Jakob Augstein, figlio dello storico fondatore dello “Spiegel” Rudolf Augstein è l’unico giornalista tedesco a non avere soggezione nel descrivere una realtà attorno alla figura politica di Angela Merkel, che è tanto vera, quanto ben nascosta da un sistema mediatico fondamentalmente e tradizionalmente riverente nei confronti dei cancellieri della Repubblica Federale di Germania.
È vero. I tedeschi soffrono molto quando si devono scagliare contro i propri capi, nei momenti di dittatura e nei momenti di democrazia. Nei momenti di dittatura l’hanno dimostrato, sparando settant’anni fa a Berlino fino all’ultima cartuccia, finché il loro capo era in piedi. Nei momenti di democrazia, trovando sempre una giustificazione per i propri Leader politici, anche nelle situazioni più imbarazzanti. L’hanno fatto con Conrad Adenauer, pronto a scatenare una terza guerra mondiale quando i tedeschi dell’est gli alzarono in faccia il muro di Berlino. Con Willy Brandt, quando si faceva portare le amanti occasionali nel suo vagone letto, proprio dalla spia comunista Günter Guillaume.
L’hanno fatto con Helmut Kohl, quando mandava il suo tesoriere Leisler Kiep con le valigette piene di milioni di marchi in Svizzera, per versarli sui conti segreti delle CDU e lo fanno anche con Angela Merkel, che sta portando la Germania sulla via del Paese più odioso dell’Unione Europea. Eppure Konrad Adenauer, Willy Brandt e Helmut Kohl, con tutti i loro difetti, sono passati alla storia con un unico comune tratto nelle loro biografie politiche: cancellieri dell’integrazione europea. Grandi costruttori di ponti tra i popoli. Maniaci edificatori di un’immagine della Repubblica Federale di Germania che sembrava per sempre lordata dalla dittatura nazista.
La Merkel no. La Merkel il posto nella storia se lo è già guadagnato come la “Cancelliera delle spaccature”. Lo pensa l’Intellighenzia tedesca, lo dice Augstein. Augstein scrive alla Cancelliera sullo “Spiegel”: Lei, cara signora Merkel, è giudicata come una persona priva di vanità. Eppure così priva di vanità non può essere nemmeno Lei, al punto da restare indifferente su cosa un giorno la Storia dirà sul Suo conto. Eh sì. Cosà dirà la Storia di lei? Dirà forse che ha guidato la Germania nel momento della sua massima espansione politica ed economica dai tempi del Terzo Reich? Che ha raccolto il suo consenso politico grazie a un’economia di Stato robusta, che però è frutto di una strategia (perversa) messa in atto dal suo predecessore socialdemocratico Gerhard Schröder, padre disgraziato dell’infelice “Agenda 2010”, con la quale è stata istituzionalizzata in Germania la peggiore ingiustizia sociale dai tempi del dopoguerra? Passerà alla storia come la grande amica del sistema bancario internazionale a scapito della povera gente? Passerà alla storia come l’architetta della Fortezza Germania, legittimando col proprio silenzio xenofobia e invidia sociale? Passerà alla storia come la Cancelliera che ha perso la possibilità di assumere un ruolo integratore nell’ambito dell’Unione Europea?
La Cancelliera dell’umiliazione di popoli sfortunati come quello greco, dove un operaio lavora in media 2039 ore l’anno contro le 1445 dei colleghi tedeschi? Augstein chiude il suo articolo ricordando che la frase “Memento moriendum esse!” era sussurrata all’orecchio dell’imperatore al culmine del suo potere. Ricordati che dovrai morire. Chi sussurrerà questa frase all’orecchio della signora Merkel? Il suo vassallo Gabriel, il socialdemocratico che con i principi della socialdemocrazia si fa confezionare il doppiopetto su misura? La risposta della Cancelliera è comunque già arrivata al momento in cui ha affermato „So, di essere abbastanza sola all’interno dell’Unione Europea. Ma non me ne importa. Io ho ragione“. Una frase che fa semplicemente paura. Lo scrive Augstein, lo pensano in tanti.