica. In Italia al moneto la cultura non è messa benissimo. Si riescono a fare cose bellissime, anche senza soldi perché la gente ce l’ha nel DNA di cantare. Mancano i fondi per fare spettacoli ad hoc ragion per cui sono pochi i teatri che hanno un programma ampio. Altro aspetto da non sottovalutare che concerti e opere sono più costosi rispetto all’estero o, almeno, da quello che vedo in Germania.